I fischi con cui è stato
sfregiato il minuto di silenzio per le vittime di Parigi prima dell’amichevole
Turchia – Grecia allo stadio Terim di Istanbul, insieme al grido Allahu Akbar (Allah è grande),
rappresentano un episodio certamente molto grave. Non tanto per l’insulto
recato a 129 persone (ma il bilancio finale è destinato a salire) a cui nessuno
può ormai purtroppo più fare del male, quanto per l’oltraggio portato a tutti
noi occidentali. Sempre più alle prese con le conseguenze della "grandezza" di
Allah.
Non c’è arrampicata sugli specchi
da parte di alcuna autorità turca che possa attenuare la bruttissima figura fatta
in questa circostanza da quel paese. L’unico a salvare la faccia e a
sdrammatizzare opportunamente è stato l’allenatore Fatih Terim, giramondo
cosmopolita che ha intelligentemente chiosato: “certa gente non riesce a stare
ferma neanche un minuto”. Tentativo apprezzabile da parte del simpatico “conquistatore”
(tale è il significato del suo nome di battesimo), che però in definitiva
sposta poco.
Sembrano lontani i tempi in cui
la Turchia ambiva a diventare membro dell’Unione Europea (idea sulla quale
probabilmente ha rimuginato negativamente, e giustamente, da tempo). Sembrano
sempre più lontani anche i tempi di Mustafà Kemal Ataturk, e del suo sforzo di
trasformare il cuore dell’Impero Ottomano in una nazione laica e moderna. Le
recenti elezioni non hanno confermato a caso la leadership di Recep Tayyp
Erdogan. Il “sultano” ha riportato una maggioranza schiacciante, che fa
impallidire il ricordo pur recente delle manifestazioni di Piazza Taksim, con
cui una ormai occidentalizzata Istanbul fermò il suo più clamoroso tentativo di
riportare indietro l’orologio della storia nel suo paese.
I fischi, levatisi stridenti e
sorprendenti proprio nel cielo di Istanbul insieme a quel grido di guerra con
cui dai tempi di Saladino i guerrieri islamici lanciano la loro sfida all’Occidente,
sono – dicevamo – un episodio grave. Tanto più grave perché risuonano nella più
improbabile (in tal senso) delle metropoli dell’unico paese di religione e
cultura islamica che finora poteva definirsi realmente laicizzato e
modernizzato.
Ieri mattina, tra i tanti, il
segretario della Lega Nord Matteo Salvini ha chiesto l’esclusione della Turchia
da tutte le competizioni sportive internazionali. Sull’onda dello sconcerto del
momento ho personalmente e istintivamente commentato a favore di questo
eventuale provvedimento. A mente fredda, tuttavia, ritengo che avevo torto.
Intanto perché se dovessimo escludere dagli eventi sportivi tutti coloro che si
rendono colpevoli di gravi intemperanze nel campionato europeo di calcio per
esempio resterebbero a fatica tre squadre, due islandesi e una maltese. Ma soprattutto
perché significherebbe dare una mano sostanziosa a Erdogan. Ed al suo tentativo
di riportare nell’alveo dell’Islam ortodosso, e quindi del più retrivo
fanatismo medioevale di ispirazione maomettana, il paese di Ataturk.
Ho avuto modo di ammirare personalmente
il livello di civiltà – per certi versi invidiabile anche e soprattutto da
parte di noi italiani – raggiunto dai turchi, almeno quelli che vivono nella
parte cosiddetta europea, nella megalopoli che dal quindicesimo secolo in poi
ha nome Istanbul. L’ex capitale ottomana e bizantina è oggi una città che non
ha nulla da invidiare e anzi ha molto da assomigliare a Parigi, Londra,
Berlino, Roma, Zurigo. I turchi e gli stranieri che vi risiedono formano un
civilissimo melting pot che nulla ha a che vedere con i fischi oltraggiosi dell’altra
sera e con le grida di guerra di un revanscismo islamico che a Piazza Taksim e
dintorni non ha (o non aveva finora) diritto di cittadinanza.
Per questo forse, a mente fredda,
vale la pena di limitarsi ad una irridente alzata di spalle alla Fatih Terim. E
sperare che la Turchia rimanga con noi (intesi come occidentali). Nel campo di
quei paesi che a prescindere dalla loro religione e dalla loro cultura d’origine
vogliono proseguire la lotta all’integralismo ed al fanatismo. Anche perché
come ha dimostrato l’Isis dove è stato anche momentaneamente trionfante, in un
futuro da esso controllato non c’è più spazio per alcuna cultura.
“Io non ho religione, e a volte
mi trovo a desiderare che tutte le religioni finiscano in fondo al mare”
(Mustafa Kemal Ataturk)
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