Occhi che ci osservano ostili
dall’altra sponda del Mediterraneo. Non c’eravamo più abituati. Da quanto tempo
non succedeva?
Mai nella vita della maggior
parte degli italiani viventi. Sono sempre meno purtroppo quelli che per età
possono ricordare quella lunga e calda estate del 1943 in cui le coste della
Sicilia, l’ultimo avamposto del territorio nazionale, si attendevano da un
momento all’altro un’invasione nemica proveniente dalle coste del Nord Africa.
Le ultime truppe dell’Afrika Korps si erano arrese nel maggio,
Erwin Rommel, la volpe del deserto
che era arrivata ad un passo dalla conquista dell’Egitto ad El Alamein l’autunno
precedente, era stato richiamato in patria da Hitler, che riteneva ormai persa
la causa africana e voleva affidargli la difesa del vallo Atlantico, nel nord
della Francia occupata. Un attimo dopo la resa del suo successore, il generale
italiano Giovanni Messe, fu chiaro che sarebbe toccato all’Italia diventare
teatro degli scontri a fuoco successivi.
L’operazione Husky, lo sbarco in Sicilia, prese il via nella notte
tra il 9 ed il 10 luglio 1943, dapprima nei dintorni di Licata e poi a Gela.
Anche se il primo lembo di territorio italiano a cadere nelle mani degli
Alleati era stata l’isola di Pantelleria circa un mese prima, l’11 giugno. Per
il nostro paese, quei giorni furono la svolta nella partecipazione alla seconda
guerra mondiale. Nel giro di pochi giorni cadde un regime dittatoriale che
durava da oltre vent’anni. Nel giro di due mesi fu firmato un armistizio che
trasformava gli Alleati da nemici controvoglia a – appunto – alleati anche
nostri, ed i tedeschi da amici fraterni per quanto improbabili in quello che
erano sempre stati da prima del Risorgimento: maledetti invasori. Nel giro di
una notte, quella necessaria al re d’Italia ed alla sua corte per fuggire
lasciando il paese nelle mani d quegli invasori (che sospettavano e si erano
preparati), la nostra guerra divenne quella che era per il resto d’Europa: una
lotta di resistenza al nazifascismo in attesa della liberazione alleata.
George S. Patton |
L’ultima volta, quindi, fu più
una liberazione che un’invasione, e non erano quindi così ostili gli occhi che
ci guardavano tra la metà di quel maggio e quella di quel luglio da Tunisi,
Tripoli e gli altri luoghi dove Husky
veniva allestita. Tanto è vero che - ormai un fatto assodato - ai preparativi
presero parte non secondaria alcuni picciotti
siciliani che avevano fatto fortuna in America: Lucky Luciano, Vito Genovese,
Albert Anastasia e via dicendo. Che furono accolti a braccia aperte, insieme ai
G.I. di Patton e agli Highlanders e ai Granateri di Montgomery,
dai fratelli rimasti nella patria d’origine.
No, per ritrovare quella
sensazione di male assoluto in agguato oltre l’orizzonte, di terrore puro
pronto a scatenarsi incontrollabile alla vista di una singola imbarcazione,
magari sormontata da una vela nera, bisogna andare molto più indietro. Era
dalla battaglia di Lepanto, 7 ottobre 1571, che le nostre coste avevano perso l’abitudine
a scrutare l’orizzonte, in cerca dello nero
periglio che vien da lo mare. Gli invasori musulmani erano stati sconfitti
definitivamente nel golfo di Corinto dalle marinerie di Venezia e Genova
insieme a quella flotta spagnola che ancora si meritava la fama di Invencible Armada, non avendo ancora
incontrato sulla sua strada Francis Drake.
Hayr-Ed-Dihn detto il Barbarossa |
Da quel momento, della quasi
millenaria pressione islamica sulle nostre coste era rimasta solo una più
sporadica attività di pirateria, per quanto brillante quando era condotta da
corsari dell’abilità di quel Barbarossa
le cui spoglie mortali vengono tuttora onorate a Besiktas, il quartiere di
Istanbul dove si ritirò in pensione con il rango di Ammiraglio della Marina del
Sultano. Ma a parte queste scorrerie sempre più rare, quell’angoscia così bene
espressa dal celebre grido d’allarme “Mamma
li Turchi!” si era diradata fino a dissolversi, rimanendone memoria solo
nel nostro subconscio collettivo. Dopo il XVII° secolo Islam e Cristianità
sembravano avere imparato a convivere, facilitati dal fatto di essere
sostanzialmente organizzati in due imperi – quello Ottomano e quello Asburgico –
nessuno dei quali era in grado di soverchiare l’altro, ma tutti e due erano in
grado di tenere tranquilli nei propri ranghi i rispettivi sudditi.
