373 Si, 129 No, sfiducia
respinta. La Camera dei Deputati salva il Ministro per le Riforme Maria
Elena Boschi e con lei il governo Renzi. Finito il conto
dei voti, può cominciare quello dei danni. Della democrazia in Italia resta
ormai un cumulo di macerie, per rimuovere le quali e ricostruire qualcosa che
assomigli a rappresentanza e legalità non si sa neppure da che parte
cominciare.
Il Partito Democratico e
i suoi alleati applaudono l’esito della consultazione richiesta dal Movimento
Cinque Stelle, Renzi parla di boomerang clamoroso, la Boschi ha
appena finito di rivendicare orgogliosa tutte le proprie appartenenze,
familiari, professionali e politiche. Lo fa con il consueto tono ed i consueti
argomenti appresi dal proprio mentore nonché Presidente del Consiglio, che ai
suoi compagni di strada piace definire determinati e gli
oppositori preferiscono invece etichettare come semplicemente arroganti.
E’ il giorno decisivo per la
crisi innescata dal Decreto SalvaEtruria & Altri. Il
provvedimento con cui il governo del Rottamatore azzera
obbligazioni e risparmi dei cittadini per salvare alcuni Istituti di Credito
tra i peggio gestiti della storia d’Itala, tra i quali quello di cui il padre
dell’attuale Ministra per le Riforme è stato a lungo amministratore, a vario
titolo e con vari incarichi. Poiché l’ultimo di questi è stato conferito quando
già la figlia sedeva sui banchi del governo, ecco la ragione della crisi
rubricata come conflitto di interessi.
Fosse stato in carica il governo Berlusconi tutto
sarebbe stato più semplice, avremmo avuto le barricate per le strade e la
sinistra (di sinistra e di centro) schierata sopra e sotto il pulpito da cui
sarebbero partite le invettive contro la morte della giustizia e della
democrazia. Ma siccome è la sinistra stessa in conflitto, nella persona mica da
poco di colei che ha in mano nientemeno che la riforma delle istituzioni di
questo paese (assieme all’altro frequentatore di banche Denis Verdini),
ecco che the world turns upside down, si rovescia completamente.
Il giorno chiave peraltro non è
quello di ieri, ma quello del sabato precedente. Lo scenario è quello della Leopolda,
tradizionale location ormai delle convention renziane.
Giornalisti di fedeltà non comprovata e cittadini che protestano per i propri
risparmi sfumati per decreto vengono tenuti accuratamente fuori, non è più
tempo di bagni di folla per un premier sempre meno alla mano ma con la mano
sempre più nelle tasche degli italiani. Bisogna dunque aspettare il Tg della
RAI della sera per assistere all’entrata in scena trionfale della figlia del
bancario Boschi. Che rifiuta di fare la moglie di Cesare.
E’ noto che colui che è passato
alla storia come un tiranno affossatore della prima delle nostre democrazie, la
Repubblica Romana, dette in realtà numerose e preziose lezioni di come dovesse
atteggiarsi un uomo politico di vertice nella gestione appunto della Res
Publica. Con la moglie accusata di adulterio, Cesare si schierò con lei nel
pubblico processo che si tenne (allora usava così, la privacy era
un concetto di là da venire) nel Foro Romano, sapendola innocente. Ma subito
dopo averla fatta assolvere la ripudiò. “La moglie di Cesare deve essere al
di sopra di ogni sospetto”.
Questa lezione è rimasta nel DNA
di tutte le democrazie moderne, europee e nordamericane. L’uomo politico di cui
si chiacchiera (a torto o a ragione) non è più affidabile e
deve dimettersi dalla gestione della Cosa Pubblica. Al posto della Boschi, un
ministro inglese, scandinavo, americano, tedesco non sarebbe arrivato in carica
alla fine del primo giorno dello scandalo. Lei no. Lei va alla Leopolda a dire,
con atteggiamento tra lo spigliato e lo sprezzante, che trova divertenti le
illazioni circa il proprio futuro.
Tutto lì. Parte l’applauso della
platea PD. Che pur avendo nella sua lunga storia ingoiato ben di peggio (ma
spesso con il collo più obtorto di adesso) si produce in una
manifestazione di orgoglio partitico da fare invidia ai Donkeys americani
o ai labour inglesi. Gente con ben altre tradizioni,
soprattutto in termini di cultura di governo. Qui di cultura ce n’è assai poca,
a giudicare dalla prosopopea con cui i delegati intervistati
rivendicano il diritto della Boschi – e di chiunque altro di loro – a farsi gli
affari propri e ad essere lasciata in pace. “Le colpe dei padri non devono
ricadere sui figli”, chiosa addirittura un noto showman televisivo, mentre
un vecchio arnese della nomenklatura post-comunista senescente come Bersani va
a stringere una improbabile mano alla Ministra appena salvata. Peccato che in
democrazia rappresentativa non funzioni così, come Gaio Giulio Cesare spiegò
tanto tempo fa e come gli sprovveduti anglosassoni continuano a ritenere e ad
applicare dalle loro parti.
