Disgraziata la patria che ha
bisogno di eroi, diceva Bertolt Brecht parlando di cose più serie del calcio.
Firenze ha scoperto negli ultimi anni di avere un bisogno disperato di eroi,
proprio nel calcio (nella vita comune lasciamo stare, l’unica personalità di
rilievo prodotto da diverso tempo a questa parte ha già preso la strada di Roma
e attende l’ardua sentenza dei posteri se la sua sarà vera gloria o meno).
L’elettroshock del 2002, con il
fallimento e la retrocessione di diversi piani della società e l’allestimento
di un’altra a tamburo battente il tutto nel giro di un mese scarso, ha prodotto
una specie di schizofrenia negli addetti ai lavori e negli aficionados che gravitano intorno al mondo viola.
Da un lato la parte cosciente
della psiche collettiva fa mostra di aspirare ad un avvenire tranquillo, perfettamente
incarnato dalla gestione dei Della Valle e degli uomini del loro staff: niente
più voli pindarici verso le alte vette della classifica, ma neanche niente più
scivoloni (o quasi) nel baratro di quella bassa; né infamia ma nemmeno lode,
quarti posti come Champion’s League, autofinanziamento e fair play finanziario,
terzo tempo spesso più importante (e a volte più appassionante) dei primi due
regolamentari.
Dall’altro lato c’è l’inconscio,
quella parte insopprimibile e sempre riaffiorante della nostra personalità
individuale che collettiva, che in fondo di tutto ciò non si accontenta per
niente, e sogna il ritorno della cavalleria, di eroi e squadroni che sappiano
rinverdire i fasti di quelli del passato, che nessuno almeno tra le generazioni
non proprio di primo pelo ha dimenticato, Né vuole o può dimenticare.
Si tratta di conciliare, per
usare termini cari al Presidente in pectore Mario Cognigni (il Richelieu di
questo regno dellavalliano) l’azienda con il cuore, la fruizione di uno
spettacolo moderno in ambito sportivo con il tifo (sempre uguale e
intramontabile, al di là dei discorsi e dei distinguo) per la propria squadra
del cuore, la ragione ed il sentimento, la clientela con la passione,
ovviamente sfrenata come si conviene alle passioni migliori.
Ecco allora, per farla breve, che
un Fiorentina-Juventus come quello andato in onda lo scorso 5 dicembre – una
delle peggiori e più noiose edizioni a memoria d’uomo viola, ma anche,
crediamo, bianconero – subisce un processo forse inevitabile di trasformazione,
quasi di canonizzazione, diventando un’epica battaglia in cui i “nostri” hanno
gettato il cuore oltre l’ostacolo, schiacciando le Armate delle Tenebre per
buona parte del match a ridosso del loro fortilizio, spalle al Nero Cancello. E
pazienza se verso quel Cancello i nostri eroi sono riusciti a scagliare i loro
dardi infuocati appena una volta, imitati peraltro dal “nemico”. E’ stato nel
mezzo della mischia – dice ancora Cuor di Tifoso – che si è visto il valore dei
nostri prodi che a colpi di mazza ferrata hanno messo sotto i blasonati
cavalieri avversari.
Siamo vecchi, probabilmente,
oltre che infarciti di letture classiche. Questa parodia che sterza verso
l’ironia vuole solo esorcizzare, nel ricordo e soprattutto nelle conseguenze,
una delle più brutte partite viste all’Artemio Franchi, già Stadio Comunale,
già Stadio Giovanni Berta da quando Fiorentina e Juventus si affrontano nella
massima serie italiana. In un processo quanto mai necessario di autocoscienza
collettiva bisognerebbe rendersi conto che le formazioni messe in campo dal
Guardiamarina Montella e dal Mister Allegri (per ora di nome ma non di fatto)
sono due copie sbiadite di quelle che nella passata stagione dettero più volte
spettacolo proprio su questo palcoscenico e in varie competizioni, e da copie
sbiadite si sono comportate. Per non parlare di gloriose antenate del passato
con i quali è francamente difficile trovare rapporti di parentela.
Lasciando stare una Juventus che
stasera cerca per l’ennesima volta di riallacciare un discorso del calcio
italiano con il calcio internazionale praticamente interrottosi bruscamente
dopo il 2007 (ultima vittoria nostrana di un trofeo continentale), è della
squadra viola che preme qui e adesso parlare. Dicendo chiaramente che le
iperboli usate dopo la partita con gli “odiati” bianconeri fanno bene forse a
dei cuori raggelati dall’inverno incipiente e da un avvio di stagione non molto
confortante, ma non ne fanno per niente a quella ragione necessaria a seguire
un’impresa come quella che si pone davanti a questa Fiorentina, nella risalita
di posizioni in classifica.
E’ un campionato assai strano, la
corsa al terzo posto dietro bianconeri e giallorossi è al momento una specie di
derby della Lanterna, e già questo la dice lunga sul fatto che qualcosa non sta
funzionando nel modo in cui eravamo abituati. Arrancano senza continuità
Napoli, Lazio, Milan ed Inter, arranca soprattutto lo squadrone che a
Ferragosto spezzò le reni al Real Madrid vendicando la finale di Coppa dei
campioni del 1957, per poi perdersi miseramente ai primi scontri di campionato.
