“Se l'Italia e la Francia non
procederanno con le riforme annunciate si arriverà a un inasprimento della
procedura sul deficit. E se alle parole non seguiranno i fatti, per questi
Paesi non sarà piacevole". Sono le parole del presidente della commissione
Ue, Jean-Claude Juncker, intervistato dal quotidiano Frankfurter Allgemeine Zeitung.
Dopo settant’anni dalla seconda
guerra mondiale, di nuovo le minacce di un tedesco (anche se formalmente di
nazionalità lussemburghese) verso chi in Europa in un modo o nell’altro mostra
di non volersi uniformare alla volontà di potenza di Berlino. La Germania 70
anni dopo Hitler sta tentando di nuovo di sottomettere il resto d’Europa. Stavolta
l’invasione è diretta da una signora dai capelli tagliati con la pentola e da
Herr Jean-Claude Juncker, un burocrate di lungo corso che non solo nel cognome
ma anche nei modi ricorda molto i generali prussiani della Wehrmacht.
Scontata e molto francese la
risposta francese: attenzione, con queste minacce si fa soltanto il gioco della
destra di Marine Le Pen. Altrettanto scontata e tipicamente italiana la
risposta italiana: abbiamo fatto i nostri compiti a casa fino all’ultimo. E’ il
solito gioco delle parti sullo scacchiere europeo, tra governi e diplomazie che
hanno cambiato gli strumenti (gli spread al posto dei tank) ma non gli
atteggiamenti. A giro per il continente tuttavia c’è chi comincia a capire che
se si piega la testa tanto valeva morire 70 anni fa. La Grecia medita di
tornare a votare per la seconda volta in tre anni, incurante del pericolo e
delle minacce tedesche ed europee. O forse cosciente che comunque il suo
destino è segnato, e tanto vale ritrovare un po’ del vecchio spirito delle
Termopili.
La storia passata di solito non è
mai maestra di vita, ma forse stavolta vale la pena ripassarsela, magari per evitare
una nuova ecatombe.
Settantacinque anni fa,
nell'estate del 1938, la Germania nazista aveva ripreso la Renania, toltale dal
Trattato di Versailles del 1919, e annesso l'Austria, quando decise di volgere
gli occhi sulla Cecoslovacchia per sottomettere anch'essa, con la scusa di
riunire alla Madrepatria il territorio abitato dalla minoranza tedesca dei
Sudeti. Era chiaro a tutta l'Europa ormai che Hitler non si sarebbe fermato a
quelle che in un primo momento si erano voluto giustificare come legittime
aspirazioni tedesche, ma - avendo completato il riarmo in spregio al
Trattato del 1919 - si preparava ad una escalation che avrebbe portato
la Germania a fare del resto del mondo il proprio lebensraum (spazio
vitale).
Con gli Stati Uniti fuori dal
gioco a causa del proprio perdurante isolazionismo, le potenze che
potevano fermare Hitler erano due, anzi tre: l'Inghilterra del conservatore
Chamberlain (teorico dell'appeasement, della pacificazione ad ogni costo),
la Francia di Laval (essenzialmente un opportunista, il futuro braccio destro
del collaborazionista Petain), l'Italia del dittatore Mussolini (che ancora
veniva ritenuta una grande potenza, non essendo stato ancora tragicamente scoperto
il suo bluff militare).
E' opinione comune degli storici
che queste tre potenze, se si fossero presentate unite a dire NO a Hitler,
avrebbero salvato non solo la Cecoslovacchia, ma anche il mondo intero dalla
Seconda Guerra Mondiale. Invece, arrivarono a Monaco (convocate dal Führer che
non ritenne nemmeno opportuno essere lui a scomodarsi) con l'intento di
ricercare ogni modo possibile (anche il più umiliante) per accontentare il
dittatore nazista salvando la pace. Abbandonarono la disperata Cecoslovacchia e
acconsentirono all'annessione tedesca di quest'ultima, in cambio di generiche
affermazioni di Hitler che si sarebbe fermato lì, non avendo altre
rivendicazioni. Monaco fu salutata come una grande vittoria dalle destre europee,
Chamberlain - tornando in Inghilterra - affermò che i leader europei
incontratisi in Baviera avevano «assicurato la pace per il loro tempo». La
storia dei sette anni successivi è nota.