La Caduta dei Giganti, come l’ha definita Ken Follett con felice
immagine, lasciò dopo la prima guerra mondiale e l’epopea di Lawrence d’Arabia
una situazione geopolitica tra le più complesse ed instabili, in Europa, Africa
ed Asia. Ma nel nostro immaginario (e nella realtà) i pericoli ormai venivano
da altre parti, come si incaricò di dimostrare la seconda guerra mondiale e la
successiva guerra fredda. L’Africa era tornata quasi ad essere quel bel suol d’amore di cui cantavano le
marcette fasciste, o per lo meno una sponda del mediterraneo tranquilla quasi quanto
la nostra. Era il Medio Oriente la sponda perennemente agitata, ma era lontana,
e man mano che il pericolo sovietico e dell’olocausto nucleare si allontanavano
egoisticamente ognuno di noi poteva lavarsi mani e coscienze dicendo che quello
che succedeva laggiù, in quelli che una volta anche per noi erano i “Luoghi
Santi” meritevoli di ogni massacro e carneficina, non era affar nostro.
Il Califfo Al Baghdadi |
Fino ad adesso. Adesso nel Golfo
della Sirte si affaccia l’Isis,
questo soggetto sinistro capace di rinnovare nel giro di pochi mesi gesta, leggende
e terrori di altri tempi e di altre cavalcate sull’onda del fanatismo islamico.
Poco più di un anno fa nessuno aveva sentito parlare del Califfo Al Baghdadi e
dei suoi seguaci, se non gli addetti ai lavori. In fondo le sigle che si
richiamano in un modo o nell’altro alla Jihad
nel mondo islamico si succedono con una rapidità una creatività ed una
continuità notevoli. Fuochi di paglia o realtà che non riescono ad andare mai
oltre la dimensione locale.
Questa no. Incredibilmente in
poco più di un anno crea uno stato indipendente nel cuore dell’Iraq e di lì
parte per una nuova cavalcata, scimitarra in pugno, alla conquista dell’Occidente.
Un anno dopo impegna eserciti su un fronte che va da Mosul vicino al confine
turco a Derna in Libia, sta marciando su Misurata e Tripoli, minaccia un
prossimo attacco alle coste italiane, proclama orgogliosa: “Siamo sotto Roma”.
A parte la scontata e sempre
rincuorante risposta del cittadino romano medio, “siete sotto Roma? Sulla Pontina? Mo’ so’ ca….. vostri, e quanno ve passa?”,
lo scenario che si è delineato ha talmente dell’incredibile da meritare una
riflessione approfondita, con il conforto della geopolitica, della scienza
militare, ma anche di un po’ di storia.
Al Califfo Al Baghdadi, o ai suoi
successori se è vero quanto sostiene l’MI6 britannico (cioè di averlo spedito a
miglior vita, anche se il precedente di Osama Bin Laden, della sua vita e della
sua presunta morte misteriose, autorizzano qualche perplessità) sarebbe insomma
riuscito di battere il già fenomenale record del suo antico predecessore, il
Califfo Omar secondo successore del Profeta Maometto.
Il dominio dell'Islam dopo le conquiste di Omar e dei suoi successori |
Nel 634 Omar raccolse la
successione del Profeta venuto a mancare due anni prima. Il predecessore Abu
Bakr aveva dovuto impiegare i suoi due anni di regno nella sedazione della
guerra civile tra le tribu scoppiata all’indomani della morte di Maometto. Omar
si trovò in mano l’ordine islamico ristabilito ed un esercito formidabile che
lanciò in una cavalcata leggendaria attraverso il Nord Africa. Poco più di vent’anni
dopo i suoi cavalieri avevano piantato le insegne del Califfato fino in
Maghreb, spazzando via tutti gli avversari egiziani, bizantini, visigoti,
vandali e mauretani.
