La strada per Basilea comincia da
Basilea. Non è un paradosso né un circolo vizioso, ma uno di quei giochi che la
vita si diverte a fare con chi la vive. Accade che nell’urna di Nyon la Fiorentina
peschi come primo avversario della nuova stagione di Europa League proprio la
squadra a cui ha “sottratto” l’allenatore a giugno scorso, non appena
formalizzata la rottura con Vincenzo Montella. Accade anche che la città che di
quella squadra è orgogliosa sostenitrice, la terza per importanza nella
Confederazione Elvetica dopo Zurigo e Ginevra, sia destinata ad essere sede
ospitante dell’atto conclusivo di questa Europa League appena avviata.
La stagione passata la Fiorentina
mancò l’appuntamento con l’atto conclusivo di Varsavia per aver sottovalutato
un avversario in semifinale, il Siviglia, che forse non era più forte in
assoluto di lei ma che sicuramente si era presentato allo scontro più fresco
mentalmente e più organizzato. Era un’altra Fiorentina, peraltro, e sembra
passata una vita.
La Fiorentina attuale è figlia di
un calciomercato da spending review. Addetti ai lavori e addirittura pubbliche
autorità si sono affannati a dipingerlo come positivo e a stigmatizzare chi tra
i tifosi ha osato avanzare perplessità che peraltro la squadra nelle sue uscite
ufficiali (lasciando cioè da parte il prodigioso ma poco veritiero
pre-campionato) ha puntualmente autorizzato.
La squadra di Montella, a parte
la presenza in essa di singoli dal tasso tecnico indiscutibilmente superiore a
quello di alcuni degli attuali (all’epoca guarda caso seconde scelte), era
stata giustamente accreditata nel bene e nel male di essere la succursale in
Italia del calcio spagnolo, cioè della scuola che andava – e va tutt’ora – per la
maggiore. Quella di Paulo Sousa, da quando il primo arbitro ha fischiato il
primo calcio d’inizio della stagione 2015-16, è apparsa piuttosto una
riedizione in veste più brillante (ma non troppo) di quella di Cavasin che
cavalcò la tigre della panchina viola dalla C2 alla B, dalla Florentia Viola
all’ACF Fiorentina nei primi tempi eroici della gestione Della Valle. Quella
del “lancione a Riganò”, per intenderci.
Al posto del bomber di Lipari
adesso c’è un ragazzo che viene dalla costa dalmata della Croazia, Nikola Kalinic,
che ha dimostrato di essere finora l’unico valore veramente aggiunto del
calciomercato 2015. Veloce nelle ripartenze che hanno dimostrato di essere l’unica
arma finora in mano ai ragazzi di Sousa e tenace nella difesa della palla (il
classico “fare reparto da solo” tanto in voga da queste parti dai tempi assai rimpianti
di Luca Toni), ieri sera l’ex di Hajduk e Dnipro ha finalmente timbrato anche
il cartellino dello score, mettendo subito in discesa la partita dei suoi
compagni.
Miglior esordio non poteva
sperare Paulo Sousa, con Facundo Roncaglia rifinitore alla Borja Valero e Kalinic
falco da area di rigore come il miglior Gilardino. E con una difesa elvetica
forse più emozionata di lui nel ritrovarsi di fronte al vecchio allenatore,
quello che ha portato Basilea a festeggiare lo scudetto della Confederazione
nel maggio scorso. Peccato che l’esito finale non sia stato quello che
probabilmente il mister portoghese aveva probabilmente sognato nelle notti di
avvicinamento a questa partita.
Diciamo la verità, nelle
precedenti uscite tra Milan, Torino e Genoa spesso il risultato finale ha mascherato
le vistose lacune viola: primi tempi da calcio d’antan con difesa e contropiede
impreziositi dall’estro apparentemente ritrovato di alcuni vecchi e giovani “senatori”
come Borja valero, Ilicic e Bernardeschi; riprese caratterizzate da cali fisici
spaventosi, con i nostri eroi costretti in difese ai limiti dell’assedio senza
più riuscire a ripassare quasi la metà campo avversaria.
