24 febbraio 2014
Avrebbe compiuto 80 anni
oggi. Un’età in cui in Italia una carriera politica è tutt’altro che conclusa,
si è ancora in tempo per fare, per esempio, il presidente della repubblica.
Chissà dove l’avrebbe portato la sua carriera, se non fosse intervenuta Mani
Pulite a cambiare il corso della sua vita, della nostra, e di quella della
stessa repubblica.
Benedetto Craxi detto
Bettino era nato a Milano il 24 febbraio 1934. Suo padre, l’avvocato Vittorio,
era un antifascista dichiarato fino al punto di subire la persecuzione del
regime. Il piccolo Bettino era un carattere ribelle, turbolento, che fu mandato
a studiare in collegio dai preti, anche per sottrarlo alla guerra ed alle
conseguenze dell’attività antifascista del padre. Dopo la liberazione, Craxi padre
divenne vice-prefetto di Milano e poi prefetto di Como. Craxi figlio divenne un
giovane studente liceale iscritto al Partito Socialista. A 23 anni, mentre
studiava giurisprudenza, fu eletto al Comitato Centrale del PSI. A 31, era
membro della direzione nazionale, nonché assessore al Comune di Milano.
Erano gli anni in cui il
Partito Socialista viveva una svolta epocale. Abbandonato il Fronte Popolare
del 1948 che lo aveva visto subire la partnership in
posizione minoritaria con il partito Comunista (e l’inevitabile relegamento
all’opposizione negli anni della Guerra Fredda), il segretario Pietro Nenni (di
cui Craxi fu un fervente sostenitore) decise nei primi anni sessanta di
recuperare al suo partito un ruolo di autonomia sfruttando il maturare di circostanze
irripetibili: un nuovo clima internazionale di distensione e l’apertura
democristiana verso un centrosinistra in cui il PSI sarebbe diventato un
partner fondamentale, il più importante a dispetto di repubblicani, liberali e
socialdemocratici.
Furono anni esaltanti ma
difficili per i socialisti. La spaccatura con i comunisti lasciò strascichi e
odii che non si sarebbero sanati più, la collaborazione con la DC si rivelò più
difficile del previsto, un tentativo di riunificazione con i socialdemocratici
(la componente antimarxista che fin dal 1947 aveva ripudiato il fronte con il
PCI) si risolse in un fallimento certificato già nel 1969. Un anno prima,
Bettino Craxi era stato eletto per la prima volta al parlamento. Un anno dopo,
nel 1970, divenne per la prima volta vicesegretario, sotto Nenni. Nel 1972 fu
confermato, pur con il cambio di timone a favore di De Martino, esponente della
corrente favorevole al ritorno a fianco al PCI.
In quegli anni, Bettino
Craxi strinse rapporti di amicizia con i principali leader del socialismo, del
laburismo e della socialdemocrazia europea, da Willy Brandt a Felipe Gonzales,
a Francois Mitterand, a Mario Soares, ad Andreas Papandreou. Alcuni di quei
leader vivevano in esilio poiché nei rispettivi paesi (Grecia, Spagna, Portogallo)
vigeva una dittatura ed i partiti socialisti erano messi al bando. Craxi fu
responsabile per il PSI del finanziamento ai partiti fratelli in clandestinità.
A questi, si aggiunse nel 1973 il Partito Socialista Cileno di Salvador
Allende, di cui era stato amico personale prima della tragica fine.
In quegli stessi anni,
inoltre, mentre prendeva il sopravvento la corrente filo-marxista di De
Martino, il giovane Craxi elaborò invece un riavvicinamento al socialismo
libertario di Proudhon ed un ripudio di quello marxista-leninista, con tanto di
distacco (e fu il primo a professarlo apertamente) dalla tradizione bolscevica
mai messa in discussione dai tempi della Rivoluzione di Lenin nel 1917. Quando
nel 1976 De Martino portò il PSI al disastro elettorale, con discesa al di
sotto della soglia del 10% a fronte del risultato storico dei “rivali” del PCI
al 34% (record mai più eguagliato) e della tenuta a fatica della Democrazia
Cristiana per pochi voti, la direzione del partito decise di imprimere una svolta
alla politica socialista.
