lunedì 28 settembre 2015

Omaggio alla Catalogna



“Chi non salta spagnolo è!”. Così si canta sulle Ramblas di Barcellona dopo la fine dello scrutinio dei risultati elettorali, un canto che risuonerà prepotente non solo in tutta la Spagna ma probabilmente in tutta Europa.
A poche ore dalla chiusura dei seggi, il parlamento regionale catalano risulta governato da una maggioranza costituita dal movimento separatista Junts Pel Sì e da quello di estrema sinistra del Cup (Candidatura d’Unitat Popular), che hanno ottenuto rispettivamente il 39,57% e l'8,21% dei voti. Per la legge elettorale catalana, è un 48% dei voti scarso che vale comunque 72 seggi alle Cortes locali, abbondantemente la maggioranza assoluta.
Non avendo potuto ottenere di poter tenere il referendum consultivo sulla separazione dalla Spagna sulla falsariga di quanto fecero un anno fa gli scozzesi in Gran Bretagna, i catalani si sono riversati in massa alle urne per dare a questa consultazione politico-amministrativa un significato analogo a quello del referendum stesso. E adesso gli avversari dell’unione con lo stato centrale iberico gridano in direzione di Madrid le loro intenzioni. 
«Dedicato allo Stato spagnolo. Senza rancore, adios!», twitta Antonio Banos leader dei secessionisti del Cup. Di tenore più o meno equivalente i commenti di Artur Mas, presidente uscente della Catalogna e leader del Junts Pel Sì. In realtà la costituzione spagnola non prevede la messa in atto di qualsiasi meccanismo che porti alla secessione di una delle sue componenti territoriali ed etniche. Tuttavia è indubbio che il voto di Barcellona e dintorni risuoni come uno schiaffo in faccia al paese di cui Felipe di Borbone ha assunto la corona lo scorso anno succedendo al padre Juan Carlos. Ed al suo premier Rajoy che aveva fatto della campagna per il NO all’indipendenza catalana una battaglia di bandiera.
La Catalogna ha una lunga storia di aspirazioni indipendentistiche e di antagonismo con la capitale Madrid, che raggiunse il suo culmine durante la Guerra Civile, allorché Barcellona divenne il simbolo della resistenza al Franchismo trionfante e l’ultimo baluardo della repubblica spagnola a cadere. Lo stato spagnolo sorto dall’unificazione della penisola iberica operata da Castiglia ed Aragona al tempo della reconquista della stessa dai Mori ha per forza di cose storicamente osteggiato queste aspirazioni, che sono rimaste a covare fatalmente come brace sotto la cenere. Finché il referendum scozzese non ha ravvivato queste braci facendole nuovamente divampare.
Artur Mas presidente della Catalogna
Barcellona è inoltre il motore culturale ed industriale del paese. Una ipotesi secessionista è vista in prospettiva come drammatica dagli altri spagnoli, che preferiscono puntare in queste ore l’accento sul dato puramente statistico: il restante 52% dei votanti (circa il 76% degli aventi diritto, un dato invidiabile da parte del resto d’Europa che la dice lunga su quanto fosse sentita questa consultazione elettorale), astenuti compresi, non si è di fatto espresso a favore della secessione.
In attesa di vedere quali saranno gli sviluppi interni alla Spagna (considerata anche la presenza di un’altra etnia che scalpita per aver riconosciuta da sempre una autonomia la più grande possibile, i Baschi), è interessante adesso considerare che dopo aver visto gli scozzesi ripiegare i loro vessilli a Bannockburn, i movimenti autonomisti e federalisti di tutta Europa, a cominciare dalla Lega Nord italiana, hanno l’occasione di rialzare di nuovo la testa, con lo sguardo puntato a quello che succede tra Barcellona e Bilbao. In un momento in cui, da Wolfsburg a Bruxelles ad Atene, l’Europa – questa Europa - appare sempre di più una insopportabile matrigna.

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