mercoledì 15 ottobre 2014

Il Grande Gioco

E’ sempre stata un’arte raffinata quella della spia. Si impara da piccoli, già a scuola i primi talenti si mettono in mostra. Da grandi, se si mantengono le promesse, si finisce per essere merce più pregiata dei calciatori o dei tennisti. Perché è grazie a spie e traditori idealisti o prezzolati che il mondo può condurre quella che già il maestro Sun Tzu a suo tempo aveva individuato come una componente essenziale dell’Arte della Guerra. Essenziale anche in tempo di pace, come ha insegnato Giulio Cesare: si vis pacem para bellum.
Errol Flynn nella parte di Red Beard in Kim
L’arte di smerciare segreti veri o falsi al nemico è sempre stata più importante perfino del numero e della potenza delle divisioni da schierare in battaglia, per dirla con Iosif Vissarionovič Džugašvili in arte Stalin, uno che se ne intendeva. Ed è sempre stata altrettanto affascinante, sia per chi la pratica che per chi vi assiste. Non a caso il termine più appropriato per definirla fu coniato ai primi dell’Ottocento da un ufficiale inglese, Arthur Conolly di stanza in quell’area critica dell’Asia Centrale dove gli Imperi Britannico e Russo si fronteggiavano per avere il controllo delle vie commerciali attraverso l’Afghanistan verso la Cina e l’India, e di conseguenza il dominio del mondo.
Il grande gioco fu codificato allora (i russi preferirono continuare per diverso tempo, almeno fino alla fine dello zarismo, a parlare di “torneo di ombre”). Il termine fu così azzeccato che da allora tutti i principali autori letterari che si occuparono di spionaggio lo fecero proprio. Da Rudyard Kypling, che fece del suo Kim il prototipo del baby agente segreto a Graham Greene che canonizzò il prototipo della spia britannica per passarla poi nelle mani dei maestri contemporanei: Ian Fleming il creatore di 007 James Bond, la licenza di uccidere che ha affascinato sulle pagine e sul grande schermo più generazioni, e John Le Carre che ha trasformato la narrativa spionistica in un vero e proprio genere letterario, oltre ad averci raccontato il “dietro le quinte” della Guerra Fredda e della sua fine come nessun altro.
Rudyard Kipling
Per chi ha voglia di ripercorrere gli eventi che hanno segnato la nascita dello spionaggio moderno insieme agli ultimi due secoli di storia afghana e asiatica, consigliamo il saggio magistrale Il Grande Gioco di Peter Hopkirk. Per chi invece è più attratto dalle immagini che non dalle parole, è andata in onda in questi giorni la miniserie Fleming – Essere James Bond, che racconta gli anni giovanili di colui che sarebbe diventato il padre della spia più famosa di tutti i tempi. Di lui si sapeva poco finora, ed è una sorpresa scoprire – almeno a giudicare attendibile la riduzione televisiva della sua biografia – che il suo servizio segreto durante la seconda guerra mondiale e la sua vita privata a Londra prima e dopo di essa, trascorsa tra donne, alcool e sregolatezze varie, assomigliò molto più a quella della sua creatura letteraria di quanto non era emerso fino ad oggi.
Per coloro i quali invece sono affamati di cronaca, un paio di notizie passate quasi in sordina ma significative. Si tratta di due necrologi, relativi al termine di due vite e insieme delle epoche da cui sono state segnate (e che hanno segnato a loro volta).
Michael Harari
Qualche giorno fa è venuto a mancare a Tel Aviv in Israele Michael Harari. Per dire chi è stato in una sola parola, basta fare un nome: Mossad. Harari ne è stato forse l’agente più importante dall’immediato dopoguerra fino agli anni 80. La parola Mossad in ebraico significa istituto. E’ il termine eufemistico con cui viene definita l’agenzia di spionaggio e controspionaggio più famosa ed efficiente del mondo. Per raccontare cosa ha fatto di importante Harari nella sua carriera, basta fare due nomi associati a due date, che sicuramente per quelli della generazione di chi scrive hanno un significato immediato: Monaco (Germania Ovest) 1972 e Entebbe (Uganda) 1976.
