90 – 60. Non sono le misure di
una pin-up, ma gli anni che ci separano dalla data di nascita ufficiale nel
nostro paese della comunicazione di massa, i cui principali mezzi, in inglese mass media, forse più di ogni altra cosa hanno
rivoluzionato la società umana nel ventesimo secolo.
Era il 6 ottobre 1924 quando da
uno studio più o meno improvvisato nei pressi di Piazza del Popolo a Roma la
sig.ra Ines Viviani Donarelli pronunciò via etere le parole che costituiscono
ufficialmente la prima trasmissione radiofonica di un’emittente ufficiale nella
storia d’Italia. La radio era stata messa a punto negli anni a cavallo tra la
fine dell’Ottocento e i primi del Novecento dalla competizione tra geni come Nikola
Tesla, Guglielmo Marconi e Julio Cervera.
Guglielmo Marconi |
Dopo un ventennio di
sperimentazioni pionieristiche e l’inevitabile impiego militare nella Prima
Guerra Mondiale, i governi cominciarono a intuire le enormi potenzialità nel
nuovo mezzo di comunicazione di massa anche nella società civile. Nel 1921 era
nata la più antica radio della storia tutt’ora in attività, la BBC o British Broadcasting Corporation. In
Italia si dovette aspettare tre anni prima che il governo fascista, presieduto
dal grande comunicatore per eccellenza Benito Mussolini, favorisse – e
monopolizzasse a colpi di decreto – la nascita delle trasmissioni radio,
rigorosamente riservate allo Stato, attraverso l’U.R.I., Unione Radiofonica Italiana.
Fu appunto da un microfono cosiddetto “a
catafaco installato” in un ammezzato in Via Maria Cristina a Roma, con le
pareti fasciate di pesanti tendaggi ad attutire i rumori, che l’annunciatrice
Viviani Donarelli alle ore 21,00 del 6 ottobre 1924 disse la storica frase: "Unione
Radiofonica Italiana, stazione di Roma Uno, trasmissione del concerto
inaugurale". Dopo un quartetto d’archi di Haydn, il meteo e il notiziario,
le trasmissioni terminarono quindi alle ore 22,30 perché l’autonomia delle
valvole non permetteva di andare oltre.
Nel 1928 la Radio di Stato era
diventata E.I.A.R., Ente Italiano
Audizioni Radiofoniche. La radio,
intesa come mass media, fece la storia dell’Italia fascista e poi della Seconda
Guerra mondiale. Attraverso le sue onde gli italiani appresero dal Duce della
creazione dell’Impero, e poi che era giunta l’ora delle” decisioni
irrevocabili”, l’entrata in guerra. Mentre proprio grazie alla radio Giorgio VI
di Inghilterra superava il suo handicap della balbuzie nello storico “discorso
del Re” a una nazione determinata a resistere a Hitler, Vittorio Emanuele III
perse l’occasione di superare il proprio di handicap, una statura fisica misera
come quella morale, e lasciò al Maresciallo Badoglio il compito di informare il
suo popolo abbandonato a se stesso che era stato firmato l’armistizio ma che la
guerra continuava. Cosa di cui gli italiani si stavano comunque accorgendo più
per merito delle bombe che del nuovo mezzo di comunicazione. In compenso,
grazie ai partigiani coordinati da Radio Londra, avevano fatto la loro comparsa
le prime “radio libere”.
Dopo la guerra, l’E.I.A.R.
divenne R.A.I., Radio Audizioni Italiane,
e mantenne il monopolio a beneficio di uno Stato preoccupato di centellinare la
ritrovata libertà al popolo sovrano. Di radio libere si tornò a riparlare 30
anni dopo il 25 aprile, allorché la sentenza n. 202 del 1976 della Corte
Costituzionale abbatté per sempre il monopolio RAI. Ma a quel punto, la
gloriosa radio aveva perso lo scettro di mass media per eccellenza. Una nuova
diavoleria tecnologica era sopraggiunta a cambiare per sempre i nostri usi e
costumi, e a fornire a qualsiasi attività umana un nuovo e più completo
palcoscenico, una vera e propria “realtà virtuale”.
