Vediamo il lato positivo. Quanto
tempo era che un Juventus – Fiorentina non aveva come posta in palio lo
scudetto? Come minimo bisogna andare indietro di 17 anni, se non di 33. Se poi
aggiungiamo la condizione per cui la Fiorentina arriva allo scontro diretto in
vantaggio (consistente) di punti sulla Juventus, allora bisogna risalire
addirittura al 1969. Un’ottima annata, peraltro. A volte vien fatto di pensare:
irripetibile.
E qui si arriva alle dolenti
note. Sei in piena corsa scudetto ed incontri – sulle ali di quelli che
dovrebbero essere entusiasmo e convinzione di sé - una Juve che non è più e non
può essere lo squadrone formidabile degli anni passati. Per quanto si tratti
sempre di una squadra tosta, e galvanizzata da una impetuosa rimonta. Dallo Juventus
Stadium, da quando esiste, sono assai poche le squadre che sono ripartite con
uno o più punti. Una di queste è appunto la Fiorentina stessa, in una edizione
del passato recente.
Rispetto a quel passato recente
ha perso spessore tecnico la squadra campione d’Italia (sfido chiunque a
sostituire al volo gente come Pirlo, Vidal, Llorente, Tevez, Giovinco), ma lo
ha perso anche la Fiorentina, malgrado la classifica attuale sembri dire il
contrario. Lo si vede sul campo, con bianconeri e viola che danno vita ad un
match dove non si tira mai in porta nemmeno per sbaglio, fatti salvi i
primissimi minuti e gli ultimi, quelli che determinano un risultato che per i
restanti 80 sembra impossibile, fantasmagorico.
La Fiorentina finisce a perdere
una partita che controlla per buona parte del tempo senza correre grandi rischi
contro una delle Juventus meno impressionanti degli ultimi anni. E il bello è
che riesce a farlo in modo da far sembrare il risultato assolutamente giusto.
Nella consueta conferenza stampa che precede la partita, Paulo Sousa aveva
messo in risalto proprio la “cultura della vittoria” come caratteristica
principale dell’avversario di turno, a prescindere dai giocatori impiegati e
dai tecnici che siedono sulla panchina dei campioni d’Italia. Questo per dire
che l’errore più grande sarebbe stato quello di sottovalutare i bianconeri,
dall’alto dei cinque punti di vantaggio e del bel campionato che i viola hanno
sin qui disputato.
Proprio così. Alla fine, la
cultura della vittoria è quella che spinge i superstiti dello squadrone che a
giugno ha fatto vedere i sorci verdi al Barcellona (più Cuadrado, Dybala e
Mandzukic) oltre i propri limiti attuali fino al sorpasso sul campo ed al quasi
aggancio in classifica ai danni di una Fiorentina che le partite non sa proprio
“morderle”, affrontandole sempre con quello stile tra il compassato,
l’accademico e vivaddio a volte lo sbadato che prima o poi frutta sempre almeno
una disattenzione fatale.
I bianconeri si avventano sul
match con la consueta foga, anche se non sono più in grado come in passato di
dominare una Fiorentina che risponde colpo su colpo. Al 2’ minuto si ripete il miracolo
di San Siro. Stavolta è Chiellini a non ritirare il piedone mentre affonda in
area juventina Bernardeschi, che vola a terra. A velocità normale le immagini
non chiariscono se il fallo ci sia o meno, in slow motion invece il contatto
appare netto. L’arbitro Orsato non ha visto, ma quello di porta D’Amato sì, e
lo spinge alla concessione del rigore.
Batte Ilicic, che quest’anno è un
cecchino. Buffon intuisce ma la fucilata dello sloveno non è di quelle che si
parano. Fiorentina in vantaggio, prospettive rosee a saperle gestire. E invece
la vie en rose per i viola dura solo quattro minuti. Tra i bianconeri c’è
Cuadrado, vuoi non concedergli il gol dell’ex? Che vogliamo fare parzialità
rispetto a Salah? Manco per sogno.
Al 6’ Evra riesce a crossare da
sinistra, a destra il colombiano si trova solo soletto a ridosso dell’area
piccola viola, mentre Alonso che lo dovrebbe marcare si accentra in raddoppio
di Mandzukic. Non è il primo segnale di una serataccia dello spagnolo, ma è
forse il più fatale. Al resto provvede il prode Tatarusanu, che fa quello che
una volta insegnavano ai portieri come cosa da non fare mai: uscire a metà. O
resti tra i pali o esci con decisione sul tiratore. Il romeno si comporta da
(con il dovuto rispetto) portiere d’albergo ed apre la porta al primo gol di
testa della sua carriera di Cuadrado. Che ringrazia e non si fa scrupolo di
gioire in faccia a quella che neanche un anno fa era la sua vecchia squadra.
Si ricomincia da capo, ed è
subito chiaro che la Fiorentina ha sprecato una occasione d’oro. Non tirerà mai
in porta per novanta minuti la squadra viola, assolutamente incapace di
affondare i passaggi e/o di saltare l’uomo. Borja Valero ed Ilicic, gli uomini
da ultimo passaggio, appaiono affaticati e di nuovo involuti nella manovra,
Bernardeschi viene spesso chiuso nella morsa dei raddoppi juventini. Dall’altra
parte Alonso ha il suo da fare contro Cuadrado, che non è più quello devastante
dei primi anni fiorentini ma che comunque è pur sempre un cliente impegnativo.
