Le immagini di questa Parigi
livida, spettrale, deserta della mattina del 14 novembre in realtà le ho già
viste. Sono nel mio immaginario personale, e nell’immaginario collettivo della
mia generazione a cui le ha trasmesse quella precedente. Non ero nato quando
furono scattate, ma si sono stampate a fuoco nella mia memoria, ben prima che
mi appassionassi agli studi storici.
Sono le immagini di Parigi una
mattina di giugno del 1940. la Linea Maginot aveva ceduto rovinosamente, i
panzer di Heinz Guderian scorrazzavano trionfanti per le campagne francesi
“nach Paris”. Nella capitale della Francia e del Mondo Libero si aspettava da
un momento all’altro l’arrivo dei Nazisti. Chi poteva scappava, gli altri
aspettavano in casa di veder spuntare le croci uncinate sui boulevards. Come
puntualmente avvenne.
Sono passati settantacinque anni.
Per metà dei quali abbiamo creduto che avremmo rivisto Parigi invasa e
soggiogata prima o poi dai cosiddetti “cosacchi” dell’Armata Rossa. In realtà,
già allora si profilava all’orizzonte un nemico ben più reale e consistente (se
possibile): una nuova cavalcata dell’Islam verso il cuore della Cristianità, da
fare impallidire quella che seguì alla morte di Maometto e che rischiò di fare
del mediterraneo un lago arabo.
Sono passati tutti questi anni.
Abbiamo lasciato correre tutti i segnali che – dagli anni sessanta ad oggi –
avrebbero dovuto invece rimettere sul chi vive chi era già stato travolto dalla
follia del dominio sul mondo intero. Chi era abituato da secoli tra l’altro a
scrutare il mare in cerca delle terribili vele nere dei pirati moreschi.
Abbiamo liquidato con disprezzo chi era stato nei luoghi dell’Islam e ne aveva
riportato racconti che avrebbero dovuto preoccuparci. Ben prima che Settembre
Nero compisse la prima clamorosa strage sul suolo europeo, a Monaco nel 1972
durante le Olimpiadi. Ma in fondo, pensò la nostra coscienza collettiva di
cattolici mal laicizzati, si trattava solo di ebrei. Fatti loro, anzi (per
qualcuno) bene così.
E così, una Oriana Fallaci che
era stata il mito dell’antiamericanismo di matrice più o meno comunista al
tempo della guerra in Vietnam (un mito anche allora per degli ignoranti che non
avevano letto per bene mezza riga di quello che scriveva, lei che adorava gli
Stati Uniti d’America – da ex partigiana che aveva sfiorato la morte per mano
dei nazifascisti – e che tuttavia agli Stati Uniti d’America non aveva mai
fatto mancare critiche anche feroci per tutti i loro errori), era diventata
l’oggetto del disprezzo da parte della galassia degli orfani della Falce e
Martello. Perché quando finalmente l’Islam aveva gettato l’ultima patetica
maschera l’11 settembre 2001 tirando giù le Twin Towers a New York, lei aveva
osato dire le cose come stavano. Come diceva da anni, del resto, ad un mondo
troppo distratto o troppo interessato dalla benzina che tutti i giorni metteva
nel serbatoio delle proprie macchine o dei furgoni che trasportavano i propri
beni.
Pochi giorni prima che i kamikaze
si facessero saltare in aria (ma può chiamarsi religione questa che glorifica
chi si fa ammazzare ed ammazza in nome del vero Dio e della vera fede?) a Saint
Denis, a Les Halles, al Bataclan, a Place de la Republique (in quei luoghi cioè
che non sono soltanto il simbolo di tutto ciò che è – grazie a Dio, quello vero
– la nostra cultura di uomini e donne occidentali, ma dove inoltre mandiamo
quotidianamente i nostri figli con gioia perché maturino nel miglior modo
possibile, diventando come noi e meglio di noi), avevo finito di leggere “Le
radici dell’odio”.
E’ l’ultimo libro postumo di
Oriana, pubblicato proprio ora a ben nove anni di distanza dalla sua morte (ma
niente succede per caso) e con una improbabile prefazione della veterocomunista
Lucia Annunziata. La quale è comunque costretta pur nella sua prosa fumosa,
involuta e inconcludente a convenire che la grande giornalista – di cui il
libro riassume e ripercorre gli scritti fondamentali di cinquant’anni di
reportages dai luoghi dell’Islam – era stata del tutto profetica. Le parole di
Oriana mi sono risuonate nelle orecchie ancora più forti e violente delle
esplosioni nella Ville Lumiere. E stavolta, i fastidiosi squittii della
galassia post-comunista non li sento nemmeno, tanto sono ridicoli e patetici.
Stavolta la verità è sotto gli occhi di tutti, tragicamente rappresentata da
129 (per ora) corpi straziati e dalle strade di Parigi di nuovo deserte come
quando attendevano l’arrivo di Hitler.