Nello stesso tempo sull’altro
fronte a cui era esposta la penisola arabica, i suoi generali avevano
conquistato nientemeno che l’Impero Persiano (il più antico e potente degli
imperi dell’area) e tutta la cosiddetta Asia Minore (l’odierna Turchia)
riducendo all’osso i possedimenti dell’Impero Romano d’Oriente. Ancora, sulle
orme di Alessandro Magno ma con una velocità ed un’efficacia che ne surclassavano
la gloria e avrebbero avuto conseguenze di ben altra durata, si erano spinti
fino a ridosso della valle dell’Indo conquistando l’attuale Pakistan. Nel mezzo
di tutto ciò, Iraq e Palestina erano diventate parti del Califfato, e
Gerusalemme era stata consacrata come terza città santa dell’Islam, secondo il
sogno e la predicazione di Maometto.
La vittoria di Carlo Martello a Poitiers, prima sconfitta di un esercito islamico dopo Maometto |
Questa era stata la Jihad storica, termine che secondo l’accezione
del Corano, il libro lasciato da Maometto
a futuro insegnamento per i fedeli,
significa massimo sforzo nella direzione
desiderata da Dio. Il termine guerra
santa è subentrato in seguito, quando le posizioni si erano cristallizzate
e due mondi ormai inconciliabili avevano iniziato la loro guerra millenaria. La
cavalcata iniziata da Omar si era arrestata soltanto un secolo dopo a Poitiers
sui Pirenei per mano del Re franco Carlo Martello, il nonno di Carlo Magno, il
primo a salvare l’Europa dalla Mezzaluna. Del continente europeo, sarebbero
rimaste in mani arabe la Sicilia, fino alla conquista normanna dopo l’anno
Mille, e la Spagna, fino alla reconquista
di Isabella di Castiglia e Ferdinando d’Aragona conclusasi il 3 gennaio 1492.
Un record difficile da battere,
quanto lo era stato da stabilire. E’ indubbio che la cavalcata di Omar e dei
suoi successori, con la creazione dell’Impero prima Arabo e poi Turco, trovò le
condizioni più favorevoli possibili nel vuoto di potere soprattutto militare
che si era venuto a creare nel VII secolo dopo Cristo. La caduta dell’Impero
Romano d’Occidente aveva lasciato l’Europa in mano ai cosiddetti regni
Romano-Barbarici, che soltanto a partire da Carlo Magno riuscirono a
riorganizzare una entità politica e militare capace di resistere prima alle
invasioni e poi di condurne a sua volta, con le Crociate. Quando Nel 710 Tariq
dette il suo nome a Gibilterra conquistandola e aprendo le porte all’invasione
moresca della Spagna, Visigoti e Vandali ormai erano un boccone fin troppo
facile da inghiottire.
Maometto riceve gli insegnamenti dall'Arcangelo Gabriele |
L’Impero Romano d’Oriente si era
dissanguato nell’eterna guerra con quello Persiano, e per poco non sparirono
tutti e due sotto la Mezzaluna. Costantinopoli e la Grecia si guadagnarono
altri ottocento anni di difficile sopravvivenza, sostenuti dalle Repubbliche
Marinare anche quando la rinnovata vigoria dei Turchi si stava mangiando la
Penisola Balcanica. In Medio Oriente, Palestina e dintorni accolsero gli Arabi
come liberatori che mettevano fine all’odiatissima dominazione romana, e si può
capire. L’Africa, fino alle regioni subsahariane, una volta presa Cartagine e i
vecchi avamposti romani era una porta aperta.
In sintesi, Omar fu un grande
conquistatore che, al pari di Alessandro Magno, approfittò di un momento in cui
grandi avversari in circolazione non ce n’erano. L’Islam fu poi due volte fortunato perché
quando il bonus di questa prima conquista araba si stava esaurendo, arrivarono
i Turchi, fanatici come tutti i neoconvertiti e prodi guerrieri, a ridarle
vigore e a riportare il terrore in Europa per secoli.
Ora arriva questo sedicente
Califfo (o chi per lui) e in un’epoca in cui l’Occidente ha un vantaggio
tecnologico sul mondo arabo-islamico spaventoso riesce nel giro di un annetto a
fare qualcosa che perfino il leggendario Omar avrebbe potuto soltanto sognare.
