martedì 30 dicembre 2014

Della Valle tra compleanno e progetti



Diego Della Valle compie oggi 61 anni. Nel rinnovargli gli auguri come ormai da 12 anni a questa parte – da quando cioè ha aggiunto l’A.C.F. Fiorentina all’elenco delle sue controllate o partecipate – mai come questa volta è il caso di chiedersi se abbia deciso che cosa fare da grande. L’imprenditore marchigiano è ormai da tempo uno dei più importanti e prestigiosi che questo paese può vantare ed è forse quello più conosciuto all’estero insieme ai suoi competitors Berlusconi e Marchionne. Le sue aziende sono leader nei rispettivi settori. Tutte meno una, la Fiorentina giustappunto, che non riesce ancora (la proprietà Della Valle è la seconda più longeva della storia viola, dopo quella del fondatore marchese Ridolfi) a salire i gradini del podio nella sua specialità.
Il miglior risultato di questa gestione continua ad essere quel quarto posto in campionato raggiunto due volte con Prandelli e due con Montella. Gli unici trofei alzati da lui e dal fratello Andrea si riducono ad alcune Coppe estive, disputate più che altro per beneficiare di lucrosi ingaggi a discapito di una preparazione che puntualmente viene rimpianta più avanti, a stagione regolare iniziata.
Da quando i fratelli di Casette d’Ete hanno riportato la Fiorentina in serie A, dieci anni or sono dopo l’epico e drammatico spareggio con il Perugia al termine del quale sembrarono dare un senso del tutto nuovo e passionale al loro essere proprietari gettandosi vestiti di tutto punto nella piscina del Franchi, non c’è quasi stato anno in cui la loro creatura non sia sembrata all’inizio in procinto di un salto di qualità, di una svolta decisiva per un progetto finalmente vincente. Salvo poi ritrovarsi puntualmente durante la stagione successiva a fare i conti con una delusione più o meno cocente. Sogni e progetti coltivati durante il mercato estivo non sono mai sopravvissuti a quello invernale. E i titoli, per dirla con Mourinho secondo il suo celebre aforisma, sono rimasti fermi a zero.
E allora, che cos’è che impedisce alla Fiorentina di diventare nel rispettivo settore un’azienda di vertice come è successo alla Tod’s? Cos’è che frena nel calcio l’altrimenti ambizioso e capace imprenditore marchigiano che pare stia addirittura meditando in politica una discesa in campo sul modello berlusconiano (per ovviare, come ha affermato lui stesso, alla delusione offerta dal “sindaco ragazzino”, quel Renzi a braccetto del quale andava una volta a seguire la propria squadra del cuore – e del portafoglio -  e con il quale ormai la sintonia sembra decisamente un ricordo del passato)?
Al pari degli auguri di compleanno, e più o meno regolarmente nello stesso periodo, la spiegazione ricorrente alle delusioni viola è sempre la solita. Vuole la leggenda che nei giorni bui di Calciopoli Diego Della Valle si sia convinto che il sistema calcio non possa essere affrontato e “sconfitto” come lui aveva sognato e intrapreso, e che in un paese a forte crisi economica come è l’Italia adesso investire nel pallone come un tempo sia ormai equivalente a follia pura.
I Della Valle, è noto, non nascono tifosi viola. Il giglio di Firenze è più un brand commerciale che un simbolo di qualcosa di affettivamente importante. La Fiorentina è stata ed è più un veicolo pubblicitario che un amore o un passatempo (per quanto remunerativo) come lo era la Juventus per Agnelli, l’Inter per Moratti o il Milan per Berlusconi. Che gli attuali proprietari del giglio viola vogliano gestirlo come un’azienda più che come una società sportiva del resto non c’è niente di strano, o di male. E’ il futuro del calcio, se il calcio ha un futuro, e soprattutto se ha un futuro l’economia di questo paese.
Più o meno dai tempi in cui finì il primo progetto di grandeur viola, quello di Prandelli, insieme al sogno di costruire in tempi brevi una cittadella sportiva a Castello, è chiaro inoltre che il modello di gestione societaria dei Della Valle non fa più riferimento al bianconero della Juventus ma piuttosto a quello dell’Udinese. Gli uomini mercato non cercano di montare pezzo dopo pezzo la squadra che diventerà prima o poi lo “squadrone”, ma di cogliere piuttosto occasioni di mercato e di valorizzare giovani e/o rivalorizzare vecchie glorie che poi si traducano in plusvalenze di bilancio.
Tutto chiaro, tutto comprensibile. E’ il signor Diego insieme al fratello Andrea che ci mette i soldi, ci mancherebbe altro. Peccato che quei sogni di gloria restino sospesi nell’aria di Firenze, alimentati a scadenza regolare proprio da loro, il freddo industriale venuto dalle Marche ed il fratello che si è scoperto passionale una domenica di qualche campionato fa, seduto accanto al sindaco ragazzino, tutti e due ridotti a fine partita come nemmeno i più scatenati Ultras dei tempi eroici.
