venerdì 30 ottobre 2015

CONTROCORRENTE: Il cittadino si difende

La vicenda del pensionato milanese che ha ucciso il rumeno che gli stava entrando in casa sembra di quelle fatte apposta per spaccare in due l'opinione pubblica, come succede da sempre sui fatti di cronaca nera fin da quando esiste - appunto - una opinione pubblica.
Ma c'é di più. Come nella vicenda del benzinaio di qualche tempo fa, emerge da una parte una fetta di popolazione che "non ne può più". E che è pronta ad applaudire qualsiasi gesto e qualsiasi intervento (anche di quelli del tipo "giustizia fai da te") perché trova ormai intollerabile vivere a rischio della propria vita con uno stato ed un sistema giudiziario che ormai proteggono soltanto i diritti e la privacy di chi delinque. Dall'altra c'é un'altra fetta di popolazione che sotto l'egida della presunta legalità continua a schierarsi di fatto (almeno a mio giudizio) dalla parte di chi, armato o non armato, si introduce nella proprietà altrui. Sia a livello individuale, sia a livello di massa di migranti.
Sono due metà che ormai non si parlano e non si comprendono più. Situazione pericolosissima, perché l'esasperazione da un lato e la sordità dall'altro preludono quasi sempre a svolte autoritarie. D'altra parte, o i problemi si affrontano e si risolvono per tempo, o quando poi è tardi è tardi. I sistemi democratici non fanno eccezione.
L'altra sera ho commentato d'istinto: HA FATTO BENE. Commentare d'istinto fatti come questi forse non va bene. Non si dovrebbe fare. Eppure, a ripensarci per quanto tempo ho coltivato, abbiamo coltivato una cultura della legalità, solo per ritrovarci a vivere in un paese dove la legalità non esiste più? Dove chi è più disonesto e più cialtrone, dal napoletano che ti tira in testa la bottiglietta di piscio (e passa per criatura folkloristica) al balcanico che ti entra in casa e ti sgozza (e passa per migrante portatore di cultura da proteggere), ha tutti i diritti. E tu nessuno.
Legalità significa diritti e doveri per tutti. Gli stessi. Quindi anche per me. Che altrimenti mi sono rotto i coglioni e scopro di ritrovarmi con soltanto la destra che parla un linguaggio che capisco e che mi capisce. E che spende ancora almeno qualche parola per difendermi e rincuorarmi.
I paesi anglosassoni non possono essere certo accusati di non essere "patrie del diritto". Negli Stati Uniti, la legittima difesa contro chi attenta alla tua vita ed alla tua proprietà è ammessa fino alle conseguenze più drastiche. In Sudafrica, Pistorius ha avuto una pena mite perché ha potuto sostenere che la fidanzata si era introdotta in casa sua a sua insaputa. Non sono paesi più incivili del nostro. Anzi.
Sì, il pensionato milanese ha fatto bene. Stavolta lo dico razionalmente, non d'istinto. E mi fa schifo una certa napoletanità, che molti scambiano - interessatamente - per folklore. Anche questo non lo dico più d'istinto, ma in piena consapevolezza. Chi difende tutta quella gente con me non ha più a che fare.

P.S. la famiglia del rumeno ha chiesto la perizia psichiatrica per il pensionato milanese. Se la richiesta viene accolta, non c'é bisogno delle previsioni di Nostradamus per capire che il nostro mondo è alla fine.

CONTROCORRENTE: "IL VACCINO CONTRO L'INTELLIGENZA"