“Volete attraverso me colpire
il governo? Lasciate perdere. Il governo è attrezzato per respingere gli
attacchi”. La ragazzona piacente e un po’ goffa che Matteo Renzi ha voluto
come donna immagine del proprio governo (compito facile peraltro, nel panorama
delle Bindi e delle Finocchiaro) cerca di fare la dura,
senza rendersi conto di rievocare – proprio in quell’aula sorda e grigia –
ben altri archetipi rispetto a quelli di cui vorrebbe essere la reincarnazione.
Altro che Nilde Iotti o Tina Anselmi, madri
costituenti. I toni di questa donna sembrano quelli di Farinacci.
Il suo discorso che passerà alla
storia comunque non è questo, rilasciato a Montecitorio prima del voto che
decide il suo destino. Ma bensì quello di sabato scorso alla Leopolda, dove
dopo aver definito divertenti le ipotesi di chi pensava che lei, almeno lei
avesse una coscienza aveva tirato lo schiaffo a Cesare e a tutti i suoi epigoni
lanciando il ci rivedremo a Filippi a proposito del voto di
sfiducia chiesto dai M5S (gli stessi che hanno poi salvato il PD sul voto dei
tre giudici costituzionali, ma questo passa il convento italiano, così come
passa la miserrima astensione di Forza Italia sul voto di fiducia): “Si
vedrà chi ha la forza in Parlamento”.
Ecco, i nostalgici del sogno di
una democrazia anglosassone (ma siamo sempre meno, categoria vintage)
sono serviti. E gli storici possono scrivere fin d’ora che il governo Renzi si
è trasformato in regime nella data convenzionale del 12 dicembre 2015. Il Fascismo nacque
in Piazza San Sepolcro il 23 marzo 1919 e andò al governo il 28 ottobre 1922
con la Marcia su Roma e l’incarico a Mussolini da parte del re Vittorio
Emanuele III. Ma tutti sono d’accordo che il regime mussoliniano vero e
proprio prese il via con il discorso del 3 gennaio 1925, con cui il futuro Duce
chiuse la crisi seguita al delitto Matteotti e all’Aventino e
aprì la stagione delle leggi fascistissime.
“Dichiaro qui, al cospetto di
questa Assemblea e al cospetto di tutto il popolo italiano, che io assumo, io
solo, la responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto
(…) Se il fascismo è stato un'associazione a delinquere, io sono il capo di questa
associazione a delinquere!”. Da lì in poi, dello stato liberale antecedente
rimase poco o nulla.
Allo stesso modo, se si deve
trovare una data a cui far risalire la degenerazione della Prima
Repubblica nel regime illiberale che portò a Tangentopoli e
a tutte le sue conseguenze di lungo corso, si deve far capo al discorso tenuto
dal Presidente del Consiglio Aldo Moro in parlamento il 9
marzo 1977 a chiusura dello scandalo Lockheed, il primo di una
certa entità a scuotere la fiducia degli italiani nella loro classe politica.
“Non ci devono essere vittime
sacrificali, non si devono fare sacrifici umani... La Dc fa quadrato attorno ai
suoi uomini... Non ci processerete sulle piazze, non ci lasceremo processare”.
Ecco, per altri quindici anni almeno nessuno riuscì a processare la DC,
né nelle piazze né tantomeno in tribunale. Per Moro il discorso fu diverso,
circa un anno dopo si aprì per lui il tribunale del popolo ordito
dalle Brigate Rosse, ma questa è un’altra storia. Il sistema
politico noto come Prima Repubblica si ricompattò alla grande attorno ai suoi
partiti ed ai suoi leader, anche grazie alla cooptazione del Partito
Comunista che in quei giorni decise di rinunciare a fare l‘unica cosa
che sapeva fare: l’opposizione.
Giorgio Napolitano era
uno degli uomini che portarono il P.C.I. nell’area di governo e poi di Mani
Pulite. La lezione deve essergli servita quando ha deciso di intervenire da
Presidente della Repubblica a trasformare profondamente il quadro politico
esautorando il governo eletto dal popolo. Poi a dare incarico all’Uomo della
Leopolda, esautorando il voto appena espresso dal popolo. Sapeva quello che
faceva.
Era giusto che il cerchio si
chiudesse alla Leopolda. E che lo chiudesse proprio la donna che ha
definitivamente seppellito la moglie di Cesare.
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