“Nel corrente utilizzo giornalistico e
popolare, si definisce derby una partita di calcio
giocata tra due squadre della stessa città. Per estensione, il termine derby
può poi venire utilizzato per riferirsi ad un incontro molto sentito fra
squadre con accese rivalità agonistiche o che appartengono a una comune entità
geografica” (cfr. Wikipedia).
Tralasciando approfondimenti
storici che rimandano all’origine del termine (mutuato nientemeno che
dall’ippica, ma crediamo che stamattina nessuno dei nostri lettori abbia voglia
di appassionarsi alle vicende di Edward Stanley, dodicesimo Conte di Derby),
basti qui dire che nel corso di una stagione una squadra di calcio di questi incontri
“molto sentiti” ne gioca diversi.
Non fa eccezione la nostra
Fiorentina, che nella realtà della regione di cui Firenze è capoluogo deve far
fronte alla gestione di tante rivalità quante sono le città e cittadine dotate
di squadra di calcio presenti sul territorio. Più che di Derby sarebbe comunque
lecito parlare di “campanile”, suona più nostrano e rende meglio l’idea.
Non fa eccezione Empoli,
periferia di lusso della provincia di Firenze, che con buona pace delle recenti
innovazioni istituzionali e amministrative stenta a vedere nel capoluogo il
cuore di una città metropolitana comune, ma piuttosto nutre verso di esso
sentimenti ambivalenti. Amore poco (crediamo), odio nessuno (speriamo),
rivalità tantissima (è un dato di fatto).
Insomma, per farla breve visto
che siamo a commentare un pareggio casalingo che costa alla squadra viola il
primato in classifica, quell’essere capolista che aveva ridestato – o destato
per la prima volta – sensazioni nuove del tutto dimenticate o sconosciute nei
suoi tifosi, l’Empoli viene, è sempre venuto e verrà sempre a Firenze a fare la
partita della vita. Ed a giocarsela alla morte.
E’ un dato di fatto costante,
così come è o dovrebbe essere l’altro secondo cui dei baldi giovani
sufficientemente allenati di vent’anni o poco più se non reggono loro tre
partite ad alto (ma non ancora altissimo) livello ad inizio stagione vorremmo
tanto sapere al mondo chi le regge. Ora, un’altra parola per cui bisognerebbe
ricorrere a Wikipedia (almeno per sapere chi l’ha inventata e con chi
rifarsela) è turnover. Quella pratica invalsa nel calcio italiano secondo cui
se giochi domenica poi non giochi giovedi All’estero tutti corrono come dannati
per quasi dieci mesi su dodici, la rosa dei titolari effettivi per l’intera
stagione si aggira mediamente intorno alle 14 unità, qui da noi no. Non sia
mai, non puoi farti Empoli e Basilea una dietro l’altra. Ci vuole la panchina
lunga.
Mi rendo conto che l’ho presa
larga, ma commentare questo 2-2 casalingo tra Fiorentina ed Empoli è dura.
Anche perché rischia di diventare come la Corrazzata Potemkim per Fantozzi: una
boiata pazzesca. Quei due punti persi che alla fine non vorremmo trovarci a
dover rimpiangere per nessun motivo al mondo. Paulo Sousa non è uno che segue
le mode, né uno che ha paura di chiedere ai suoi il massimo, ed anche qualcosa
di più. Non solo, ma ormai è sulla panchina viola da oltre tre mesi e qualche
esperienza, in positivo e in negativo, ormai se la sarà fatta. Qualche
gerarchia di valori tecnici se la deve essere formata nella mente. E allora
perché questo turnover, rivelatosi alla prova dei fatti più dannoso della
grandine? Che lascia a fare la capolista un’Inter utilitaristica che non è
parsa proprio avere qualcosa in più di questa Fiorentina, se non una estrema
concretezza? Che ci ritira addosso un Napoli Higuain-dipendente finché si
vuole, ma a cui al momento non si può concedere vantaggi, mentre già nello
specchietto retrovisore cominciano ad apparire in lontananza quei colori
bianconeri che quest’anno sembravano fuori gioco, attardati in fondo al gruppo
degli inseguitori in netto ritardo?