Ieri sera l’avversario era di
rango internazionale. Son finiti i tempi in cui il calcio italiano poteva
guardare quello svizzero dall’alto in basso, a livello di Nazionale come di
Club. Ce n’eravamo accorti già due anni fa alle prese con le Cavallette di
Zurigo, che tennero per tutto un tempo, il secondo della partita di ritorno, il
Franchi nell’angoscia di una possibile eliminazione dalla Coppa già al turno
preliminare. Questo Basilea dal canto suo vantava già diversi colpacci messi a
segno in terra inglese e almeno uno, clamoroso, all’Olimpico di Roma. Campione
elvetico in carica e motivato probabilmente a dimostrare al suo ex allenatore
che il progetto che valeva la pena di intraprendere era quello che si è
lasciato alle spalle e non quello (assai ipotetico per ora) verso cui si è
diretto rescindendo un ottimo contratto.
Per tutto un tempo il Basilea ha
subito la fisicità di una Fiorentina comunque apparsa già paga del gol trovato
troppo presto. Una Fiorentina molto fallosa e poco ispirata, con Ilicic e Valero
ritornati a quell’apatia così consueta nella scorsa stagione ed un Mati Fernandez
di pari inconsistenza. Con un Babacar troppo isolato in avanti e poco servito
da un gioco ancor più avaro di quello che l’anno scorso esaltava – si fa per
dire – la scarsa vena di Mario Gomez. Con un Błaszczykowski che ne ha di strada
da fare per ritornare quello di Dortmund, ma si sapeva e semmai non è colpa
sua.
Ma soprattutto con una difesa che
non era impenetrabile quando Montella poteva schierare gente come Savic e
Basanta, e che lo è ancor meno adesso che i suddetti sono stati lasciati
partire senza adeguata sostituzione. Il buon Astori in campo internazionale
mostra tutti i suoi limiti, infortunio a parte, e per quanto riguarda la
presenza di un terzino destro di ruolo in casa viola bisogna risalire a
Cristian Maggio, roba dei tempi del sovramenzionato Cavasin. Se proprio non
vogliamo riandare col pensiero ad altre Fiorentine, rispolverando dalla
soffitta gente come Daniele Adani.
La difesa sotto pressione e non
più filtrata dal muscolare (ad autonomia ridotta) centrocampo non regge una partita
intera. Se arriva un’espulsione – come nelle ultime due circostanze – è Fort
Apache. Dopo Badelj ieri sera è toccato a Gonzalo Rodriguez macchiarsi di una
imperdonabile (soprattutto a lui) ingenuità. A discolpa del campione argentino
va detto che probabilmente ormai quando si trova al centro di una difesa
decimata, sottodimensionata e con gente fuori ruolo va in ansia, malgrado si
tratti di un giocatore sul limitare della categoria fuoriclasse. Purtroppo, non
tutti hanno il carattere di Passarella oltre ai piedi ed alla testa. Gonzalo solitamente
ci va molto vicino, ma ieri sera la sua ingenuità è costata probabilmente il
match ai viola, insieme alla commozione cerebrale di Astori.
Il pareggio di Bjarnason al 71’ ha chiarito due cose, anzi
tre: che lo scandinavo è più fortunato di Błaszczykowski che ha tentato lo
stesso tiro sul palo vedendo però la palla schizzare via con un angolo diverso,
che il portiere Sepe almeno ieri sera miracoli non è parso in grado di farne
giustificando così le attuali gerarchie tra portieri, che la strenua resistenza
sul Piave che aveva funzionato contro il Genoa non è bastata con avversari di
rango decisamente superiore. Il gran tiro di Elneny sotto la traversa è un
eurogol inferiore soltanto a quello di Florenzi al Barcellona, ma prodezza a
parte la Fiorentina ieri sera appariva predestinata ad andare sott’acqua in
quei minuti finali in cui non reggeva più nemmeno gli scarsi refoli d’aria che
arrivavano sullo stadio da Fiesole e dintorni.
Comincia così la strada verso Basilea
di questa Fiorentina post-Montella. Chissà se Paulo Sousa si sta chiedendo se ha
scelto il progetto giusto. Chissà dove porterà la strada appena incominciata.
La Fiorentina vista ieri sera arriverà sicuramente a Basilea per il match di
ritorno, difficilmente per la finale. Di sicuro, i favori di qualsiasi
pronostico non possono adesso arriderle più.
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