Nel 1945, dopo il suicidio di
Hitler nel Bunker di Berlino e la resa della Germania, si pose il problema di
cosa fare di quest'ultima, che per due volte aveva trascinato il mondo in una
carneficina immane. A decidere a quel punto non era più l'Europa, ridotta ad un
cumulo di macerie e ridimensionata per sempre come protagonista della politica
mondiale, ma da una parte l'Unione Sovietica di Stalin (che poteva gettare sul
piatto della bilancia due cose: l'Armata Rossa che era arrivata fino alle porte
di Vienna e sulle rive dell'Elba, e 22 milioni di morti russi in quattro anni)
e dall'altra gli Stati Uniti d'America, che però essendo una democrazia
vedevano al loro interno confrontarsi diverse posizioni in merito al
dopoguerra.
Il Senatore Morgenthau elaborò un
piano che coincideva sorprendentemente con le idee di Stalin sulla Germania postbellica:
essa doveva diventare un enorme pascolo di mucche, terra da arare e coltivare,
la Fattoria d'Europa, e mai più avere sul suo suolo una singola
industria, in modo da evitare che gli "Unni" tornassero mai a
minacciare il continente e l'intero pianeta. Anche qui è storia nota, vinsero i
fautori della reindustrializzazione e del riarmo tedesco, et pour cause.
Nel 1947, quando fu sottoscritto il Trattato di Pace, era ormai esplosa la
Guerra Fredda e non era proprio il caso di lasciare di fronte all'Armata Rossa una
prateria da poter percorrere agevolmente per ritrovarsi in un paio di giorni
sugli Champs Elysées o a Piazza San Pietro. Così, alla Germania fu permesso di risorgere,
obtorto collo per molti.
Nel 1990, crollato il Muro di Berlino
e finita la Guerra Fredda, nessuno o quasi vedeva più la necessità di tenere
divisa la Germania in Ovest ed Est. A 45 anni dalla morte di Hitler e a pochi
mesi dalle estreme conseguenze della Perestrojika di Gorbaciov, il Cancelliere
Khol poté festeggiare sulla Porta di Brandenburgo la riunificazione, e l'allora
Presidente del Consiglio italiano Andreotti commentare neanche tanto sottovoce
che si stava facendo una sciocchezza, perché dei tedeschi mai e poi mai ci sarebbe
stato da fidarsi, come ben sapevano quelli della sua generazione. Fu tacciato
di essere il solito cinico politicante italiano, e tutti a battere le mani ai
tedeschi, non solo perché vinsero subito i mondiali di calcio, ma perché si
presentarono come coloro che avrebbero dato impulso alla nuova fase di una più
grande unificazione: quella europea, dal Trattato di Maastricht alla moneta
unica, l'Euro. E questa è storia così recente che se la ricordano tutti.
L'Italia ha tanti difetti, a
cominciare dal carattere dei suoi cittadini e dal sistema politico che questi
hanno saputo esprimere, o lasciato che fosse espresso sopra le proprie teste,
da un sistema economico squilibrato e finanziato dal debito pubblico,
dall'evasione fiscale e dal lavoro nero e/o sottopagato. Ma con la vecchia Lira
poteva giocare sul tavolo economico europeo e mondiale a riequilibrare i propri
difetti strutturali con svalutazione ed esportazione, quindi ricchezza e posti
di lavoro. Nel 1992, quando entrò in crisi il Serpente Monetario (SME), una
classe politica dall'avvedutezza inversamente proporzionale ai propri crescenti
emolumenti convinse un popolo spaventato dalla grave crisi economica prima e
politica poi (Mani Pulite) a trovare rifugio nell'Euro. Così siamo finiti a
finanziare la riunificazione tedesca e le sue banche, e a diventare il campo di
battaglia di una speculazione selvaggia e di una immigrazione che non è dato
sapere se abbia portato realmente benessere a chi è arrivato, ma di sicuro sta
portando miseria a noi che l'abbiamo subita.