I sogni sono sempre un’arma a doppio taglio. L’animo del tifoso è schizofrenico per definizione, combattuto tra la voglia di esultare e la paura di soffrire. Sono molti ormai in riva all’Arno quelli che preferiscono neanche più immaginare di vivere giorni come quelli del 2002, quando la “settima sorella” di Cecchi Gori finì nel baratro della retrocessione e del fallimento e da Wembley la torcida viola si ritrovò a seguire la squadra a Gualdo Tadino. Mai più, dissero molti, a costo di “vivacchiare” in una esistenza senza sussulti, quarti posti come Champion’s League, perfino la Coppa Italia (un trofeo che Fiorentine sicuramente più povere di quella attuale erano riuscite ad alzare con gioia e orgoglio in faccia agli squadroni del Nord) un miraggio inarrivabile.
Dopo dodici anni e mezzo, a Diego e Andrea Della Valle vengono quindi ancora perdonate tante cose che ai predecessori invece non erano state minimamente graziate. E’ pur vero d’altra parte che ad ogni annata che si avvita su se stessa riprende quota il partito di coloro che “rosicano” (come disse una volta il buon Diego quando ancora non lesinava la sua presenza in città e in società) non perché hanno “risicato”, come dice il proverbio, ma perché appunto rosicano e basta, stanchi di vedere vincere gli altri.
Vecchi discorsi, che puntualmente tornano di attualità. A rileggere quello che scrivevamo l’anno scorso in occasione del precedente genetliaco del patron, viene un po’ di malinconia. A incrociare questa malinconia con l’attualità, viene qualcosa di più, che si chiama sottile inquietudine. Mentre Diego Della Valle spegne le sue sessantuno candeline, i suoi uomini si preparano ad una campagna acquisti (o per meglio dire cessioni) che ha precedenti solo in quella di due anni fa, quando in pochi giorni arrivarono a Firenze qualcosa come 18 giocatori nuovi di zecca. Più o meno lo stesso numero che se ne dovrebbe andare adesso, almeno a star dietro alle voci di mercato.
A leggere i nomi, c’è da chiedersi se un altro progetto dellavalliano non sia sul punto di concludersi, anzitempo e malamente. Pilastri della squadra attuale, come Neto e Aquilani, sono in predicato di arrivare alla scadenza contrattuale senza che la società abbia fatto seri tentativi per trattenerli. Altri, come Cuadrado, si stanno ritrovando ai margini di un disegno tecnico-tattico, quello di Montella, che peraltro aggiunge difficoltà alle difficoltà.
Il tecnico campano, a sua volta sempre più fuori sintonia con le scelte societarie tanto da far pensare che questa possa essere la sua ultima stagione in viola, sa giocare e far giocare i suoi in un modo solo, quello reso produttivo e piacevole a vedersi soltanto dalle brevi stagioni di Stevan Jovetic e Giuseppe Rossi. La classe cristallina e l’altrettanto prepotente indisciplina tattica di Cuadrado non rientrano nei suoi piani, non fanno vibrare le corde del suo gioco prediletto. Il colombiano rischia di trovarsi ai margini, intristito o peggio infastidito, in procinto di deprezzarsi tecnicamente prima ancora che economicamente, qualsiasi cosa voglia fare di lui la Fiorentina a fine stagione.
Nel frattempo, Rossi è ancora lontano dal rientro, Gomez sta facendo di tutto per tornare fuori (anche lui per niente aiutato nel ritorno ai suoi livelli da schemi tattici che non lo prevedono e non lo supportano), i due ragazzi che sembravano in grado di non farli rimpiangere, Baba e Berna, si sono rivelati per ora troppo fragili, quanto e più dei titolari.
Poi c’è il gran numero dei giocatori in soprannumero, o comprati per fare numero. Il bisticcio di parole vuole indicare quella ampia parte della rosa destinata a costituire – se non ora a gennaio al prossimo giugno – l’ennesimo “pulmino” da trasbordare altrove. Dagli sloveni Ilicic e Kurtic al prode Yakovenko fino al vecchio glorioso capitano Pasqual (lui si che si meriterebbe un po’ di gratitudine da parte di una società e di addetti ai lavori che fanno in altre circostanze largo uso se non addirittura abuso di questa parola), sono molti gli esuberi e poche le idee per trarne qualcosa di veramente buono. Il tutto condito da un Pizarro forse arrivato alla fine naturale della carriera e da una difesa dalle buone individualità ma che non è mai riuscita a diventare un vero e proprio reparto. E da un Daniele Prade’ che dovrebbe provvedere a tutto questo e che invece viene dato ormai sempre più esplicitamente in partenza a sua volta.
Più che una squadra, sembra un cantiere della “tramvia”, chi abita a Firenze può cogliere la similitudine. Da un terzo posto che tutto sommato disterebbe soltanto pochi punti a un decimo nel quale la società si è ritrovata a concludere l’annata in circostanze forse non troppo dissimili in passato il passo è breve.
Di doman non v’è certezza, insomma, come diceva un altro patròn dei tempi andati, che era arrivato nel suo campo ad essere il numero uno indiscusso. E’ per questo motivo che gli auguri al patròn attuale quest’anno sono più mesti del solito. Ce l’avessero detto un anno fa, tra l’altro, non ci avremmo creduto.
Auguri comunque Diego Della Valle. E soprattutto auguri Fiorentina.

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