Il 27 ottobre 1962 un aereo Morane-Saulnier
MS-760 Paris decollato da Catania e diretto a Milano precipitava nelle
campagne di Bascapé, in Provincia di Pavia, mentre era in corso un violento
temporale. I suoi occupanti, il pilota Irnerio Bertuzzi, il giornalista inglese
William McHale ed il manager italiano Enrico Mattei morirono tutti
nell’incidente. Alcuni testimoni assistettero alla sciagura, uno di questi in
particolare, il contadino Mario Ronchi, affermò sul momento di avere visto
l’aereo esplodere in volo, salvo poi ritrattare la propria testimonianza.
Con Enrico Mattei (foto a sinistra),
presidente dell’Ente Nazionale Idrocarburi (E.N.I.), moriva non soltanto uno
dei personaggi più affascinanti e prestigiosi dell’Italia della Ricostruzione e
del Boom economico nel secondo dopouerra, ma addirittura il sogno italiano di
diventare un paese autonomo per l’approvvigionamento delle fonti di energia e
quindi di potenziare lo sviluppo industriale fino a renderlo veramente
concorrenziale con quello dei principali paesi occidentali alleati-rivali.
Fino alla fine della seconda
guerra mondiale, l’estrazione e la vendita del petrolio greggio era stata
praticamente monopolio delle cosiddette Sette Sorelle, un cartello di compagnie
americane ed inglesi che praticamente controllava il mercato mondiale. E che
quindi aveva in mano, per sé e per i paesi di appartenenza, l’economia del
pianeta. L’Italia, dalla fine dell’Ottocento fino a tutto il periodo del
Fascismo, era stata soprattutto a guardare.
Nonostante avesse messo le mani
sulla Libia, che dopo la fine del periodo coloniale si sarebbe rivelata uno dei
maggiori produttori dell’Oro Nero, non aveva tratto alcun beneficio in tal
senso dalla propria dominazione, sembrando quasi disinteressarsi della
questione. Studi storici recenti hanno addirittura avanzato l’ipotesi che le
maggiori autorità italiane, leggasi il Re e il Duce, fossero state “finanziate”
dalle Sette Sorelle all’esplicito scopo di non interferire con il mercato
petrolifero. Il Regime aveva sì istituito l’Agip nel 1926, nel quadro della
propria politica industriale dirigista, ma i risultati in termini di
approvvigionamento energetico erano stati estremamente modesti, e i risultati
si erano visti durante il conflitto mondiale.
Alla caduta del Fascismo, uno dei
primi provvedimenti dei governi della Liberazione fu quello relativo alla messa
in liquidazione dell’Agip, ente italiano per la estrazione, lavorazione e
distribuzione dei petroli, e delle sue controllate come la SNAM, che si
occupava della estrazione del metano. La scelta cadde su un giovane imprenditore
del settore chimico che negli ultimi anni del regime mussoliniano aveva
raggiunto una certa notorietà, diventando addirittura fornitore delle Forze
Armate. Enrico Mattei, originario di Acqualagna nel Pesarese, alla fine della
guerra era un personaggio insieme prestigioso e controverso.
Nonostante fosse stato iscritto
originariamente al Partito Fascista, dal 1943 al 1945 aveva militato come partigiano
mettendosi in luce per le sue qualità organizzative e stringendo buonissimi
rapporti con quelli che sarebbero diventati esponenti di rilievo delle future
forze politiche repubblicane, a cominciare da Luigi Longo, futuro segretario
del Partito Comunista Italiano. Come diceva Montanelli, Mattei era soprattutto
un personaggio capace di trarre il maggior profitto per sé e per le proprie
imprese dal governo in carica.
Nel 1945, mentre il ministro
Merzagora lo nominava commissario liquidatore dell’Agip e dall’altra parte
l’Avvocatura dello Stato lo metteva sotto inchiesta come presunto profittatore
di regime, Mattei dimostrava di essere oggettivamente un passo avanti a
tutti con l’intuizione che, lungi dall’essere dismesso, l’ente produttore di
petrolio di stato doveva continuare, e anzi essere potenziato. L’ingegner
Zammatti, che aveva guidato l’Agip fino a quel momento, lo convinse in tal senso
rivelandogli l’esistenza di alcuni pozzi di petrolio sul territorio italiano,
fino a quel momento misteriosamente secretati. Altra spinta alla sua decisione
fu data dall’offerta, molto generosa, avanzata da compagnie americane circa
l’acquisto del’Agip, attrezzature comprese. La pulce era ormai nell’orecchio di
Mattei, che da quel momento mise in campo tutta la sua abilità non solo per
salvare l’ente, ma addirittura per potenziarlo.
