Arrivarono da Barcola, l’unica
strada aperta verso l’Italia e il resto del mondo libero. Le altre si erano
chiuse definitivamente il 1° maggio 1945, quando i partigiani “cetnici” e
comunisti di Tito avevano occupato quella che una volta era l’Istria italiana
fino ad arrivare all’abitato di Trieste, che per 40 giorni circa era stato alla
mercé del terrore e della vendetta jugoslava.
Arrivarono lungo le Rive, fino a
Piazza dell’Unità d’Italia ed al Molo Audace,
dove la gente era assiepata fin dalle prime luci del giorno, malgrado fosse una
tipica alba triestina, carica di pioggia e soprattutto dell’immancabile bora.
Ma quella gente non sentiva né freddo né umidità, era lì in omaggio ad un unico
pensiero, ad un unico sentimento, a smentire chi aveva avuto dubbi più o meno
interessati sull’italianità del capoluogo giuliano e sul suo destino finale.
Si, ci sono ancora in alcuni
negozi appesi i ritratti di Francesco Giuseppe, a testimonianza della
gratitudine di una città per quel passato imperiale che aveva fatto di lei il
gioiello più prezioso della corona asburgica. Si, c’erano ancora i comunisti –
e ci sono ancora – che sognavano di cambiare il nome della città in Trst, in lingua slovena, regalandola a
chi in soli 40 giorni era stato capace di farle assaggiare tutti gli orrori di
cui il comunismo era ed è capace, oggi come allora. C’era ancora chi
rinfacciava l’incendio del Narodni Dom,
il centro di cultura slava triestino, nel 1920 ad opera dei fascisti come
crimine di guerra preludio a tanti altri crimini commessi dagli “italiani brava
gente”. C’è ancora qualcuno che assimila gli italiani al fascismo e li giudica
meritevoli di qualsiasi punizione, ne sa qualcosa il povero Simone Cristicchi
che ha semplicemente raccontato cosa avvenne in Istria negli anni in cui alla
belva titina trionfante fu lasciata mano libera.
La gran parte della gente di
Trieste alle sette di mattina di quel 26 ottobre 1954 chiarì una volta per
tutte da che parte stava e come la pensava. Quando arrivarono i camion dei
Bersaglieri e dei Carabinieri in Piazza dell’Unità d’Italia, quando al molo Audace (che prende il nome dal
cacciatorpediniere che fu il primo ad attraccarvi il 3 novembre 1918,
riconquistando la città alla patria italiana) si accostò l’incrociatore Duca degli Abruzzi a rinnovare la magia
e l’emozione di 36 anni prima, nessuno dei triestini che erano lì presenti aveva
dubbi: era il momento di riassaporare una libertà che si era creduta persa di
nuovo, dopo tanti sacrifici e tributi di sangue attraverso tutto il
Risorgimento; era il momento semmai di piangere di nuovo e per l’ultima volta
chi non c’era più, rimasto nelle foibe dell’Istria o degli stessi dintorni di
Trieste, magari per l’unica colpa di essere di nazionalità italiana.
Alle ore 11,30 di quel giorno,
Trieste tornò all’Italia. La sua città-capoluogo situata più ad est, il simbolo
della fine delle lotte risorgimentali. Il passaggio di consegne tra le forze di
occupazione anglo-americane (i Blue
Devils, che avevano difeso la libertà di Trieste e la frontiera più calda
dell’Italia per circa 9 anni, acquartierati nel suggestivo e storico Castello
di Miramare) e quelle italiane agli ordini del generale De Renzi, il nuovo
prefetto mandato da Roma, si concluse più o meno a quell’ora.
La zona A non esisteva più, era
tornata a tutti gli effetti territorio italiano. Duino, Aurisina, Sgonico,
Monrupino, San Dorligo della Valle e Muggia festeggiavano insieme al capoluogo
la fine dell’incubo. Per la zona B non cera stato nulla da fare, il memorandum
di Londra venti giorni prima aveva sancito la realtà di fatto, da Nova Goriča
(la metà di Gorizia rimasta nelle mani di Tito) fino a Capodistria le terre
irredente nel 1918 erano andate perse definitivamente nel 1945. Ci vollero poi
altri vent’anni, a Osimo nel 1975 perché un trattato sancisse infine la
rassegnazione dell’Italia alla sconfitta nella guerra fascista e ai suoi nuovi
confini, nonché l’ossequio inevitabile alla logica dei due blocchi della Guerra
Fredda.
Ma quel giorno ci fu spazio solo
per la festa. “Siamo tornati liberi”, titolò quella mattina il Piccolo di Trieste con sintesi efficace
e commovente. “In una giornata indimenticabile, un’esplosione di incontenibile
amor patrio ha suggellato la fine dell’amministrazione militare alleata e
l’inizio di quella italiana”. Cento anni dopo circa il suo inizio, il
Risorgimento italiano era finalmente terminato.
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