Diciamo la verità, avesse
commesso questo errore quel Vincenzo Montella che abbiamo definitivamente
salutato in settimana dopo il suo approdo a Genova non gli sarebbe stato
risparmiato nulla di nulla. Il suo successore Paulo Sousa è ancora – e
giustamente – in luna di miele con addetti ai lavori e tifosi, e pertanto
secondo costume gli si perdona tutto. Anche se questo pareggio con l’Empoli
rischia di rivelarsi più funesto della sconfitta interna con il Verona l’anno
scorso. Quest’anno del resto ci si gioca molto di più, a detta anche dei patron
Della valle, ieri spettatori interessati ed appassionati del derby toscano.
Probabilmente questo match
infrasettimanale nella sua città di provenienza, oltre che essere decisivo per
il prosieguo della sua squadra in Europa League, provoca delle turbative
psicologiche aggiuntive nel mister portoghese. A Basilea Sousa non vuole
sfigurare, prima ancora che perdere, e si può capire. Ecco perché lascia fuori
un Bernardeschi in grande spolvero e mette in campo un Rebic che definire
imbarazzante è un complimento, preferisce a Badelj un Mati Fernandez che non fa
altro che pesticciare i piedi a Borja Valero, il quale deve giustamente andare
a liberarsi della sua marcatura prima ancora che di quella degli avversari
empolesi. Ma soprattutto, con il rientrante Alonso ancora a scartamento ridotto
sulla fascia, affida il cuore del centrocampo ad un Suarez che per quanto
apparso in ripresa ancora non può reggerne il peso, e quello dell’attacco ad un
solitario Babacar che non potrebbe farcela anche se fosse meno indolente e
indisponente di quello che – purtroppo –conferma di essere.
Basta un quarto d’ora di un
Kalinic ai suoi consueti livelli per regolare la pratica Empoli. Peccato che
nel primo tempo in campo – contro la Fiorentina B – ci sia stato appunto solo
l’Empoli che ne ha fatti due e ne poteva fare anche tre. Sì, perché se è vero
che le partite vengono decise dagli episodi, il primo gol di Livaja sarà anche
partito dal fuorigioco, il secondo di Bouchel sarà anche un tiro della
domenica, ma su Saponara c’è un rigore di Astori abbastanza netto. E allora
lasciamo stare l’arbitro Banti, le partite vengono decise dai giocatori buoni e
dallo spirito con cui vengono mandati in campo. Con Kalinic e Benardeschi
dall’inizio la Fiorentina oggi sarebbe ancora capolista (lo sarebbe comunque se
la traversa non dicesse no alla tripletta del croato) e partirebbe per Basilea
con ben altro spirito. Il resto son discorsi.
A fine partita Sousa ammette il
suo errore di formazione. Grazie Paulo, ma per una volta non ci basta. Proprio
tu ci stai abituando a guardare oltre, fino in fondo, fino a quello che può
esserci al termine di questa stagione in termini di risultato finale e di oggettistica
da alzare al cielo. Hai voglia a dire che fai le omelettes con le uova che ti
danno. Avrai capito che non tutte le uova che ti hanno dato sono pregiate allo
stesso modo, alcune ti fanno mangiare da re anche con una semplice frittata,
altre sono puramente decorative. Ed in ogni caso siamo in uno di quei momenti
della stagione in cui è meglio mettere in campo coloro con i quali si va sul
sicuro.
E’ il momento in cui bisognerebbe
provare ad allungare, sfruttando anche un calendario non proibitivo. E invece
siamo sempre lì, intruppati con squadre che a differenza della Fiorentina non
regalano nulla. Sarà bene stare attenti a come l’Ospedale Meyer spenderà la
generosa donazione fattagli dai Della Valle la settimana scorsa, ma anche a
come verrà gestito il capitale accumulato in queste tredici giornate di
campionato.
Caro Paulo, giocati pure il tuo
amarcord a Basilea, se va bene siamo i primi ad esserne felici. Poi a Sassuolo
c’è un altro “derby”, contro un’altra provinciale da non sottovalutare e che
invece sarà facilissimo sottovalutare.
Scuse accettate, per l’amor di
Dio. Ma che non risucceda più.
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