Nel giro di pochi anni, Mattei –
nel frattempo schieratosi con la Democrazia Cristiana senza tuttavia rompere i rapporti
con le sinistre – arrivò a fondare l’E.N.I., Ente Nazionale Idrocarburi, che
avviò una politica incalzante di ricerca ed estrazione del metano (scoperto
nella pianura padana) e del petrolio (trovato a Cortemaggiore, in provincia di
Piacenza, e poi in altre località), nonché di costruzione a tamburo battente
dei metanodotti e oleodotti con cui i combustibili venivano portati alle
raffinerie e quindi all’utenza. Nel 1952 fece la sua comparsa nel panorama
nazionale e nell’immaginario collettivo il cane a sei zampe, che divenne presto
uno dei simboli della rinascita italiana e di quel suo decollo industriale poi
chiamato boom.
Più o meno nella stessa epoca
prese forma e sostanza la politica estera (spesso autonoma da quella governativa)
di Mattei, tesa a stringere rapporti con paesi africani, quali la ex colonia
Libia, e asiatici come il turbolento Iran scosso da colpi di stato e
rivoluzioni, al fine di strappare contratti di approvvigionamento petrolifero
vantaggiosi per l’Italia e al di fuori del controllo opprimente delle Sette
Sorelle. Questa politica, destinata a metterlo in rotta di collisione con gli
stessi alleati americani, inglesi e francesi dell’Italia, ebbe il suo culmine
durante la Guerra d’Algeria, che vide praticamente l’E.N.I. schierata con il Fronte
di Liberazione Nazionale algerino.
Nel 1962, al culmine della Guerra
Fredda e della lotta anticolonialista del Terzo Mondo, Mattei era oggettivamente
un fattore destabilizzante dell’Area NATO ed un personaggio scomodo per lo
stesso governo italiano. Il suo atteggiamento, opportunamente rappresentato dal
quotidiano da lui fondato, Il Giorno, un giornale estremamente innovativo e
subito di successo presso l’opinione pubblica, era ormai antagonista alle forze
politiche governative italiane, in quel momento prese dalla necessità di far
“passare” in modo indolore in ambito “atlantico” la svolta di centro-sinistra
di Fanfani.
Bascapé, 27 ottobre 1962 |
Pare che, salutando la moglie la
sera del 26 ottobre 1962 al momento dell’imbarco per Catania, Mattei le sussurrasse
l’eventualità che avrebbe potuto non tornare. A Bascapè, le indagini si
orientarono verso la disgrazia causata dalla fatalità e dal temporale, e chi
come Ronchi all’inizio aveva visto qualcos’altro, ben presto si convinse (o fu
convinto) di aver travisato. Si dovette attendere il 1997, con il ritrovamento
di nuovi reperti e le conseguenti analisi condotte con tecniche moderne, perché
in un mondo ormai affrancato dalla Guerra Fredda e profondamente cambiato dall’epoca
delle Sette Sorelle emergesse una nuova verità. Dopo otto anni, nel 2005, la
nuova indagine concluse che a bordo del velivolo che trasportava Mattei ci fu
un’esplosione, di cui resistevano tracce perfino sull’orologio e sull’anello
del presidente dell’E.N.I. La perizia svolta dal Politecnico di Torino per
conto delle autorità inquirenti accertò che una bomba di circa 150 grammi di
tritolo era stata posta nel cruscotto dell’aeroplano e si era attivata in fase
di atterraggio.
Mattei, in procinto di
sottoscrivere un accordo di produzione con la neonata Algeria indipendente, fu
eliminato dalla Mafia, stando alle rivelazioni che il pentito Buscetta fece in
seguito al pool di Caponnetto a Palermo. Il giornalista Mauro De Mauro, ex
collaboratore del Giorno di Mattei e consulente del regista Francesco
Rosi che girò il film Il Caso Mattei (con il quale tentò una prima
sistemazione del materiale emerso – e trascurato - dalle indagini sulla
sciagura di Bascapè), non fu una misteriosa vittima di Mafia, ma nient’altro
che la seconda vittima dello stesso Caso Mattei. Seguita da altre, che
indagarono sul Mistero dei Misteri, da Carlo Alberto Dalla Chiesa al
Commissario Boris Giuliano capo della Mobile di Palermo, fino allo stesso Pier
Paolo Pasolini, che pare nell’ultima parte della sua vita avere indagato in
proprio sulla morte di Mattei. La sua ultima opera, curiosamente, si chiama Petrolio.
Nel 1962, Enrico Mattei era senza
ombra di dubbio una figura determinante per l’equilibro del potere nel mondo
occidentale, e non solo. A Bascapè la Storia cambiò radicalmente. Non sapremo
mai esattamente in che misura, ma è certo che il sogno di uno sviluppo
industriale ed energetico italiano autonomo finì lì.
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