Alle olimpiadi tedesche, il gruppo terrorista palestinese Settembre Nero decise di prendere parte (in rappresentanza del proprio popolo a cui il Comitato Olimpico Internazionale aveva negato la partecipazione ai giochi) con un gesto eclatante: il sequestro della squadra olimpica israeliana al completo. La liberazione degli ostaggi fu uno dei rarissimi fallimenti del Mossad, insieme a quello di una polizei tedesca che non aveva ancora messo a punto le tecniche utilizzate più avanti per esempio contro la banda Baader-Meinhof. Atleti e terroristi furono tutti uccisi. A Israele non restò che la vendetta.
La celebre foto del terrorista di Settembre Nero
affacciato alla palazzina della squadra olimpica israeliana
L’operazione si chiamò significativamente Collera di Dio. Steven Spielberg nel suo Munich ha raccontato efficacemente la vicenda. A Mike Harari, che da ragazzo aveva organizzato come primo incarico l’arrivo clandestino in Israele dei sopravvissuti europei all’Olocausto sotto il naso della polizia del Protettorato Britannico, fu affidata la sua esecuzione, consistente nell’individuazione e eliminazione del gruppo dirigente di Settembre Nero. Arafat e i vertici della sua organizzazione Al-Fatah si salvarono probabilmente solo perché il leader palestinese si era limitato a dare il proprio assenso al sequestro di Monaco senza parteciparvi direttamente o indirettamente.
Settembre Nero fu cancellato dalla faccia della terra dalla Collera di Dio. Harari commise un solo errore. A Lillehammer in Norvegia scambiò un ignaro e innocuo cameriere egiziano per Ali Hassan Salameh, il leader dell’organizzazione, e lo fece fuori al suo posto. Nell’operazione il commando israeliano fu colto sul fatto tra l’altro dalla polizia norvegese e arrestato. Harari si salvò per un soffio, riuscendo a rientrare in patria senza però aver evitato un incidente diplomatico internazionale. L’agente offrì le proprie dimissioni a Golda Meir, la signora Primo Ministro che reggeva in quel momento le sorti del governo di Gerusalemme. La signora le rifiutò, tenendosi stretto il suo miglio agente, che infatti le tornò utile poco tempo dopo.
Complice il dittatore ugandese Idi Amin e la sua politica di disturbo degli interessi occidentali in Africa, un altro gruppo terroristico aveva sequestrato un aereo che trasportava passeggeri di nazionalità israeliana ad Entebbe, in Uganda appunto. Amin si era dimostrato significativamente e sinistramente non collaborativo con i mediatori internazionali, per non parlare delle autorità israeliane e dello stesso Mossad. Che decise di passare alle vie di fatto organizzando la più spettacolare operazione di liberazione di ostaggi dell’epoca moderna. Stavolta Harari non commise errori, riportando a casa sani e salvi tutti i connazionali attraverso il Kenya. Un successo internazionale clamoroso ed uno smacco altrettanto importante per Amin, e chi aveva confidato nella sua benevolenza.
Tre anni dopo Harari vendicò Lillehammer facendo saltare in aria Salameh a Beirut. Negli ultimi tempi della carriera gli era stata affidata la Sezione America Latina, all’epoca ancora area assai delicata per la presenza nel subcontinente americano di diversi ex-nazisti sfuggiti alla caccia dei servizi segreti ebraici e di quelle organizzazioni come il Centro Simon Wiesenthal che non avevano mai considerato chiusa la questione dopo Norimberga. Si parlò all’epoca di non meglio definiti legami di Harari con il dittatore-canaglia di Panama Manuel Noriega, deposto nel 1989 dai marines mandati da George Bush padre. Michael Harari ha sempre smentito, e a questo punto si è portato questo e chissà quanti altri segreti nella tomba.
