Alla fine è tutto come lo
sciovinismo e l’affarismo spagnoli chiedevano. Jorge Lorenzo si fa il suo bel
giro d’onore con in mano la bandiera gialla e rossa, la stessa che pende sopra
tutti e tre i gradini del podio. Alla fine, è balzato in testa al mondiale
all’ultimo giro dell’ultima corsa, dopo avere inseguito per tutta la stagione.
Per carità, difficile dire che non se lo merita a uno che nel 2015 ha messo insieme sette
vittorie e non si sa quanti giri veloci. Poteva finire comunque così, ma
qualunque altro modo in definitiva sarebbe stato meglio di questo, che lascia
un amaro incancellabile in bocca non solo ai tifosi italiani ma anche agli
appassionati di motociclismo – quelli veri – di tutto il mondo.
Il podio di Valencia |
Alla fine, la spagnolissima
Valencia tributa anche una standing ovation al rivale italiano di Lorenzo, quel
Valentino Rossi che il giro d’onore se lo fa senza bandiere, scuotendo la testa
sconsolato nell’unico momento di sconforto di questa giornata, quello in cui
apprende che la sua lunga rincorsa è stata inutile. Che anche quest’ultima
pagina leggendaria scritta sul filo del rasoio di una rimonta incredibile da
ultimo a quarto in soli otto giri, rischiando la pelle come non mai prima
ancora che il risultato, resterà negli occhi e nei cuori di tutti, ma nell’albo
d’oro della MotoGp non ve ne sarà traccia.
Biscotto in spagnolo si dice
“galleta”. E’ la sensazione incancellabile lasciata da un Marc Marquez che dopo
aver corso da pericolo pubblico per tutta la stagione si fa tutti i ventisette
giri dell’ultima corsa come un bravo ragazzo disciplinato che porta i bagagli
del fratello maggiore, come un fedele scudiero di un cavaliere di altri tempi.
Visto dove si corre, verrebbe da dire un Sancho Panza, se non fosse che il Don
Chisciotte in questo caso era il povero Valentino, che pensava di poter
combattere da solo, con l’unico ausilio della sua classe immensa, contro tutto
e contro tutti, contro la Spagna padrona della Federazione mondiale e contro le
servili, ossequiose case produttrici Yamaha e Honda, disposte a sacrificare il
loro stesso onore nipponico sull’altare del business.
Alla fine, anche un grande
campione del passato, Giacomo Agostini, malgrado i suoi sforzi di apparire
imparziale adesso che è passato a fare il commentatore per la televisione, è
costretto a dire: “ha vinto il più veloce, non il più forte”. Il più forte si è
visto anche oggi chi era. Esistono tanti bravi piloti, tra questi Jorge Lorenzo
è sicuramente il migliore. Ma esiste uno solo che può dire di identificarsi con
la moto, fino a essere un tutt’uno con essa. Quell’uomo, quell’ex ragazzo ormai
cresciuto fino alla trentaseiesima primavera, si chiama Valentino Rossi.
Dovrà rimandare all’anno prossimo
la rincorsa a quello che sarebbe il suo decimo titolo mondiale in carriera, il
Dottore. Questo che sembrava l’anno buono va invece ad aggiungersi alla fila di
annate maledette in cui quasi mai il numero 46 è stato dipinto su una moto all’altezza
di chi la guidava. E quando finalmente il cavaliere aveva ritrovato il suo
destriero come nei giorni migliori, ecco accadere nello sport individuale per
eccellenza un gioco di squadra trasversale alle stesse squadre, una galleta, un
biscotto, una combine che mortifica quello sport stesso, prima ancora che un
risultato finale su cui – purtroppo per il pur bravo Lorenzo – resterà per
sempre un’ombra.
Ci mette poco a recuperare la sua
usuale verve Valentino dopo la corsa. “Quello che ha fatto Marquez è stato
imbarazzante. E’ un giorno triste per questo sport, spero che lui stesso lo
capisca, magari tra qualche mese”. Parole taglienti come la lama di un
coltello, come le sue traiettorie in curva, in staccata. Come quelle con cui
oggi si è bevuto 23 avversari (magari non tutti mal disposti nei suoi confronti).
E pazienza se ne sarebbero occorsi 25.
Le parole di Vale hanno anche un
sottofondo premonitore. Questo è uno sport in cui si rischia prima di tutto la
vita, a Sepang Marquez ha tentato di disarcionare Rossi più o meno nel punto
dove Marco Simoncelli volò in cielo, per dirne soltanto una. Comportamenti come
quello dello scavezzacollo spagnolo, oltre che antisportivi, possono essere
letali. Saranno gli stessi colleghi, questo vuol dire Rossi, a farglielo
capire. O almeno è auspicabile, prima di celebrare altri funerali.
Della corsa di oggi, poco da
dire. Vedere Marquez e Pedrosa fare da scorta a Lorenzo è stato ben peggio che
imbarazzante, perché ha privato il mondo intero della degna conclusione di un’annata
fino a quel momento memorabile. Vedere Marquez ridestarsi solo dopo che
Pedrosa, all’ultimo giro, aveva fatto il gesto – vero o simulato – di attaccare
il connazionale leader della corsa e a quel punto del mondiale, ingenera ben
più che un sospetto. Jorge doveva arrivare primo e Valentino almeno terzo, non
era ammissibile sparigliare quell’ordine di classifica. La Spagna non lo
avrebbe ammesso.
Jorge Lorenzo e i suoi fedeli scudieri |
E’ stato lo stesso Lorenzo ad
ammettere – piuttosto ingenuamente, ma il ragazzo non è nuovo a queste
ingenuità, basta vedere il contro-ricorso presentato all’insaputa della stessa
Yamaha – che Marquez e Pedrosa lo hanno aiutato “a far sì che il titolo
restasse in Spagna”. C’è poco da aggiungere. Solo da voltare pagina, sperando
che le prossime che sfoglieremo in questo sport che movimenta in egual misura
grandi passioni ed altrettanto grandi interessi economici siano meno macchiate
da ombre. E che i biscotti ognuno se li mangi a casa propria, a colazione e non
in pista.
Fatti il tuo bravo giro della
vittoria, Jorge Lorenzo, con in mano quella bandiera che meriterebbe di essere
onorata in ben altro modo e che invece purtroppo non perde ancora il gusto di
simili vittorie. Noi preferiamo tenerci negli occhi i fotogrammi di quel pilota
numero 46 che vola come una freccia passando in spazi dove diresti che non
passa nemmeno la lama di un coltello. E che si è fermato a cinque punti da
questo titolo ma che ormai da tempo è entrato la dove nessuno dei suoi attuali colleghi
può seguirlo. Nella leggenda del motociclismo.
Grazie lo stesso Valentino Rossi.
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