TRIESTE - La
mia compagna, nata a Trieste, non ha conosciuto suo nonno materno. E' sparito
nel maggio 1945. Sua madre, 7 anni, era alla messa con la mamma e la sorella
quando la polizia politica di Jozif Broz, detto Tito, dittatore della neonata
Jugoslavia e occupante dell'Istria italiana, venne a prenderlo a casa, dove era
tornato da pochi giorni in congedo alla fine della seconda guerra mondiale,
nella quale aveva servito il suo paese, l'Italia, nella Regia Marina.
Il nonno della
mia compagna, sottufficiale di Marina in congedo, sicuramente senza alcun
disonore e con il semplice stato di servizio di servitore della
patria riuscì a ricevere
un'unica visita della moglie, dopodiché sparì nel nulla, come tanti altri.
Sessantotto anni dopo, si suppone che i loro corpi giacciano nelle Foibe, quelle fenditure del
terreno di cui è piena la Venezia Giulia, dal Carso all'Istria. Né la
Jugoslavia, né gli stati che le sono successi alla morte del dittatore Tito,
uno dei tanti boia che sono morti nel proprio letto solo grazie a fortunate
congiunture politiche (di Guerra Fredda, per capirci), hanno ritenuto opportuno
anche soltanto ammettere il massacro, figuriamoci la sua entità e l’ubicazione
delle sue vittime. Del resto, l’Unione Europea ed i suoi comitati d’affari
hanno introdotto nella storia d’Europa recente ben altre problematiche, e la ex
Jugoslavia ha fatto e fa gola a molti cosiddetti investitori. La storia va
avanti, magari verso altre tragedie.
La madre della
mia compagna non rivide più suo padre vivo, dopo quella domenica del 1945, e
poco dopo dovette lasciare la sua casa e tutti i suoi beni di famiglia, a pena
della perdita anche del ricordo della sua famiglia e della sua identità
italiana. Dovette vivere anni da profuga nelle baracche allestite a Trieste,
ultima città salvata dall'Italia ad est e ultimo rifugio dei profughi scampati
al pogrom
jugoslavo, prima di
riuscire a costruirsi una nuova vita e ad accantonare (ma solo apparentemente)
i ricordi di una tragedia subita nella sua famiglia e nel suo essere.
Dopo
settant'anni, la madre della mia compagna non riesce (e non riuscirà mai) a
parlare della sua infanzia, di suo padre, della vita di quegli anni, senza
dover lottare con una commozione inutilmente repressa. La signora, come tanti
altri istriani, non riesce a ritornare (se proprio deve) nei luoghi natii
nell'attuale Jugoslavia (o come diavolo si chiama adesso), o a sentir parlare
una qualsiasi delle lingue slave, senza provare un moto che va dalla repulsione
alla commozione – in questo caso - travolgente.
Se mi permetto
di parlare di questa storia è solo perché, conoscendo il suo contesto storico a
causa dei miei studi da molto tempo prima di conoscere la mia compagna, sono
stato in grado di capire (almeno a livello di sentimenti consapevoli) cosa essa
abbia comportato per chi l'ha vissuta sulla sua pelle. E anche perché questa
storia da fondamento, giustifica e sostanzia in particolar modo la sensazione
di disgusto che provo - in maniera sempre più crescente - per questo paese in
cui sono nato, e che anche io come il nonno della mia compagna ho servito a suo
tempo come ufficiale dell'esercito. Disgusto per questo paese e soprattutto per
le sue istituzioni e chi le rappresenta che in circostanze come questa del 10
febbraio appunto si rinnova e si rafforza.
Oggi è
un’altra giornata della memoria. Volutamente disgiunta da quella celebrata il
27 gennaio, perché con una legge tardiva lo stato italiano prese atto soltanto
nel 2004 della triste sorte capitata a tanti nostri connazionali nei territori
dell’Istria, della Dalmazia e della Venezia Giulia e intese dare una ben magra
soddisfazione ai sopravvissuti degli eccidi comunisti jugoslavi ed agli eredi
delle relative vittime. La legge, presentata al Parlamento nazionale per
iniziativa del deputato triestino Roberto Menia e del suo partito, allora
denominato Alleanza Nazionale, arrivò meglio tardi che mai a colmare una lacuna
soprattutto culturale prima ancora che giuridica nel nostro ordinamento e nella
nostra coscienza civile.
