Mentre a Roma si continua l’inventario
dei danni alla Barcaccia, e qualcuno
si ricorda che Rotterdam, sede del famigerato Feyenoord, era anche la patria di
quell’Erasmo che scrisse l’Elogio della
follia (qualche suo connazionale magari ne ha un po’ travisato il senso),
alla fine si deve constatare che il centro del ring è sempre suo, è sempre lui
che rimane sotto i riflettori con la battuta più significativa, o – a seconda
dei gusti – la sparata più grossa.
Matteo Renzi a fare il duro
proprio non ci riesce, non è la sua cifra stilistica. Nell’iconografia di Happy Days a cui si ispira volentieri,
vorrebbe essere il temibile Fonzie.
Più spesso riesce ad assomigliare al goffo Potsie.
Le sue frasi a caldo dopo gli incidenti di Roma che ci sono costati uno dei
capolavori di Bernini padre, oltre a quello scarso residuo di immagine
internazionale che ancora ci restava da spendere, assomigliano soprattutto a se
stesso.
“Ci aspettiamo dal Feyenoord una parola sola, di cinque lettere: scusa”.
Ecco, ci mancava un capo di governo che chiede le scuse al presidente di una
società sportiva, ora il mazzo è completo, dicono dalle parti dove il Renzi è
nato. Ma del resto, come sa bene chi come noi ha seguito il fenomeno di questo
personaggio fin dai suoi albori politici, non è nuovo a queste uscite. Cinque
anni fa, la peggior nevicata a memoria d’uomo a Firenze, da lui opportunamente
sottovalutata e affrontata con una faciloneria destinata a diventare consueta, costò
alla città la peggior figuraccia fatta a memoria di sindaco. Il sindaco – manco
a dirlo - era lui, non ancora assurto ai fasti della politica nazionale ed al
segretariato dell’ectoplasma PD. Matteo Renzi, dopo ben quattro giorni in cui
per le strade di Firenze si aggirarono i lupi facendola da padrone (dell’ATAF
per esempio nemmeno l’ombra), intese cavarsela intimando alla neve di chiedere
scusa.
Chissà come se la ridono in
Olanda, e un po’ dovunque a giro per un continente che ha da tempo risolto i
problemi di ordine pubblico legati al calcio. Dovunque meno che in Italia,
ovviamente, basti pensare a cosa successe l’anno scorso sempre a Roma per la
finale di Coppa Italia. Nessuno per fortuna escogitò di cavarsela chiedendo a
Aurelio de Laurentiis di porgere le scuse da parte del Calcio Napoli per quello
che avevano combinato i suoi tifosi. La responsabilità oggettiva del resto è la
figlia di fico con cui uno stato che ormai ha abdicato alle sue funzioni
precipue ed esclusive ha scaricato sui cittadini (e le persone giuridiche
denominate società sportive sono cittadini anch’esse) la colpa delle proprie
omissioni. La squadra del presidente del consiglio nel frattempo ha giocato a
Londra, davanti a centomila persone italiani e inglesi nessuno dei quali si è
sognato di alzarsi per un attimo dal suo posto a sedere o di buttare a terra
una cartaccia prima o dopo la partita. Merito della Fiorentina, o merito di un
ordinamento giuridico per sempre intitolato alla memoria di Mrs. Margaret
Thatcher buonanima?
Così, mentre sindaco, prefetto e
questore di Roma fanno a gara a chi provoca più e meglio il malcontento
montante del popolo (la perla in questo caso è del Dott. D’Angelo, che declama
stentoreo “Io non faccio morti!”,
bravo Dottore, aspettiamo sempre che li facciano gli altri, e i suoi colleghi
di Londra, Parigi, Amsterdam, Istanbul e via dicendo sono tutti degli
incompetenti assassini), il presidente del consiglio è già passato oltre, via
verso nuove avventure. Il suo paese ormai fa acqua da tutte le parti, e c‘è quasi
da chiedersi se potrebbe stare peggio qualora la minaccia dell’ISIS si
rivelasse più seria rispetto alla probabile pagliacciata che è.
Matteo Renzi è già a festeggiare
altri successi, l’abolizione di un precariato che da tempo già non esisteva più
(sostituito da forme di precariato più efficaci e più durature, e comunque per
gli insoddisfatti c’è sempre la disoccupazione, chiara e netta), il salvataggio
della Grecia con Tsipras che addirittura telefona a lui per primo, almeno così
dicono i media. Chi salverà l’Italia, da Renzi, dalla Trojika, da una classe politica che è come un’idrovora senza nessuno
ai comandi, nessuno lo sa. Qualcuno in ogni caso telefonerà a qualcun altro, e
sarà già tanto se non si tratterà di una telefonata in stile Lotito. Nostalgia
di Franco Evangelisti, prezioso braccio destro di Giulio Andreotti: quanto era
più semplice, ed infinitamente meno costoso il suo celebre “a’ Fra’…che te serve?”