David Greenglass
E’ di ieri la notizia della scomparsa di un’altra figura chiave della storia segreta del Ventesimo Secolo. Fino a qualche tempo fa, il sergente in pensione dell’esercito americano David Greenglass era famoso soltanto per essere il fratello di Ethel Rosemberg, colei che assieme al marito Julius fu accusata di aver trafugato da Los Alamos i documenti segreti necessari alla fabbricazione della bomba atomica e di averli passati all’Unione Sovietica.
Si era trattato del più grave e controverso caso giudiziario americano dai tempi di Sacco e Vanzetti, con l’opinione pubblica ed il sistema giudiziario spaccati in due. Si era trattato anche di uno shock tremendo per un paese che credeva di vivere ormai nel cosiddetto secolo americano, in cui la supremazia degli armamenti aveva fatto degli U.S.A. l’unica superpotenza, capace di vincere in partenza la Guerra Fredda con l’Unione Sovietica di Stalin e la Repubblica Popolare Cinese di Mao Tse Tung.
Dopo il tradimento imputato ai Rosemberg, le cose erano cambiate radicalmente. Il passaggio dei segreti dell’atomica all’U.R.S.S. aveva creato di fatto quell’equilibrio del terrore che si protrasse fino a tutti gli anni Ottanta.
Julius ed Ethel Rosemberg
Sembrava quello dei coniugi newyorkesi di origine ebraica e di simpatie comuniste un gesto in linea con tanti altri che in U.S.A. e Gran Bretagna stavano compiendo intellettuali e funzionari, per nulla vergognosi di tradire i rispettivi paesi sulla base dell’assunto (ancora non smentito dalle rivelazioni sui crimini di Stalin e del Comunismo) che l’U.R.S.S. fosse realmente il paradiso dei lavoratori e la fabbrica dell’Uomo Nuovo annunciati da Karl Marx e Friederich Engels un secolo prima. Di lì a poco Kim Philby a Londra avrebbe irrimediabilmente compromesso la leggendaria affidabilità dell’MI6 inglese, ispirando tra l’altro La talpa di John le Carre e cancellando di fatto la Gran Bretagna dal grande gioco che aveva lei stessa inventato.
Senonché, la colpevolezza dei Rosenberg, al di là di qualche indizio e del clima da caccia alle streghe che stava già maturando negli Stati Uniti, era stata provata esclusivamente grazie alle dichiarazioni del fratello-cognato David Greenglass. Che a sua volta tra l’altro aveva ricevuto una condanna minore nello stesso procedimento giudiziario, a riprova della sua posizione personale non limpida e della sua discutibile attendibilità.
Julius ed Ethel Rosemberg salirono sulla sedia elettrica a Sing Sing, il famigerato penitenziario newyorkese, il 19 giugno 1953, dopo che il presidente Eisenhower aveva rifiutato loro per l’ultima volta la concessione della grazia. A quel punto, l’America era nelle mani del senatore McCarthy e della sua caccia alle streghe. Il mondo invece era in quella del telefono rosso che solo più tardi – dopo la crisi del 1962 per i missili di Cuba – fu installato tra Mosca e Washington per scongiurare un Armageddon nucleare.
Los Alamos
Soltanto pochi anni fa un giornalista del New York Times era riuscito a fargli ammettere la verità. Greenglass, addetto al Progetto Manhattan e anche lui marxista come i parenti che aveva fatto condannare, era stato il vero autore della trafugazione dei segreti di Los Alamos verso la Russia di Stalin. Il prezzo della sua delazione era stata la vita salva e una condanna irrisoria. E poi l’oblio per lunghi anni. Un oblio nel quale è tornato definitivamente il 1° luglio 2014, anche se la notizia della morte è stata data soltanto ieri.
Comprensibile che la famiglia abbia voluto dimenticarsi di questo suo membro diventato “eroe alla rovescia”. La sua morte è stata scoperta anche in questo caso grazie a una telefonata del New York Times alla casa di riposo dove si era ritirato sotto falso nome. C’è da scommettere che al pari di quella del maggiore Tibbets, il comandante di EnolaGay, anche quella di David Greenglass sarà un’altra tomba senza nome in qualche sperduto cimitero della provincia americana.


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