Tuttavia, essendo le
correnti principali assai divise sul da farsi e sulla figura del nuovo
segretario da nominare, qualcuno ebbe l’idea di individuare nell’ancora
semisconosciuto Bettino Craxi una figura “di transizione”, che consentisse di
traghettare il partito verso tempi e sponde migliori.
E’ già capitato nella
storia di varie istituzioni che si ritenesse opportuno nominare un uomo di
transizione, e che poi invece venisse fuori che quell’uomo avrebbe cambiato l’istituzione
e la vita dei suoi adepti irrevocabilmente e per sempre. Un nome su tutti,
Angelo Roncalli, diventato papa col nome di Giovanni XXIII, l’uomo la cui
carezza
avrebbe cambiato la Chiesa
rimasta immutata per 2.000 anni. Questo fu anche il destino di Bettino Craxi.
L’uomo che emerse
segretario dal congresso straordinario tenuto all’Hotel Midas di Roma cambiò il
Partito Socialista come nessuno dei prestigiosi segretari che l’avevano
preceduto aveva saputo fare, da Turati a Nenni. La storia avrebbe detto che
sarebbe stato anche l’ultimo dei segretari del PSI, come se un cerchio si fosse
chiuso. Il partito che era nato nel 1982 per dare speranza di riscatto ai
lavoratori d’Italia fu rivoltato da Bettino Craxi come un guanto. Una nuova
generazione, che non aveva conosciuto né Settimane Rosse, né guerre mondiali,
né confino, né Fronti Popolari fu portata avanti per opera del nuovo
segretario, la cosiddetta rivoluzione dei quarantenni.
Bettino era un leader carismatico, e lo dimostrò presto, portando dalla sua
parte gente inizialmente a lui ostile come Signorile, Manca, De Michelis,
Martelli, la nouvelle
vague del partito, e mandando in
pensione la vecchia guardia dei Nenni, De Martino, Lombardi, carichi di gloria
ma anche di età e di sconfitte.
I predestinati si vedono
anche dalle occasioni che trovano lungo la strada. Il segretario che auspicava
la fine del socialismo marxista, il distacco definitivo dal detestato PCI, la
prosecuzione dell’alleanza con la DC per la costruzione di una alternativa
futura a guida socialista, si trovò ben presto come interlocutrice una
Democrazia Cristiana che nel frattempo aveva abbandonato le velleità di
compromesso storico, soffocate dal sangue di Aldo Moro. Nei 55 giorni del rapimento
dello statista pugliese, Craxi fu l’unico insieme a Marco Pannella a prendere le
distanze dalla linea della fermezza adottata da tutto l’arco costituzionale e a
dichiarare che per salvare la vita al presidente del consiglio detenuto dalle
Brigate Rosse si doveva trattare con queste ultime. Una linea che lo mise per
la prima volta in contrasto non solo con le forze politiche italiane, ma anche
con gli americani, contrari da sempre alle trattative con i terroristi.
All’uomo, del resto, non difettavano né il carattere né una visione della
politica non solo nazionale ma anche internazionale improntata alla ricerca di
una sempre maggiore autonomia rispetto ai punti fermi atlantici, mai messi in
discussione dai tempi di De Gasperi e che lo stesso partito Comunista Italiano
aveva finito per accettare con Berlinguer e la sua benedizione dell’ombrello
atomico NATO.