Resti umani rinvenuti in una Foiba |
Nei
sessant’anni precedenti, infatti, mai si era fatta parola della tragedia degli
istriani, in ossequio ad una cultura di sinistra imperante che aveva nella
migliore delle ipotesi omesso (quando addirittura non negato) l’esistenza delle
Foibe in cui furono gettati dopo essere stati brutalmente soppressi (non sempre
si ricorse alla “misericordiosa” prassi della fucilazione) tutti coloro che
caddero a partire dal maggio 1945
in mano jugoslava e che avevano la sfortuna di essere italiani
non iscritti al partito comunista. Per sessant’anni fu lasciato esclusivamente
al Movimento sociale Italiano prima e ad Alleanza nazionale il compito di
risvegliare la memoria di quella tragedia e delle sue conseguenze.
La legge del
2004 (*) fece poco o nulla, se non ristabilire una verità storica fino ad
allora colpevolmente taciuta da tutte le forze politiche per mera convenienza,
e dotare gli ultimi superstiti dell’Olocausto titino di una targa commemorativa
in acciaio brunito con su scritto La Repubblica ricorda. Ma almeno si è introdotta nel
calendario, se non nella nostra coscienza distratta, una ricorrenza che
dovrebbe far riflettere al pari di quella simboleggiata dalla liberazione del
campo di Auschwitz-Birkenau. Tra parentesi, la data del 10 febbraio non fu
scelta a caso, richiamandosi a quel giorno del 1947 in cui l’Italia firmò
il Trattato di pace con gli Alleati, riconoscendo così e sanzionando tutte le
perdite subite sia da un punto di vista territoriale che delle vite umane e dei
beni patrimoniali appartenuti alle famiglie italiane che su quei territori
erano stati spazzati via dalla guerra.
Il Giorno del Ricordo era un’altra
occasione di riflessione, si diceva. Invece niente. A parte una pregevole
fiction interpretata anni fa dal bravo Beppe Fiorello, ogni 10 febbraio è
passato nell’indifferenza di istituzioni, forze politiche e società civile.
Sopra tutti brilla colui che è stato Presidente della Repubblica per nove anni, Giorgio Napolitano, il quale peraltro non ha mancato di rimarcare con la sua prosa spesso e
volentieri ultraretorica ogni occasione storica o di attualità che gli si è
presentata. Ogni occasione meno questa. Agli atti, gli si possono ascrivere sulla questione delle Foibe
soltanto poche parole pronunciate distrattamente nel suo primo anno e poi più
nulla o quasi. Del resto, dall’uomo che nel 1956 applaudì i carri armati
sovietici che soffocarono nel sangue la rivolta ungherese c’era da aspettarsi
ben poco, anche in questo senso. Chissà se quel Sergio Mattarella che gli è succeduto nella carica e che ha esordito con una visita a sorpresa alle Fosse Ardeatine saprà fare di meglio, rendendo giustizia non solo ai poveri martiri di Tito e compagni, ma anche e soprattutto alla verità storica: che le vittime del comunismo assassino non valgono meno di quelle del fascismo, del nazismo e di tutte le altre follie politiche e ereligiose escogitate dalla razza umana per far strage di se stessa.
Ma comunque il
Presidente è a tutti gli effetti espressione di una classe politica e di una
società civile che hanno perso da tempo quel poco di dignità consegnatoci in
eredità da coloro che oltre sessant’anni fa persero la vita perché noi oggi
potessimo permetterci perfino di dimenticare o ignorare la loro esistenza.
Monumento commemorativo presso la Foiba di Basovizza |
(*) Legge 30
marzo 2004 n. 92 - Istituzione del giorno del Ricordo - «La Repubblica
riconosce il 10 febbraio quale "Giorno del ricordo" al fine di
conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le
vittime delle foibe, dell'esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e
dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine
orientale. Nella giornata [...] sono previste iniziative per diffondere la
conoscenza dei tragici eventi presso i giovani delle scuole di ogni ordine e
grado. È altresì favorita, da parte di istituzioni ed enti, la realizzazione di
studi, convegni, incontri e dibattiti in modo da conservare la memoria di
quelle vicende. Tali iniziative sono, inoltre, volte a valorizzare il
patrimonio culturale, storico, letterario e artistico degli italiani
dell'Istria, di Fiume e delle coste dalmate, in particolare ponendo in rilievo
il contributo degli stessi, negli anni trascorsi e negli anni presenti, allo
sviluppo sociale e culturale del territorio della costa nord-orientale adriatica
ed altresì a preservare le tradizioni delle comunità istriano-dalmate residenti
nel territorio nazionale e all'estero».
Nessun commento:
Posta un commento