Comunque la si giri, è una
figuraccia di quelle che lasciano il segno. La Fiorentina esce dalla Coppa
Italia 2015-16 agli ottavi di finale. Detta così non sarebbe niente, se non
fosse che gli ottavi sono il primo ed unico turno giocato dalla squadra viola
in questa competizione, contro una squadra tosta quanto si vuole ma poco più
che dignitosa e che comunque qualche sorcio di colore verde glielo aveva fatto
già vedere anche in campionato.
Negli ultimi novant’anni, Fiorentina
e Carpi si sono incontrati quattro volte, e in due di queste hanno prevalso gli
emiliani. La volta precedente si era agli albori, calcio pionieristico, poco
male. Ci stava di perdere dal Vado Ligure o dalla Pro Casale. Si giocava con la
fascia alla testa e con i mutandoni dall’elastico facile a rompersi. Stavolta
si gioca in pieno calcio professionistico, anzi postmoderno, con atleti
lautamente pagati che tuttavia qualcuno dice essere in crisi di motivazioni
(sai, dopo la Juve – dice – non è facile affrontare il Carpi…chissà perché alla
Juve questi discorsi non li fa nessuno…..).
Esce anche la Roma, ai rigori
contro lo Spezia, ma la storia del mal comune mezzo gaudio funziona poco e
male. Anzi, Di Gaudio c’è solo quello che segna il gol della vittoria del Carpi
in una partita a cui la Fiorentina diceva di tenere e per affrontare la quale
aveva schierato per nove undicesimi la formazione tipo. Alla fine, mister Sousa
si dice “arrabbiato perché non è andata come pensava”, anche se fa capire che –
come detto più volte – le uova buone per fare la benedetta (o maledetta)
omelette sono poche.
La partita è presto raccontata. Degli
undici o poco più che Sousa vede come giocatori di primo livello mancano solo Marcos
Alonso e Borja Valero, sostituiti da Pasqual e Rebic. La frittata c’è, ma di
quelle fatte rovesciando le uova in terra. La Fiorentina è arruffona e
sconclusionata. Anche e soprattutto nel senso che per offrire una conclusione
decente verso la porta avversaria costringe i propri tifosi a passare attraverso
una sequela di passaggi per linee orizzontali che si credevano ormai ricordo
del passato.
Il Carpi ha le sue buone
occasioni, non molte ma nette. Su una di queste apre ufficialmente la crisi
viola (ci si perdoni l’iperbole). E’ una crisi di quelle surreali che capitano
solo a Firenze. La squadra è seconda in campionato e ai sedicesimi di Europa League,
e questo è un dato incontrovertibile, a meno di incappare in seguito in
ulteriori giornatacce come questa. Ma la figuraccia di Coppa Italia, un trofeo
a cui le alte sfere viola dicevano di tenere, arriva alla fine di un mese in
cui della Fiorentina che aveva strabiliato nel periodo compreso tra San Siro e
Marassi rimangono tracce sempre più labili.
E soprattutto arriva la
consapevolezza che nello spogliatoio viola non son tutte rose e fiori. Lasciamo
perdere gli episodi di nervosismo costituiti da errori marchiani come quelli
che costano l’ennesima sconfitta contro l’acerrima nemica Juventus o espulsioni
imperdonabili come quelle di Roncaglia a Basilea e Gonzalo Rodriguez ieri
pomeriggio. Parliamo piuttosto delle notizie che trapelano da Radio Spogliatoio
e che parlano di una spaccatura sempre crescente tra la squadra – o almeno
parte di essa - ed il tecnico arrivato in estate a sostituire Vincenzo Montella.
La vera preoccupazione è questa:
Paulo Sousa è in grado di gestire questo gruppo al meglio? Sul piano tecnico si
può dire tutto ed il contrario di tutto, nello sport in generale non c’è mai
riprova. Per due mesi e passa la Fiorentina è sembrata essere più incisiva
sotto la guida del mister portoghese che non sotto quella del predecessore di
Pomigliano d’Arco. Poi, al calare della condizione, ecco ritornar fuori il
gioco orizzontale e la carenza realizzativa unita alle sbadataggini difensive.
I giocatori sono quelli di
Montella (qualcuno in meno, per la verità), la politica di mercato della
società anche. La preparazione atletica indefinibile come sempre, quest’anno
poi si cala di botto alla seconda giornata così come alla sedicesima, vai a
capire te se è stata una preparazione leggera per partire a mille o pesante per
durare più a lungo. Più che le gambe è la testa che pare dare qualche problema.
Soprattutto a quei giocatori che in un modo o nell’altro si sono sentiti
etichettare di “serie B” dal loro tecnico.
Montella vantava tre quarti posti
consecutivi in tre anni (oltre ai piazzamenti in Coppa), Sousa in tre mesi ha
già un secondo posto (e speriamo che almeno quello duri) e una eliminazione al
primo turno. Con i numeri si può andare lontano come da nessuna parte. Ma una
cosa però và sottolineata. Forse da un punto di vista squisitamente gestionale
dell’aspetto psicologico e da quello dei rapporti inter-societari, quell’aplomb
anglo-napoletano di Vincenzino Montella che dava tanto sui nervi ad alcuni
tifosi era più produttivo degli “occhi della tigre” di Paulo Sousa, che molti
hanno con troppa fretta proposto per la beatificazione. Non vorremmo che la
tigre, stentando a continuare a fare prede tra gli avversari, rivolgesse i suoi
occhi all’interno della propria tana divorando i propri cuccioli.
Sul resto si può discutere. E
conoscendo i fiorentini si discuterà sicuramente. Ricordiamoci che da queste
parti sono stati infamati allenatori come Bruno Pesaola e Giovanni Trapattoni. Si
salvò De Sisti perché era De Sisti, mentre qualcuno celebra ancora la memoria
di gente improbabile come Alberto Malesani (e chi lo ingaggiò).
Resta il fatto che nell’intervallo
di Fiorentina – Empoli qualche tarlo si è insinuato nel giocattolo viola, che
non funziona più come quando ci è stato regalato. Oppure il tarlo lavorava già
in silenzio, e i buchi appaiono soltanto adesso. Alla Società l’ardua sentenza.
D’altra parte, mentre assisteremo ai turni successivi disputati da Spezia,
Alessandria e Carpi, un po’ di tempo per riflettere – tutti quanti – ce lo
siamo ricavato.
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