Dopo la tragica morte di
Aldo Moro ed il tramonto delle ipotesi compromissorie con i comunisti, il
quadro politico cambiò radicalmente, e Craxi fu pronto a coglierne le occasioni
come un novello Cavour. Al Quirinale nel frattempo si era insediato un vecchio
socialista di quelli che il tempo non aveva ossidato. Sandro Pertini era
destinato a restare nel cuore di tutti gli italiani anche e soprattutto per la
sua azione di rivitalizzazione delle istituzioni. Da più di 30 anni la guida
del governo era appannaggio dei democristiani, ma a seguito dei risultati
incerti delle elezioni del 1979 Pertini non ebbe alcuno scrupolo a dare
l’incarico all’outsider
che da poco aveva in mano il suo ex
partito. Il tentativo non andò a buon fine, ma a Craxi restò il record di primo
presidente incaricato non democristiano della storia della repubblica. Il primo
presidente non DC incaricato e fiduciato dal parlamento fu poi il repubblicano
Spadolini, nel 1982. Ma a Craxi l’anno dopo, a seguito di un risultato elettorale
particolarmente positivo, toccò l’onore di essere il primo presidente del consiglio
socialista della storia d’Italia. Ed anche l’ultimo, come la storia stessa
avrebbe decretato.
I quattro anni del governo
Craxi sono tutt’ora oggetto di valutazioni controverse. Dopo quasi 40 anni di
gestione sostanzialmente immutata e immutabile da parte della balena bianca
democristiana, il segretario socialista introdusse diverse innovazioni e
conseguì alcuni risultati che vennero visti dalla sinistra comunista con decisa
avversione, poiché il PCI aveva preso assai presto a ricambiare l’ostilità
craxiana con eguale fervore. Vennero invece salutati con favore da tutti coloro
i quali ritenevano che per l’Italia fosse giunto il momento di cambiare, dopo
diverse stagioni esaltanti ma estenuanti culminate negli Anni di Piombo.
L’introduzione del
Consiglio di Gabinetto come governo ristretto in stile britannico, l’abolizione
della Scala Mobile, il nuovo concordato che veniva a sostituire i patti
Lateranensi di Mussolini nei rapporti tra Stato e Chiesa, la politica economica
incentrata sulla riduzione dell’inflazione (che aveva galoppato per tutti gli
anni settanta) e sulla lotta all’evasione fiscale, il favore accordato alla
creazione del polo televisivo commerciale della Fininvest dell’amico Berlusconi
(favore interessato all’acquisizione di uno spazio mediatico che la RAI del
manuale Cencelli non poteva all’epoca offrire al PSI di Craxi), la lotta ai
potentati economici vecchi e nuovi rappresentati da Confindustria e Mediobanca
(i santuari del capitale del’epoca), la politica estera concentrata
sull’affrancamento dell’Italia dal ruolo di periferia dell’impero americano (culminata
nel leggendario episodio di Sigonella nel 1985, quando i carabinieri negarono
con le armi spianate ai marines statunitensi il permesso
di portarsi via dal suolo italiano i terroristi che avevano preso in ostaggio
la nave Achille Lauro) pur mantenendo il tradizionale atlantismo, sono tutti
fattori che rendono il quadriennio governativo craxiano un periodo storico particolarmente
significativo, comunque uno valuti azioni e risultati della sua politica.
Bettino Craxi lasciò il
governo nel 1987 allorché la DC reclamò per sé ed il suo segretario Ciriaco De
Mita la premiership. Fino al 1992 continuò ad esercitare un ruolo di
primo piano anche in Italia e fuori, e coltivò il sogno di tornare alla guida
del governo. Il crollo del Muro di Berlino metteva in crisi la posizione
internazionale sia della Democrazia Cristiana che del Partito Comunista.
Avrebbero potuto aprirsi
nuovi scenari per il Partito Socialista, che quell’anno festeggiava un secolo
di vita. Non sapremo mai come sarebbe andata, se il 17 febbraio di quello
stesso anno un giovane e fino ad allora oscuro magistrato della Procura di
Milano, Antonio Di Pietro, non avesse arrestato un esponente socialista
assessore al Comune di Milano, colto in flagrante mentre intascava una
tangente. E se da lì, come un geyser tenuto
sotto pressione per troppo tempo, non fosse esplosa Mani Pulite.