La Fiorentina di questa prima
parte della stagione è – per usare un’altra citazione classica – un enigma
avvolto in un mistero. Costruita, o per meglio dire confermata, sull’ipotesi
del tridente Rossi-Gomez-Cuadrado, si è ben presto ritrovata con il solo
colombiano per di più reduce da un’estate appesantita dalla partecipazione ai
Mondiali e dalle insistenti e comprensibili voci di mercato. Un Juan Guillermo
Cuadrado non al meglio della forma e che tutti ormai conoscono e su cui
raddoppiano è a tutt’oggi l’unica risorsa della Fiorentina per saltare
l’avversario e andare in porta.
Il Mario Gomez riaffacciatosi in
squadra dopo il secondo infortunio è anch’egli un giocatore in cerca della
condizione, con la differenza che se lasciato solo là davanti senza l’appoggio
di una seconda punta si perde, non fa reparto, non segna e non fa segnare. La
seconda punta, se va bene, tornerà a marzo, o forse addirittura l’anno
prossimo, per adesso il meglio che può fare Pepito è raccontarci le sue
appassionanti memorie. Degli altri, Bernardeschi gli fa compagnia in infermeria
e Babacar non può giocare a fianco a Supermario, ma semmai piuttosto al suo
posto. Questo è l’attacco con cui la Fiorentina dovrebbe dare l’assalto alla
zona Champion’s, ordinato una volta di più con voce roboante da Andrea Della
Valle in queste ore. Con quali prospettive si è visto per esempio proprio nello
scontro casalingo con quel Genoa che adesso è terzo in solitaria e che qui è
stato messo sotto senza remissione per 90 minuti.
Fin qui l’enigma, relativo ad una
squadra che non è più una novità per gli avversari, che ha diversi uomini
misteriosamente fuori condizione (visto che ben pochi di essi sono stati in
Brasile tra giugno e luglio) e che ha le polveri bagnatissime in attacco. Poi
c’è il mistero, rappresentato dalle scelte tecnico-tattiche di Vincenzo
Montella. Che non avrà ricevuto sicuramente all’avvio del campionato le risorse
che si aspettava e probabilmente aveva chiesto, ma che spesso e volentieri ha
mostrato di non aver le idee chiarissime su come schierare quelle che bene o
male si è ritrovato. E che – è bene dirlo – per un campionato squinternato come
è ridotto il nostro non sono affatto malaccio.
Dal “Brillante” esordio
dell’Olimpico di Roma alla lunga insistenza sul “falso nueve” (e forse falso
giocatore in assoluto, almeno per la serie A) Ilicic, all’altrettanto lungo
ostracismo a Joaquin (regolarmente il migliore in campo da quando è rientrato,
malgrado l’età), al recente accantonamento di quell’Aquilani che era parso una
spanna più in su di tutti sia come classe che come rendimento fino a poco tempo
fa, sono tanti i misteri che il Guardiamarina Montella dovrebbe chiarire.
Principalmente poi ci sarebbe la questione di cosa vuole fare da grande, e se
vuole ancora farlo qui a Firenze (magari con la società che fa la sua parte con
altrettanta chiarezza e tempismo). Intanto, tra i segnali confortanti va
registrato il timido tentativo di abbandono di quel modulo di gioco comunemente
conosciuto come tiki taka, che qui ha funzionato soltanto nei giorni migliori
di Stevan Jovetic e di Giuseppe Rossi, due giocatori capaci di far fronte alle
difficoltà di gioco con i propri mezzi personali. E la registrazione di una
difesa che è seconda soltanto a quella della capolista Juventus (e guarda caso
l’unica cosa che ha funzionato a dovere nel match del Franchi sono state
appunto le due difese.
La rimonta al campionato non
sarebbe un’impresa, per qualche grande Fiorentina del passato o anche per
qualche buona Fiorentina degli ultimi anni di Della Valle, compresa quella
della scorsa stagione. Rischia di essere troppo per questa, per la quale tutto
dovrebbe filare per il verso più che giusto da qui alla fine, e francamente
“tutto” pare un po’ troppo. Poi nulla vieta ai tifosi di illudersi di assistere
a prestazioni “magistrali” degli attuali Pizarro, Borja Valero e Matias
Fernandez, per tacer di Gomez e Cuadrado (che almeno lui però in porta ci tira
una volta a partita). Nulla vieta di illudersi di stare guardando ancora Eraldo
Pecci, Giancarlo Antognoni, Roberto Baggio, Gabriel Batistuta. O che il duello
Chiellini-Gomez è paragonabile a quello tra Garzena e Virgili, o tra Gentile e
Graziani, o anche tra Tudor e Batistuta. Et similia.
Nulla vieta, ma non aiuta, non fa
affatto bene. Disgraziata la patria che ha bisogno di eroi. E qui a Firenze, e
forse in tutta Italia, non è più tempo di eroi.
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