A letto dopo Carosello. Era uno dei punti più fermi di un’infanzia che ne aveva
molti. Quasi un automatismo sociale, e assolutamente fuori discussione. Le
madri e i padri non avevano neanche bisogno di dirlo. Alla sigla finale, sulle
note della celebre fanfara che accompagnava la chiusura delll’altrettanto
celebre sipario, un esercito di bambini figli del boom economico si avviava
verso dentifricio e pigiama. La giornata finiva lì, senza eccezioni.
Il 3 febbraio 1957 la RAI
Radiotelevisione Italiana dette il via alla trasmissione di uno dei più celebri
format di tutti i tempi. In un
palinsesto in cui ancora più o meno tutto era da considerarsi nuovo (le
trasmissioni televisive erano cominciate appena tre anni prima, il 3 gennaio
1954), Carosello fu probabilmente la novità più grande.
Una delle leggi che regolavano allora
piuttosto rigidamente la diffusione nell’etere dei programmi televisivi stabiliva
che non potessero andare in onda spot pubblicitari durante i programmi. La
televisione degli albori, in bianco e nero, con un solo canale e rigidamente
sottoposta a censura, era nata e stava crescendo sviluppando tutti gli atteggiamenti
ambivalenti verso un mondo che stava cambiando rapidamente, aprendosi ad una
modernità inimmaginabile soltanto un decennio prima, da parte di una società
che non era forse preparata ad affrontare quel cambiamento e che doveva
comunque subirlo impetuosamente.
Di quel boom economico di cui
Carosello fu insieme la conseguenza e l’anticipazione la pubblicità era già
allora una componente essenziale. E tuttavia il “comune sentire” che ispirava
la normativa vigente riteneva ancora la trasmissione degli spot pubblicitari
come un qualcosa di altamente diseducativo. Il compromesso trovato da una RAI
che dimostrava una creatività in seguito forse non più eguagliata aggirando le
rigide convenzioni sociali sfruttò un’invenzione del regista Luciano Emmer. Il
contenitore comprendeva cinque sketch della durata di un minuto e
quarantacinque secondi l’uno, realizzati dai più famosi registi dell’epoca e
con la partecipazione di quasi tutti i più grandi attori italiani (e non solo),
a conclusione dei quali arrivava il breve e a quel punto accattivante messaggio
pubblicitario.
Il primo
spot andato in onda il 3 febbraio 1957 fu "Le avventure del signor Veneranda" per il Brandy Stock 84 con la regia di Eros Macchi,
attori Erminio Macario e Giulio
Marchetti, seguito da Shell con Giovanni
Canestrini , l'Oréal
con Mike Bongiorno, Singer con Mario
Carotenuto e Cynar con Carlo
Campanini e Tino Bianchi.
Aggiungi didascalia |
Gli ultimi,
quasi vent’anni dopo, il 1° gennaio 1977, furono il futuribile BTicino,
Amaro
Ramazzotti di Age &
Scarpelli, Tè Ati di Ermanno Olmi,
Dual Blu Gibaud con Mario
Valdemarin. Caso volle che infine l’ultimo spot pubblicizzasse lo
stesso prodotto che aveva avuto l’onore del primo, due decenni prima: toccò a Stock 84 mandare a letto
i bambini per l’ultima volta, e alla sua testimonial Raffaella
Carrà pronunciare le ultime parole di commiato per Carosello. Che
andò in pensione quella sera, mentre i bambini di tanti anni prima, ormai
cresciuti, si preparavano insieme ai genitori invecchiati con la televisione
pubblica a vivere la nuova stagione della RAI riformata e portata a tre canali
e della televisione commerciale, che avrebbe dato alla pubblicità un senso
nuovo e più adatto ad un mondo ormai completamente industrializzato e, appunto,
commercializzato.
In quasi
vent’anni, Carosello accompagnò l’Italia verso il suo destino di paese passato
in poco tempo da contadino ed arretrato a urbanizzato ed evoluto presentandosi
tutte le sere alle 20,50, introdotto dalla sigla più famosa della storia
televisiva. Dopo una versione iniziale ideata e girata in casa propria con
mezzi artigianali dallo stesso Luciano Emmer, a partire dal 1962 Carosello fu aperto
e chiuso dal sipario che rivelava i panorami del Ponte di Rialto a Venezia,
della Piazza del Campo di Siena, di Via Caracciolo a Napoli e di Piazza del
popolo a Roma, accompagnato dalla versione strumentale di una tarantella
napoletana che risaliva al 1825, intitolata Pagliaccio. A seguire,
i cinque spot che separavano i bimbi dalla buonanotte ed i più grandi dai
programmi della serata, dopo il Telegiornale.
In vent’anni,
Carosello saltò soltanto pochissime edizioni, e sempre per motivi più che
validi: la morte di due Papi, Pio XII e Giovanni XXIII, l’omicdio dei due
fratelli Kennedy, John e Robert, la strage di Piazza Fontana, l’ammaraggio dell’Apollo
14 di ritorno dalla Luna. Nel 1973, a causa dell’austerity conseguente alla prima crisi petrolifera, la RAI decise
di comprimere il suo palinsesto riducendo i programmi. Carosello fu anticipato
alle 20,30 e quello rimase il suo orario fino alla chiusura, quattro anni dopo.
In totale,
andarono in onda 7.261 episodi, dal primo all’ultimo di Stock 84. Poi una
modernità inevitabile, ma che stava togliendo altrettanto inevitabilmente ogni
fascino e poesia non solo all’infanzia dei bambini ma un po’ a tutta la nostra
vita, prese il sopravvento. Come tante altre aziende, fu per sesempio la Mira Lanza, gelosa del fatto che Calimero fosse tutto sommato più famoso
del suo prodotto che aveva a lungo reclamizzato, ad uccidere il pulcino. E con
lui un’epoca che non sarebbe mai più tornata in vita, malgrado i tentativi
postumi di ripescare nel vintage.
Nel 2013 la
RAI ormai commercializzata mise a punto un’operazione nostalgia lanciando Carosello Reloaded. La durata degli
spot era di 30 secondi l’uno, assai più breve rispetto al passato ma in linea
obbligata con tempi e costi della moderna pubblicità. La storica sigla, in
versione rivisitata e adeguata ai tempi, è tornata a risuonare nelle case degli
italiani. Ma nessuno va più ormai a letto dopo Carosello. Dall’ultima volta che
ha chiuso il gas, Carmencita non è
più tornata. E nelle camere dei bambini di adesso il pupazzo della buonanotte Calimero non c’è più.
Nessun commento:
Posta un commento