Come sarebbe successo in
seguito per il suo amico Berlusconi, è difficile che un personaggio del carisma
e del calibro di Bettino Craxi si attiri giudizi obbiettivi. E’ stato
probabilmente uno dei tre o quattro statisti di categoria superiore che la nostra
storia abbia annoverato, insieme a Cavour, Giolitti e De Gasperi. Ma il
giudizio su di lui è pesantemente condizionato da quanto emerse in quella
stagione di indagini sotto i riflettori della televisione in cui il Pool di Mani Pulite fece a pezzi la Prima Repubblica. La
quale Prima Repubblica dimostrò ampiamente di meritarselo, tra l’altro, alzando
le mani in segno di resa senza alcuna dignità. Con un’unica eccezione, quella
giustappunto di Bettino Craxi. Dal discorso in Parlamento con cui chiese la
fiducia per il proprio ex braccio destro Giuliano Amato fino a quello in aula
in tribunale a Milano con cui ribatté colpo su colpo a Di Pietro ed al Pool di Borrelli, Craxi rivendicò a se stesso ed al sistema
politico di cui aveva fatto parte la legittimità della propria azione, svoltasi
in un’epoca di guerra fredda, ma comunque guerreggiata. I suoi avversari gli
ribattevano che si era trattato solo di corruzione, che non fosse per beneficio
personale ma soltanto del partito non aveva importanza.
Craxi rimase in piedi
finché poté, di fronte ad un paese in cui montava la marea giustizialista.
Quando ricevette il primo avviso di garanzia, il 15 dicembre 1992, il suo destino
apparve segnato. Due mesi dopo si dimise da segretario del PSI, ed il partito stesso
non gli sopravvisse che pochi altri mesi. Il 30 aprile, dopo che la Camera
aveva negato l’autorizzazione a procedere nei suoi confronti, ci fu il famoso
lancio di monetine alla sua uscita dall’Hotel Raphael in Via del Corso a Roma,
un episodio che segna lo spartiacque storico tra la Prima e la Seconda
Repubblica. Con l’inizio di una nuova legislatura, in cui non era stato eletto
al Parlamento, Craxi divenne un cittadino qualsiasi liberamente perseguibile
dai magistrati. Ritenendo che questi ultimi avessero un fumus persecutionis nei suoi confronti, Bettino Craxi lasciò il suolo italiano
per l’ultima volta il 15 aprile 1994 per rifugiarsi nella Tunisia dell’amico
Ben Alì, e precisamente nella sua residenza di Hammamet. Un luogo che sarebbe
diventato un simbolo per chi voleva riscrivere la storia d’Italia in senso
diverso a quello che stava emergendo dai processi di Mani Pulite. Un luogo dal
quale Bettino Craxi non avrebbe più fatto ritorno.
Il 19 gennaio 2000 un
arresto cardiaco pose fine alla vita di quello che può considerarsi uno dei
maggiori statisti della storia d’Italia. Ai funerali, svoltisi a Tunisi, i
militanti socialisti presero a bersaglio di monetine la delegazione del governo
D’Alema inviata a presenziare, con ciò intendendo restituire il trattamento che
il loro leader aveva ricevuto all’uscita dell’Hotel Raphael. La tomba di
Bettino Craxi è orientata in direzione dell’Italia. Alcune amministrazioni
comunali hanno tentato in varie riprese di intitolargli strade o piazze, senza
successo, per una puntuale sollevazione più istituzionale che popolare che
comunque sembra mostrare come certe passioni del XX° secolo non si siano ancora
sopite. Per un giudizio storico equilibrato di Bettino Craxi bisognerà
attendere almeno un’altra generazione. Ma questo è il destino di tutte le grandi
personalità della storia.