Kalinic per parte sua praticamente stasera non vede palla.
Insomma, riaffiora sempre più
nettamente il tiki taka di montelliana memoria, ed è forse inevitabile che sia
così. Al venir meno della condizione fisica si accompagna il dissolversi di
quelle verticalizzazioni rapide che avevano portato la Fiorentina in testa
nelle prime giornate di campionato. Ora è una squadra assai più prevedibile, e
come succedeva ai tempi di Montella, tutti l’aspettano indietro e la
colpiscono, o tentano di farlo, in ripartenza.
Fa un certo effetto vedere la
Juventus schierata in dieci dietro la linea del pallone come una Udinese o un
Empoli qualsiasi. I bianconeri temono troppo forse la Fiorentina per
affrontarla sul suo terreno preferito, quello del palleggio. E poi anche loro
vengono da una qualificazione europea impegnativa, anche se hanno avuto due
giorni di riposo in più. Meglio aspettare gli avversari e lasciar loro il
compito di fare la partita, anche se alla Fiorentina alla fin fine il pareggio
può andar bene perché lascia le distanze come sono.
Il problema è che nemmeno la
Fiorentina è in grado di affrontare la partita sul terreno preferito dagli
avversari, quello dell’agonismo spinto alle massime conseguenze possibili. La
Juventus la mette sul piano fisico spesso e volentieri, anche se nelle more del
gioco duro grossi episodi su cui recriminare non ce ne sono. Qualcuno accusa
Orsato di favoritismo, lo stesso Sousa si lamenta vistosamente tanto che alla
fine il direttore di gara arriva a minacciargli l’espulsione. Nella ripresa
volano botte da Premier League ed anche qualcosa di più, ma nel complesso non
si può dire che lo stesso Orsato condizioni la partita in favore di una delle
due squadre. Il problema della Fiorentina oggi non è l’arbitro, ed innervosirsi
per le sue decisioni non l’aiuta certo.
Quando si arriva allo scoccare
degli ultimi dieci minuti vien da pensare che tutto sommato non si è trattato
di una partita di quelle che rimangono nella memoria collettiva, ma comunque un
punto allo Juventus Stadium fa classifica e nobilita il campionato viola, anche
alla luce dei risultati delle altre squadre. C’è qualcosa nell’aria però che
induce nei tifosi fiorentini una sottile angoscia. Quella sensazione insinuante
di una sciocchezza collettiva o individuale in agguato che possa compromettere
lo sforzo bellico della patria pallonara.
La difesa fiorentina, l’abbiamo
sottolineato più volte, non è di quelle che reggono novanta minuti senza
sbavature. Contro le squadre più forti del campionato, del resto, una sbavatura
a partita è già troppo. Ed è già costata i tre punti contro Napoli e Roma.
Succede anche a Torino.
Sousa è schizofrenico nel
chiedere ai suoi di salire, senza tener conto che alcuni di quei suoi di
benzina non ne hanno più. I palloni persi a centrocampo diventano sempre più
frequenti. La Juve ha sempre la bava alla bocca e mostra di cercare il colpo
letale. Di accontentarsi di un punto evidentemente a casa viola non se ne
parla, di fare cambi nemmeno. Sembra quasi che tra i messaggi spediti dal
mister urbi et orbi ci sia anche questo: ho solo gli undici in campo, e nessuna
soluzione alternativa.
Al 35’ la Juventus torna
ufficialmente in corsa per lo scudetto, e la Fiorentina torna quella delle
passate stagioni, una bella squadra che studia per diventare grande e che dovrà
ripresentarsi agli esami di maturità più avanti, tornando a casa con l’ennesima
bocciatura sulle spalle. Parte Pogba in break, non è stata una bella partita
quella del francese, anche lui nervoso anziché no. Ma gliene basta una per
mostrarsi di classe superiore. All’altro estremo della sua rasoiata c’è un
altro che aspetta da tutta la partita di mostrare la propria di classe. Dybala
si presenta davanti a Tatarusanu, che gli respinge il tiro in uscita, ma
depositando la palla sui piedi di Mandzukic. Il tapin del quale nella rete
viola è a quel punto lapalissiano.
La Fiorentina si dissolve lì. E
siccome c’è ancora tempo, l’arrembaggio finale di una galvanizzata Juventus le
frutta anche un terzo gol al passivo. La svirgolata stavolta è di un Gonzalo
fino a quel momento impeccabile. Dybala si porta a spasso la difesa per tutta
l’area viola e deposita alla fine nella rete sguarnita.
Poco da dire sui cambi finali,
che hanno più che altro il sapore di messaggio trasversale più che di soluzione
tecnica. Finisce, abbiamo anticipato, con un risultato se si vuole anche
clamoroso, ma sicuramente giusto. Scopo del gioco è metterla dentro una volta
di più dell’avversario. La banda di Allegri in un modo o nell’altro ci è
riuscita anche stavolta. Per quella di Sousa (vedova di Montella) la striscia
negativa invece si allunga. Con la speranza che non si interrompa di nuovo. Non
abbiamo di fronte tutta l’eternità per ricucire uno scudetto sulle maglie
viola.
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