Quando Martina Navratilova e
Chris Evert giocarono la prima delle loro tante finali di un major tournament,
Roberta Vinci e Flavia Pennetta non erano ancora nate. Era il 1978, il campo
era il grass court di Wimbledon. L’americana era già il numero uno del tennis
femminile, un mostro sacro, una specie di Borg in gonnella. La cecoslovacca,
che poi sarebbe fuggita negli U.S.A. saltando una Cortina di Ferro allora
ancora assai presente ed oppressiva, cominciò timidamente, per poi trovare
coraggio e liberare i suoi colpi che l’avrebbero portata a vincere quel giorno
ad a scalzare poi la Evert dal tetto del mondo.
Le nostre due campionesse
gentilmente fornite dalla Regione Puglia non erano state neanche concepite dai
genitori quando l’archetipo del loro tennis andò in scena per la prima volta.
Navratilova-Evert diventarono quello che Borg-Connors o Borg-McEnroe erano per
il tennis maschile. L’attaccante dai colpi spettacolari contro l’altrettanto
spettacolare regolarità di un fondista che non sbaglia mai.
Prima del 1978 il tennis
femminile era qualcosa che gli appassionati di tennis guardavano con
sufficienza, una specie di manifestazione di contorno a grandi e piccoli
tornei. Dopo quel primo scontro ed i successivi, il women’s tennis è cresciuto
fino a quello spettacolo da stropicciarsi gli occhi (nulla più da invidiare
all’equivalente maschile) che è andato in scena ieri sera sul campo centrale
del circolo tennis di Flushing Meadows, New York, dove a partire proprio da
quel fatidico 1978 vengono disputati gli U.S. Open, i campionati internazionali
americani, quarta e conclusiva prova del cosiddetto Grande Slam, un campionato
nel campionato che raggruppa i principali storici tornei di Australia, Francia,
Gran Bretagna ed appunto Stati Uniti.
Titolo di merito quasi
leggendario è vincerli tutti nello stesso anno, il cosiddetto Grande Slam,
termine preso a prestito dal gioco del Bridge. L’impresa finora è riuscita tra
i maschi solo a Don Budge nel 1938 ed a Rod Laver nel 1962 e 1969 e fra le
donne a Maureen Connolly nel 1953, a Margaret Court Smith nel 1970 e a Steffi
Graf nel 1988. Come si vede, impresa difficilissima che è stata solo sognata e
mai compiuta da fior di fuoriclasse di tutte le epoche. Stava per aggiungersi
all’elenco Serena Williams, quando è stata fermata in semifinale da Robertina
Vinci da Taranto.
Partita senza alcun favore di
pronostico al pari di tutti i colleghi azzurri maschi e femmine, Roberta ha
ritrovato proprio qui sul concrete, il cemento che nel 1978 ha sostituito la
vecchia, gloriosa erba di Forest Hills, la condizione fisica, la voglia di
giocare e di vincere, di lasciare andare i colpi secondo il talento di cui Madre
Natura l’ha dotata. La voglia di tornare ad alzare uno di quei trofei che per
lei erano diventati abitudine in doppio a fianco di Sara Errani.
In questa vicenda, a Serena
Williams è toccata incredibilmente la parte della malcapitata. Mentre all’amica
di sempre e collega Flavia Pennetta è toccata quella della predestinata. Le
troppe poche ore di distanza dalla semifinale alla finale hanno probabilmente
handicappato la Vinci nei confronti dell’altra azzurra, accreditata da sempre peraltro
di una maggiore solidità in campo. Flavia Pennetta ha finito per liberare sul
campo colpi altrettanto spettacolari di quelli dell’amica. E nei momenti
decisivi è stata lei a prevalere.
Alla fine, la standing ovation
con cui lo stadio intitolato al grande Arthur Ashe le ha reso omaggio
(sportivamente, malgrado la delusione patita dal pubblico americano per
l’assenza dell’enfant du pays Williams), insieme alla Coppa consegnatale dalla
presidentessa dell’U.S.T.A., la federazione americana, sono apparsi come due
premi assolutamente meritati, fuori discussione per la brindisina. Che ha
coronato con la vittoria nel torneo più importante del mondo una già splendida
carriera, e che ha trovato il coraggio di annunciare nel discorso di
ringraziamento che la sua carriera si conclude proprio qui, a Flushing Meadows,
con la Coppa che fu di Chris Evert, Martina Navratilova, Steffi Graf, Venus e
Serena Williams tra le sue mani leggermente tremanti per l’emozione.
Un’emozione che gli appassionati
di tennis hanno potuto condividere con lei grazie alla sensibilità della rete
televisiva Dee Jay Television, che ha tempestivamente deciso di trasmettere in
chiaro le immagini del trionfo italiano a New York colmando così la consueta
madornale lacuna causata dalla R.A.I., affidataria di un servizio pubblico
ormai inesistente. Più che sulla presenza del Presidente del Consiglio Matteo Renzi
nella tribuna dell’Arthur Ashe Stadium, doverosa se si considera il ruolo
istituzionale di rappresentanza in occasione di un successo italiano all’estero
prestigioso come pochi altri, sarebbe stato giusto appuntare le numerose
polemiche scatenatesi in patria a margine di questo episodio proprio sul ruolo
della televisione pubblica. Un ruolo disatteso una volta di più, a fronte del
quale si è fatta apprezzare la sensibilità del Gruppo Mediaset, del cui
pacchetto Premium Dee Jay Television fa appunto parte.
Ma tornando all’evento sportivo,
parlavamo di emozione. Quella che le due nostre campionesse, due ragazze tra
l’altro amiche da sempre (“abbiamo giocato contro la prima volta che forse non
avevamo neanche nove anni”, ha ricordato Flavia Pennetta), hanno scaricato
l’una abbracciata all’altra in mezzo al campo dopo la conclusione dell’ultimo
punto. Quella che hanno saputo gestire alla grande nel simpaticissimo
siparietto precedente la bella cerimonia di premiazione (a proposito, quanta suggestione
nella cerimonia di apertura, con i Marines che srotolano la bandiera a stelle e
strisce e la voce soul che intona God bless America…quanta suggestione e quanta
invidia per un sentimento nazionale che noi non riusciamo più a ritrovare
neanche in occasione di queste grandi vittorie). Quella intuita più che vista
nell’abbraccio acrobatico di Flavia al fidanzato Fabio Fognini, tra l’altro
autore anche lui di una grande impresa contro il “mostro sacro” Rafael Nadal.
Quella emozione, infine, che
hanno inevitabilmente provato i più vecchi aficionados del tennis, per dirla
con il grande maestro Gianni Clerici, a vedersi scorrere sotto gli occhi queste
immagini, questi Momenti di Gloria, dopo una rincorsa durata molto più di una
vita. Nei centocinquant’anni da che esiste il tennis moderno i nostri campioni
e le nostre campionesse hanno solo potuto sognare di alzare questi trofei, con
l’unica eccezione di Nicola Pietrangeli ed Adriano Panatta in campo maschile al
Roland Garros di Parigi, e di Francesca Schiavone sempre a Parigi e adesso
Flavia Pennetta in America in quello femminile.
E’ stata una lunga strada, che
forse il buon sangue di questa nuova generazione di tenniste e tennisti saprà
proseguire. Finché un giorno una ragazza come Flavia Pennetta o un ragazzo come
il suo fidanzato Fabio Fognini riusciranno ad alzare l’ultima Coppa che manca.
L’ultimo sogno che per lungo tempo è apparso impossibile. La Coppa di
Wimbledon.
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