“Chi non salta spagnolo è!”. Così
si canta sulle Ramblas di Barcellona dopo la fine dello scrutinio dei risultati
elettorali, un canto che risuonerà prepotente non solo in tutta la Spagna ma
probabilmente in tutta Europa.
A poche ore dalla chiusura dei
seggi, il parlamento regionale catalano risulta governato da una maggioranza
costituita dal movimento separatista Junts Pel Sì e da quello di estrema
sinistra del Cup (Candidatura d’Unitat Popular), che hanno ottenuto
rispettivamente il 39,57% e l'8,21% dei voti. Per la legge elettorale catalana,
è un 48% dei voti scarso che vale comunque 72 seggi alle Cortes locali,
abbondantemente la maggioranza assoluta.
Non avendo potuto ottenere di
poter tenere il referendum consultivo sulla separazione dalla Spagna sulla
falsariga di quanto fecero un anno fa gli scozzesi in Gran Bretagna, i catalani
si sono riversati in massa alle urne per dare a questa consultazione
politico-amministrativa un significato analogo a quello del referendum stesso.
E adesso gli avversari dell’unione con lo stato centrale iberico gridano in
direzione di Madrid le loro intenzioni.
«Dedicato allo Stato spagnolo.
Senza rancore, adios!», twitta Antonio Banos leader dei secessionisti del Cup.
Di tenore più o meno equivalente i commenti di Artur Mas, presidente uscente
della Catalogna e leader del Junts Pel Sì. In realtà la costituzione spagnola
non prevede la messa in atto di qualsiasi meccanismo che porti alla secessione
di una delle sue componenti territoriali ed etniche. Tuttavia è indubbio che il
voto di Barcellona e dintorni risuoni come uno schiaffo in faccia al paese di
cui Felipe di Borbone ha assunto la corona lo scorso anno succedendo al padre
Juan Carlos. Ed al suo premier Rajoy che aveva fatto della campagna per il NO
all’indipendenza catalana una battaglia di bandiera.
La Catalogna ha una lunga storia
di aspirazioni indipendentistiche e di antagonismo con la capitale Madrid, che
raggiunse il suo culmine durante la Guerra Civile, allorché Barcellona divenne
il simbolo della resistenza al Franchismo trionfante e l’ultimo baluardo della
repubblica spagnola a cadere. Lo stato spagnolo sorto dall’unificazione della
penisola iberica operata da Castiglia ed Aragona al tempo della reconquista
della stessa dai Mori ha per forza di cose storicamente osteggiato queste
aspirazioni, che sono rimaste a covare fatalmente come brace sotto la cenere.
Finché il referendum scozzese non ha ravvivato queste braci facendole
nuovamente divampare.
Artur Mas presidente della Catalogna |
Barcellona è inoltre il motore
culturale ed industriale del paese. Una ipotesi secessionista è vista in
prospettiva come drammatica dagli altri spagnoli, che preferiscono puntare in
queste ore l’accento sul dato puramente statistico: il restante 52% dei votanti
(circa il 76% degli aventi diritto, un dato invidiabile da parte del resto
d’Europa che la dice lunga su quanto fosse sentita questa consultazione
elettorale), astenuti compresi, non si è di fatto espresso a favore della
secessione.
In attesa di vedere quali saranno
gli sviluppi interni alla Spagna (considerata anche la presenza di un’altra
etnia che scalpita per aver riconosciuta da sempre una autonomia la più grande
possibile, i Baschi), è interessante adesso considerare che dopo aver visto gli
scozzesi ripiegare i loro vessilli a Bannockburn, i movimenti autonomisti e
federalisti di tutta Europa, a cominciare dalla Lega Nord italiana, hanno
l’occasione di rialzare di nuovo la testa, con lo sguardo puntato a quello che
succede tra Barcellona e Bilbao. In un momento in cui, da Wolfsburg a Bruxelles
ad Atene, l’Europa – questa Europa - appare sempre di più una insopportabile
matrigna.
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