Il Nazismo oggi si chiama Islam.
E come settantacinque anni fa una parte di questa Europa che ne subisce
l’assalto preferisce nascondere a se stessa la verità con mille autosuggestioni
fuorvianti. Negli anni 30 il continente veniva da un’altra guerra mondiale a
breve distanza, quella del 1915-18, che era stata spaventosa. I peace ballots
del 1935, il referendum che chiese al popolo della Gran Bretagna se sarebbe
stato disposto a tornare a combattere per prevenire il nascente riarmo tedesco
sotto il Nazismo, dette come risultato una schiacciante maggioranza per il NO.
Il risultato fu che quattro anni dopo gli inglesi dovettero rimettersi comunque
in divisa in fretta e furia, avendo perso nel frattempo tutto il loro vantaggio
militare strategico e tattico. Il risultato fu che in quei giorni del 1940 in cui il loro
esercito insieme ai resti di quello francese ripiegavano rovinosamente verso la
salvezza a Dunkerque, Sua Maestà Re Giorgio VI dovette anche lui in fretta e
furia conferire l’incarico di Primo Ministro a colui che era stato sbeffeggiato
per un decennio a causa delle sue “manie guerrafondaie”. E che in quel momento
rimaneva sulla scena come l’unico inglese dotato di forza e carattere per
portare la sua patria e tutto il Mondo Libero alla sopravvivenza.
Winston Churchill fu la Oriana Fallaci
degli Anni 30. Oggi l’Europa viene invece dal più lungo periodo di pace della
sua storia. E’ forse un deterrente ancora maggiore per chi deve cominciare a
pensare di rinunciare a qualcuno dei propri conforts e a disporsi alla
resistenza contro questo nuovo Nazismo predicato dal Corano. Si, cari signori.
Dal Corano. Leggetelo bene, e non nella versione edulcorata (si fa per dire) dell’Imam
di Segrate o simili. Gli infedeli come noi non hanno diritti, come non ce li
hanno gli ebrei. Siamo soltanto entità da tollerare (previo compenso economico,
bella religione, complimenti ancora), senza diritti civili né tantomeno
politici. E alla fine da sgozzare e trucidare, se proprio insistiamo a non
volerci “convertire” alla vera e unica fede. Nel Corano c’è scritto questo, e
chi dice il contrario, chi distingue fra Islam buono e Islam cattivo, mente
sapendo di mentire. Oppure, meglio ancora, non sapendo proprio niente.
Ne ha da fare di strada l’Islam
prima di poter essere considerata una religione, una cultura con cui dialogare.
Loro il dialogo lo intendono soltanto per avvicinarsi a noi a distanza di
coltello. Finché non si avvererà la profezia di Boumedienne nel 1974. Grazie
alle loro capacità riproduttive, un giorno su questo continente loro saranno
più di noi. Quel giorno, l’Islam smetterà di cercare il dialogo e di limitarsi
a chiedere la costruzione di moschee come luogo di spiritualità. Quel giorno,
usciranno fuori i coltelli e come nel settimo secolo dopo Cristo si prenderanno
con la forza quello che era nostro.
Non è più tempo di piangere, di
accendere ceri o di spegnere le luci, di mettere foto di bandiere listate a
lutto. E’ tempo di aprire gli occhi, di prepararsi a resistere, a reagire. Wake
up, Occidente! E se non vi piacciono le parole di Oriana Fallaci ditelo come
diavolo vi pare, ma soprattutto fatelo! E soprattutto, per l’amor del cielo,
basta con questo opportunismo da italianuzzi, che si sentono al sicuro perché
la nostra penisola è un luogo di approdo e di basi logistiche per la Jihad, ed
“a noi non faranno mai nulla”.
Cari vigliacchi, la Francia siamo
anche noi. Noi siamo la Francia. Siamo nati – per quello di buono che siamo –
nel 1789, alla Bastiglia. La Marsigliese è il nostro inno, e risuona tutti i
giorni a ricordarci quanto è costato a noi cristiani emergere dalle tenebre di
una religione un tempo altrettanto oscurantista. E quanto costerebbe ripiombare
in quelle tenebre, ora che conosciamo pregi e difetti di tutti i sistemi e di
tutte le culture.
L’altra sera dallo Stade de
France a Saint Denis gli scampati al massacro uscivano cantando tutti in coro
La Marsigliese. Possono starci a volte antipatici, i nostri cugini, et pour
cause. Ma hanno insegnato al mondo che cosa è un popolo vero, unito e libero.
Non è un caso che le bombe scoppino a Parigi, capitale della nostra cultura,
della nostra civiltà, del nostro mondo. Del Mondo Libero. E sono bombe tirate
anche a noi. Chi si mette contro Parigi si mette contro tutti noi.
Wake up, Occidente! Oppure
altrimenti vai a quell’inferno che il Profeta ti ha destinato.
Eugène Delacroix, La Liberté guidant le peuple, 1830 |
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