Su qualche muro di casa di Firenze
si vedono ancora, scritte ormai praticamente indelebili che nessuno vuole o può
toccare, probabilmente prese anche sotto tutela dalla Soprintendenza alle Belle
Arti. Grazie Lech Poznan. Sono lì dal dicembre 2010, da quando alcune mani
ignote ma sicuramente viola intesero esprimere gratitudine alla squadra polacca
per aver eliminato la rivale di sempre, la Juventus, dall’Europa League.
Era una Juve non nella sua
edizione migliore, sulla sua panchina sedeva quel noto surplus di antipatia che
rispondeva e risponde al nome di Gigi Del Neri. I bianconeri fecero
clamorosamente 3-3 in casa. In Polonia, dove già infuriavano i primi rigori di
quell’inverno che una volta aveva sconfitto nientemeno che Napoleone, fu un 1-1
più da hockey sul ghiaccio, maturato su un campo che definire ai limiti dell’impraticabilità
era un eufemismo.
Tanta acqua è passata (e
congelata) sul fiume Warta che attraversa la città di Poznan, capoluogo del
Voivodato della Grande Polonia e una delle capitali culturali ed industriali
del paese che ha dato i natali al nostro Kuba Blaszczykowski. Tanta acqua ed
anche un campionato europeo in cogestione con l’Ucraina, che ha lasciato in
eredità alla città uno stadio veramente bello. Avveniristico per noi che
veniamo dai resti di quella che fu Italia 90. Oddio, basta uscire dai nostri
confini per trovare impianti che stringono il cuore di commozione ed invidia.
Ma questo di Poznan è veramente bello.
Bella era anche la squadra che vi
giocava nella scorsa stagione, intitolata a Lech, il leggendario fondatore
della nazione polacca. Talmente bella da laurearsi campione di Polonia, il
settimo titolo della sua storia cominciata nel 1922. Poi qualcosa è successo,
Poznan adesso naviga nel mare tempestoso del fondo classifica. Ciò non gli ha
impedito all’andata di sorprendere una Fiorentina B in chiaro atteggiamento di
presa sottogamba. Stasera non ci sarà tempo né modo comunque per i viola di
rinverdire piacevoli ricordi o stabilire eventuali gemellaggi anti-juventini.
La classifica bizzarra di questo che sembrava un girone ampiamente alla nostra
portata di mano offre una situazione da ultima spiaggia ai ragazzi di Sousa:
sono ancora a tempo a qualificarsi, a condizione di non sbagliare più. Dentro o
fuori, vincere o morire, almeno in Europa.
Paulo Sousa in conferenza stampa
presenta la partita come una ripetizione (preferibilmente in meglio) di quella
d’andata. Dobbiamo creare le stesse occasioni da rete – dice in sostanza – e stavolta
sfruttarle. Sarà sufficiente. In effetti tra Poznan e Roma la Fiorentina si
mangiò in casa tanti gol da fare indigestione, restando con il proverbiale
pugno di mosche in mano. Non dovrebbe essere difficile, almeno contro i
polacchi, combinare qualcosa di più e agganciare almeno il secondo posto in
classifica.
In realtà, il mister sa bene che
stasera sarà tutt’altra partita. Il Lech vorrà sfruttare la congiuntura
favorevole creatasi con la vittoria di Firenze. Tutti indietro, muro di pedatoni
su palla o gamba e ripartenze che possono anche essere pericolose, come si è
visto al Franchi. Ecco allora che un allenatore che ha già dimostrato di non
essere per niente scolastico tira fuori dal cilindro l’ennesima formazione a
sorpresa, tra l’incosciente ed il coraggioso (questo lo stabilisce sempre il
risultato, dopo).
Sepe; Tomovic, Rodriguez, Astori;
Blaszczykowski, Vecino, Suarez, Bernardeschi; Mati Fernandez, Ilicic, Rossi.
Fiducia al portiere di riserva che deve dimostrare di valere più di quanto
fatto vedere finora. Fiducia all’enfant du pays Kuba (i suoi connazionali non
gli riserveranno particolari manifestazioni d’affetto, ma con la loro squadra
sotto nel punteggio è normale), fiducia al redivivo Suarez accanto al concreto
Vecino. Prima linea leggera con Bernardeschi e Rossi, con Ilicic a fare un po’
il trequartista e un po’ la punta, a seconda dell’estro e delle circostanze.