La parola “televisione”, formata
da un prefisso greco (“tele” = “a
distanza”) e da un sostantivo latino (visione, da “video”), era arrivata in Italia come traduzione dell’inglese. Lo
scettro del primato culturale e tecnologico stava inesorabilmente passando
nelle mani degli anglosassoni. Dopo aver sviluppato la radio, brevetto di un
italiano e di uno jugoslavo, essi stavano mettendo a punto la nuova scatola che
oltre al suono riproduceva le immagini. La prima trasmissione a distanza aveva
avuto luogo a Londra nel 1925 presso il centro commerciale Selfridges, ad opera dell’ingegnere scozzese John Logie Baird.
Monoscopio RAI |
La prima televisione a tubo
catodico entrò in funzione invece nel 1927 a San Francisco, dove Philo
Farnsworth aveva messo a punto un vecchio brevetto dell’ingegnere tedesco
Ferdinand Braun. In Italia, l’EIAR cominciò nel 1934 a condurre le prime prove
sperimentali di trasmissioni televisive a Torino in un teatro sperimentale. Nel
1939 entrò in funzione il primo trasmettitore televisivo da 2kw presso la
stazione EIAR di Monte Mario, che utilizzava la tecnologia tedesca della Telefunken. Tutte queste sperimentazioni
furono interrotte dalla guerra mondiale. Ci si accorse che le onde trasmesse
interferivano con i sistemi di navigazione aerea, e la nascita della
televisione in Italia fu rimandata a tempi migliori, anche perché le
attrezzature dell’EIAR furono poi smantellate dalla Wehrmacht occupante e
trasferite in Germania.
Dopo la Liberazione e la
Ricostruzione, il momento della televisione in Italia arrivò il 3 gennaio 1954,
quasi trent’anni esatti dopo la radio, allorché dagli studi del Centro di
Produzione RAI di Milano la sig.ra Fulvia Colombo annunciò ai pochi fortunati
che possedevano i primi apparecchi a tubo catodico che “la Rai, Radio Televisione Italiana, inizia
oggi il suo regolare servizio di trasmissioni televisive”.
La neonata televisione italiana rese
subito un servizio gradito, facendo in tempo a trasmettere i Mondiali di Calcio
del 1954 in Svizzera. Per raggiungere tutte le zone del territorio nazionale
impiegò almeno altri due anni. Per inaugurare il secondo canale dovette
attendere il 1961, quando già programmi come Lascia o Raddoppia di Mike Bongiorno e Il Musichiere di Mario Riva erano diventati fedeli e inseparabili
compagni di molti italiani.
Nicoletta Orsomando, storica annunciatrice RAI |
Negli anni 70 anche per la
televisione arrivò la fine del monopolio di Stato, con le prime ”telelibere”
più o meno nello stesso momento in cui si sperimentavano le prime trasmissioni
a colori. Anche qui toccò ad un grande evento sportivo, le Olimpiadi di
Montreal nel 1976, fare da apripista e teatro sperimentale, con il derby tra i
sistemi PAL e SECAM. Pochi anni dopo nacque – non senza polemiche in certi casi
sfociate in scontri, come quando dovette intervenire il premier Bettino Craxi
nel 1984 per impedire un tentativo giudiziario di abbuiamento - il primo network commerciale ad opera del tycoon milanese Silvio Berlusconi.
Il resto è storia nota, la
televisione che ha festeggiato ieri il suo sessantesimo compleanno ormai parla
l’inglese commerciale delle pay-tv, pay per view, tv on demand. Il digitale ha sostituito il tubo catodico, e la
vecchia scatola di Braun e Fansworth ormai si integra quasi completamente con i
computer che stanno ereditando la Terra. Un mondo che anche un genio come
quello di Nikola Tesla avrebbe probabilmente fatto fatica ad immaginare.
Nessun commento:
Posta un commento