No, signore e signori, c’è qualcosa che non va. C’è un limite alla
verosimiglianza di tutte le storie che ci possono raccontare. Questa l’ha già
passato.
Muhammar El Gheddafi, dittatore di Libia dal 1969 al 2011 |
Il mondo occidentale si sta
dibattendo alle prese con problemi che in gran parte si è creato da solo, ma
che se lasciati ancora a marcire potrebbero teoricamente travolgere le élites che in questo momento ne
determinano i destini. L’Europa dapprima ha patrocinato l’improbabile Primavera
Araba spodestando (per gli interessi dell’ancor più improbabile dei presidenti
francesi e di pochi altri) quelli che tecnicamente erano dittatori ma che in pratica
avevano assicurato alle loro popolazioni per decenni condizioni di vita neanche
paragonabili a quelle di adesso, senza fanatismi, sgozzamenti e barbe di Imam.
E a noi avevano assicurato una convivenza tutto sommato pacifica e prosperosa.
Passato il periodo del Gheddafi jihadista, avevamo negli ultimi decenni
beneficiato di un partner economico come pochi altri. Per non parlare di Egitto
e Tunisia. Abbiamo così tante volte accusato gli Stati Uniti di sprovvedutezza
in politica estera che adesso non è difficile immaginare che faccia stiano
facendo gli amici americani godendosi i guai in cui ci siamo andati a cacciare
noi, dall’alto dei nostri millenni d’esperienza e di savoir faire.
Merkel, Poroshenko e Putin |
Non basta. Ci siamo giocati l’unico
possibile alleato forte e sicuramente interessato a combattere lo stesso nemico,
il fondamentalismo islamico. Vladimir Putin è probabilmente a questo punto
talmente disgustato dalle intromissioni europee in una vicenda troppo presto
rubricata – secondo i nostri standards – come un’aggressione russa all’Ucraina,
da ritenerci fortunati se ci rimanda indietro vive e vegete le varie Merkel e
Mogherini che gli mandiamo a parlamentare.
E per soprammercato, stiamo
studiando anche come far finire ingloriosamente l’Eurozona mandando a chi – come il neoeletto governo ellenico di
Alexis Tsipras – chiede di non morire più di fame degli ultimatum che avrebbero
fatto la felicità di Adolf Hitler, Hermann Goering e Joseph Goebbels ai tempi
del Patto di Monaco.
Come si esce da questo
incartamento colossale? Vogliamo sbagliarci, ma risvegliare un antico terrore
ancestrale così ben sedimentato nella nostra storia collettiva come quello
della Mezzaluna ci sembra una soluzione fin troppo facile. Basta vedere cosa
viene conservato sul retro dell’altare della Cattedrale di Otranto, quella teca
enorme dove riposano i teschi degli ottocento abitanti decapitati dal corsaro Gedik Ahmet Pascià nel 1480, per capire
a cosa ci riferiamo. E guarda caso, qual è il marchio, il brand di questo Isis, che ogni sera viene proposto alle famiglie
italiane e europee all’ora di cena al telegiornale? La decapitazione in stile Otranto
dell’infedele. Cioè di uno di noi, uno de “nostri”.
I teschi di Otranto |
Con l’Isis non si tratta, non fa
prigionieri, accumula teschi e basta (anche se poi dietro lauto compenso le
nostre Greta e Vanessa ce le rende, siamo o non siamo il bancomat della
Jihad?). E’ un nemico talmente perfetto da sembrare studiato a tavolino, per
spazzar via dall’attenzione dell’opinione pubblica qualsiasi altra questione.
Per chiamare alle armi contro il nemico alle porte. Una volta di più, lo nero periglio che vien da lo mare.
Come ai tempi di Brancaleone. O di quel Papa Urbano II che a Clermont Ferrand
nel 1095 bandì la Prima Crociata, spaventato dalla preponderanza dei Turchi che
avevano chiuso i Luoghi Santi ai Cristiani, dopo secoli di tolleranza araba
(dietro compenso, anche quello era un bancomat).
Nemmeno Urbano II avrebbe potuto
chiedere qualcosa di meglio di questo Isis. Se non ci fosse stato, qualcuno avrebbe
dovuto inventarlo. Che l’abbiano fatto davvero?
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