A questa lunga storia mancano due
passaggi. Il primo risale agli anni '50 del ventesimo secolo. Charles De Gaulle
è stato un grand'uomo, l'eroe della Francia nella Seconda Guerra Mondiale, il
Presidente che salvò il suo paese con la Quinta Repubblica e la fine del
Colonialismo e della Guerra d'Algeria. L'unico vero uomo di stato che abbiano
avuto a Parigi dai tempi di Napoleone III. Ma per l'Europa è stato una
maledizione. Proprio perché era intelligente (e privo di scrupoli) al servizio
unicamente della grandeur francese ad ogni costo e in ogni modo
possibile. Così, poco tempo dopo la fine della guerra mondiale, messa da parte
ogni gratitudine verso gli americani e in spregio alla inevitabile logica dei
Blocchi delle due Superpotenze di allora, si mise a lavorare per una nuova
egemonia francese in Europa, individuando il partner ad hoc nel nemico
di sempre: la Germania, allora governata da un uomo egualmente brillante, il
Cancelliere Konrad Adenauer, a cui non parve il vero di costituire quell'asse
franco-tedesco che da allora fa il bello e il cattivo tempo nel continente
europeo. La Comunità Europea nata a Roma nel 1957 ebbe questi genitori
"interessati", e con questo vizio di forma è irreparabilmente cresciuta.
L'ultimo passaggio è più
complesso. Attraversa i secoli. E' cominciato nella Piana delle Termopili nel
480 a.C., quando il Figlio del Leone, Leonida re di Sparta sbarrò il passo alla
Wehrmacht dell'epoca, l'esercito del re persiano Serse, 300 contro 10.000, salvando
il suo paese e consegnandolo alla storia e alla leggenda per l'eternità (*). Ci
sono molti motivi per provare ammirazione per il popolo greco nel corso della
sua storia.
Tra gli archetipi fondamentali
della nostra civiltà ci sono la democrazia nata per la prima volta ad Atene, il
coraggio degli spartani che come gli inglesi del 1940 rifiutarono di arrendersi
contro ogni logica, salvando così molto di più del loro paese, lo spirito dell'uomo
occidentale incarnato da Ulisse che va oltre le Colonne d'Ercole, quando tutti
gli dicono di non farlo, non l'ha mai fatto nessuno perché così è scritto nei
sacri testi, ma lui, come Lawrence d'Arabia, invece va e lo fa, perché così è
scritto nella sua testa. E questo solo conta.
Forse significa sognare, all'alba
del ventunesimo secolo, rincorrere debolissime speranze ammantate di
letteratura. Ma è lecito pensare che il governo greco più che quello italiano o
francese stia facendo il suo dovere verso il proprio popol0, chiamandolo a pronunciarsi
sulle cose da fare per affrontare la crisi e sulla opportunità stessa di rimanere
in un sistema che per la Grecia, e non solo per essa prevede solo miseria e
sottosviluppo, a servizio di banche che stanno a Berlino o ancora più lontano.
E che quel popolo, magari, in un soprassalto di dignità nazionale che gli proviene
dall'eredità di quegli antenati che combatterono alle Termopili, e anche
dall'esempio di chi - come gli argentini e gli islandesi - in epoca molto più
recente ha detto NO a chi ha provocato la crisi e adesso vuole che altri la
paghino, faccia la stessa cosa, come i guerrieri del Figlio del Leone. Dica
forte il suo NO al nuovo pericolo per milioni di persone inermi rappresentato
dal nuovo Hitler in gonnella e dai nuovi Petain, Laval, Mussolini
collaborazionisti sparsi per mezza Europa. Che non vanno più a conquistare paesi
con i Tank e gli Stukas, ma con i Bund e gli Spread.
Ed è lecito pensare che finiscano
per tirarsi dietro più di 200 milioni d europei che non hanno nessun interesse
a morire di fame nel lebensraum tedesco.
(*) « Μολὼν λαβέ» . («
Venite a prenderci» , Leonida di Sparta a Serse di Persia, Termopili, 480
a.C.)
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