Fiducia a Mati Fernandez che deve dimostrare in una partita di mazzolatori di
non essere solo un giocatore bello a vedersi ma poco concreto. Fuori gente del
calibro di Borja Valero e Kalinic, per non parlare di un Babacar che sembrava
ovvio stasera.
L’introduzione è stata lunga, e
ce ne scusiamo. Del resto per raccontare questa partita basta poco: 88 minuti
più 3 di recupero che aggiungono poco o nulla al nostro archivio personale di
immagini calcistiche. Bastano invece due minuti del miglior Ilicic per mandare
avanti questa Fiorentina in Europa (a meno di sciocchezze ulteriori commesse a
Basilea o in casa con i dopolavoristi del Belenenses).
E’ una partita strana, in cui si
fanno apprezzare alcune individualità piuttosto che la squadra intesa come
collettivo. Non gioca bene la Fiorentina, ma gioca all’altezza. Non è una
partita da fioretto, ma bensì da clava. E viene da pensare, vista la facilità
relativa con cui il punteggio si muove dalla parte dei viola, che se vinci
anche quando la prestazione è, insomma, un po’ così, allora deve essere proprio
il cosiddetto “anno buono”.
E’ una partita di pazienza e
fatica, come ammetterà il mister Sousa alla fine. E i suoi la interpretano con
pazienza e fatica. Prendendo più botte di quante palle riesca loro di giocare,
come Pepito Rossi. Tentando caparbiamente di sfondare le folte e fortificate
linee nemiche, come Bernardeschi e Mati Fernandez, che macinano chilometri in
attacco e quando serve anche in difesa. Aspettando, con il caratteristico
atteggiamento sornione che stasera ha il segno positivo, l’occasione favorevole,
come Josip Ilicic. Sapendo che prima o poi arriverà.
Uno dei due minuti memorabili di
questa partita è il 42’ del primo tempo. Rossi tenta una delle sue giravolte
vicino al limite dell’area avversaria e prende un pedatone, sopravvivendo
miracolosamente. Sul luogo della punizione concessa dall’arbitro lituano Gediminas Mažeika, si reca Ilicic che
con estrema sicurezza allontana tutti i compagni e si concentra. Nei suoi occhi
c’è una convinzione che fa ben sperare. E infatti, il tiro è alla Maradona. 1-0
e si va negli spogliatoi con la testa finalmente fuori dall’acqua, e
spensierata. Ha molto da farsi perdonare il buon Josip, soprattutto un ottavo
di finale di Europa League contro la Juventus ed una finale di Coppa Italia
contro il Napoli. Finalmente ha cominciato a restituire qualcosa alla sua squadra.
Nella ripresa, si assiste a due
tiracci del Poznan fuori quanto basta per arrestare comunque i battiti di tutti
i cuori viola. Poi a dei cambi tra l‘obbligato e l’opportuno, che però appaiono
spostare poco in termini di equilibrio tattico: Kalinic per Rossi, Marcos
Alonso (apparso tornato lui, senza conseguenze, evviva) per Kuba, Badelj per
Mario Suarez. Il croato venuto da Dnipropetrovsk per la verità stasera sembra
avere un atteggiamento come di chi aveva fatto altri programmi piuttosto che
giocare (oppure ha soltanto bisogno di tirare il fiato, e ciò spiegherebbe il
suo mancato impiego dall’inizio).
Ma stasera SuperNikola non serve,
perché c’è SuperJosip. Minuto 83’, Badelj recupera palla, serve Mati che taglia
in profondità la difesa polacca lanciando a rete Ilicic. Il quale si fa quasi
mezzo campo arrivando a tu per tu con il portiere Buric fresco come una rosa e
implacabile come il giocatore che avremmo sempre voluto che fosse stato. 2-0 e
Fiorentina che può festeggiare lo scampato (si spera) pericolo di una prematura
e dai pericolosissimi contraccolpi eliminazione dalla competizione europea.
La notte polacca non è così
gelida come quando il Lech eliminò la Juventus, anzi è altrettanto dolce per i
colori viola. La Fiorentina prosegue in questa sua stagione dai contorni ancora
indefinibili, dando la sensazione di avere le idee molto chiare su dove possa e
voglia arrivare, almeno quanto ce le ha chiare il suo tecnico. Che per ora
applica alla grande la proprietà commutativa: invertendo l’ordine dei fattori
il prodotto non cambia.
Grazie ancora Lech Poznan. Avanti
viola.
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