Il Renzi post-Nazareno è comunque
un territorio inesplorato. Fa’ a meno delle leggi, quando è complicato
cambiarle (già sarebbe necessario per questo saper leggere e scrivere, e a
giudicare dai Twit di tanti membri
dell’Esecutivo o dell’area di maggioranza non è così scontato). I consigli
regionali sono ampiamente in scadenza, ma di bandire i comizi elettorali non se
ne parla. Materia delicata? Forse. In fondo chi si presenta all’elettorato a
cuor leggero in questo momento? Al suo paesello natio, la Toscana, Renzi non ha
fatto nemmeno le primarie del suo partito, per paura di quello che avrebbe
potuto venirne fuori.
Era tutto più semplice ai tempi
del Nazareno. Come il mondo ai tempi della Cortina di Ferro, diviso in due
Blocchi che dicevano di essere in guerra, ma che erano guidati da due leader
collegati da un telefono di colore rosso attraverso il quale si parlavano a
meraviglia, evitando di dire e fare tante sciocchezze, soprattutto nucleari.
Per un anno e mezzo Silvio e Matteo, qualcuno dice Silvio il Vecchio e Silvio
il Giovane, avevano reso tutto più semplice. Profondamente invisi a buona parte
dell’establishment dei rispettivi partiti, ma dotati di un consenso popolare
personale che obbligava quell’establishment a piegare il collo, si erano messi
d’accordo per esautorare l’unico voto popolare consentito da sua Maestà Re
Giorgio e soprattutto la classe politica che ne era scaturita.
Il Parlamento si diverte, si potrebbe dire parafrasando un vecchio
film di Eric Charell, a proposito dell’assemblea condotta (si fa per dire) negli
ultimi due anni da Boldrini e Grasso fino all’apoteosi dell’elezione si Sergio
Mattarella alla presidenza della repubblica. Il capolavoro di Renzi, è stato
definito. Eleggere un democristiano per non perdere la componente
post-comunista del partito. Il Giovane che fa le scarpe al Vecchio. Il Giovane
che fa le scarpe a tutti. Il Vecchio che è finalmente finito. Il nuovo che
avanza.
Siamo sicuri? Il Nazareno è una
condizione dell’essere, non un patto politico che si può stracciare, come tutti
i patti. A Berlusconi serviva di arrivare alla fine della sospensione dei
diritti politici con il minor danno possibile per sé e per le proprie aziende,
e magari far credere a qualche acerrimo nemico di essere fuori gioco. A Renzi
serviva sopravvivere a tutte le anime del suo partito, da quelle
veterocomuniste a quelle che forse si chiedono se per non morire comuniste era
il caso di morire DC e confindustriali.
Sergio Mattarella era il
successore designato dallo stesso Napolitano, che l’aveva cooptato da tempo,
consegnandogli alla fine un paese a sovranità non più limitata ma addirittura
inesistente. Il problema era eleggerlo salvando le rispettive facce. Rompere il
Patto del Nazareno, o fingere di farlo, significa presentarsi ai “suoi” a
destra e a sinistra e poter dire “ho fatto il mio dovere”, e non avere tra l’altro
più nell’immediato l’obbligo di fare – o far finta di fare – riforme serie e
per questo scomodissime. Poi si voterà, o si farà finta di farlo (“Se servisse a qualcosa non ve lo
lascerebbero fare”, Mark Twain, cit.), poi si vedrà. Non si chiamerà più
Nazareno, si chiamerà in qualche altro modo. Tsipras forse salverà la Grecia
(semplicemente avendo mostrato un po’ di carattere alla BCE), Renzi non salverà
l’Italia (con Berlusconi contento perché le sue aziende sono vive e vegete e
gli insulti non se li prende più lui), ma i giornali italiani diranno che è il
primo a telefonare al secondo per ringraziarlo.
Siamo nel paese dove per
consegnarvi a casa la patente rinnovata secondo le norme UE (un vostro diritto,
se possedete i requisiti) lo Stato vi chiede 6,97 euro e poi ve la fa
recapitare da un postino che comunque a casa vostra ci sarebbe venuto comunque,
per il resto della corrispondenza. Ma poi lo stesso Stato vi affitta casa sul
Viale dei Fori Imperiali a Roma per la modica somma di 50 euro. Basta non
uscire di casa quando c’è qualche partita di calcio.
Una sola parola, di cinque
lettere: Renzi.
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