Come ogni anno infuria il tormentone "vaccino sì vaccino no". Politici e medici tutti dalla parte del sì (poi vediamo perché), società civile spaccata in due. Il nostro popolo si avvia verso un analfabetismo di ritorno a tutti i livelli. Normale che sia più suggestionabile di altri da parte di certe sirene interessate.
Da un paio di stagioni per ovviare al consumo di medicine in calo (la crisi economica fa premio anche sulla creduloneria), le case farmaceutiche con la connivenza delle autorità hanno scoperto un sistema più efficace di qualsiasi pubblicità: hanno reintrodotto nel nostro immaginario collettivo la Morte Nera. Non quella di Darth Vader, quella del 1348.
L'anno scorso toccò all'influenza killer, salvo poi scoprire che killer era soprattutto il vaccino messo in commercio. Morirono soprattutto anziani, e qualcuno anche molto in alto non ebbe scrupoli a cavarsela commentando: embe'? so' vecchi, quanto devono campare? O qualcosa del genere.
Quest'anno ci voleva qualcosa di più forte, un'Ebola contro cui è verosimile vaccinarsi: ecco quindi la Meningite. Intendiamoci, per quanto Meningi e Partito Democratico siano due termini che si elidono a vicenda, il problema esiste, il rischio c'é. Ma chi ha preso una laurea in medicina (non la Lorenzin, per la sua carica non è richiesta) e non ha interessi di bottega particolari dovrebbe spiegare ai suoi assistiti che il contagio è evitabile facilmente e il vaccino in commercio - ammesso che sia stato correttamente prodotto, e non affatto concesso, come insegnano certe recenti esperienze - non dà tutto sommato maggiore sicurezza di quanta ne offra di per sé Madre Natura.
Quando nacque mio figlio era obbligatorio vaccinarsi manca poco anche contro l'unghia incarnita. A noi è andata bene, ad altre famiglie un po' meno. Alla batteria di vaccini introdotta nel nostro ordinamento e nel nostro sistema sanitario dai delinquenti come De Lorenzo e Poggiolini non tutti i bambini sono sopravvissuti indenni. In compenso il morbillo non ammazza più nessuno dal dopoguerra e tutti noi genitori eravamo sopravvissuti alle macchioline.
Dice, ma negli anni sessanta tante vaccinazioni hanno debellato malattie orribili e che da secoli affliggevano le nostre popolazioni. Vero, ma chissà perché dei medici di quell'epoca era lecito fidarsi di più.....dei politici non ne parliamo.
Il dibattito "vaccino sì vaccino no" ognuno deve risolverlo all'interno della propria coscienza, della propria istruzione e consapevolezza critica, tenendo presente che dal vostro medico curante quasi sempre prima di voi è entrato l'informatore sanitario. E le vacanze tutte spesate alle Maldive hanno più appeal di qualsiasi giuramento in nome di Ippocrate.
P.S. Una menzione specale la meritano quei galantuomini che vanno sotto il nome di Governatori regionali e che in Conferenza Stato-Regioni hanno appena chiesto (e forse ottenuto) un inasprimento del regime vaccinatorio. Come se non si sapesse che l'80% del bilancio regionale è dato dalla Sanità e di questo una buona fetta passa attraverso il business farmaceutico.
A questi gentiluomini, che si stanno tra l'altro attrezzando sulla scia del prototipo di Enrico Rossi della Toscana con leggi elettorali fatte in modo da non dover rispondere mai più di nulla a nessuno, forse è il caso di destinare pensieri che, mi rendo conto, vanno contro il mio stesso interesse ma che in coscienza non si può fare a meno di pensare, lo ammetto.
SE LE REGIONI SONO QUESTE VANNO CHIUSE. Qualcuno se ne sta accorgendo. Il guaio è che per un serio risanamento politico e sociale non esiste vaccino. altrimenti il vostro medico di base ve l'avrebbe già consigliato, se non imposto.

Per chi vuole approfondire allego un testo scritto da un medico che riporta evidenze scientifiche. http://autismovaccini.org/.../vaccini-scienza-coscienza.../

giovedì 29 ottobre 2015

DIARIO VIOLA: Missione compiuta



Se l’8 novembre e Valencia vi sembrano troppo lontani, il campionato di calcio di serie A manda in scena al Bentegodi di Verona un interessante anticipo della sfida Rossi-Marquez. In palio non c’è ancora la corona iridata della motoGp, ma piuttosto la permanenza della Fiorentina nelle zone altissime della classifica, e del Verona nella classifica stessa.
All’ultimo momento Paulo Sousa sorprende tutti i pronosticatori di mestiere lasciando in panchina il gettonatissimo Khouma Babacar e promuovendo titolare dal primo minuto Giuseppe Rossi. L’evento è storico, non succedeva – se non andiamo errati – da quel famigerato 5 gennaio 2014 allorché il livornese Rinaudo gli provocò il terzo grave infortunio al ginocchio della sua carriera, dopo quelli patiti quando era in forza al Villareal.
Il calcolo del mister portoghese non concede nulla al sentimento, ma si basa sulla semplice considerazione che quella di stasera è finalmente la partita di Pepito. Il Verona sarà costretto dalla sua classifica disperata a gettarsi in avanti all’arma bianca per fare punti contro la Fiorentina. Stasera non ci sarà spazio per gemellaggi ed altre amenità varie, ma presumibilmente ci saranno molti spazi lasciati nella metà campo veronese dall’attitudine offensiva fatalmente imposta ai suoi da Andrea Mandorlini. Vere e proprie praterie, perché gli scaligeri dovranno ovviare alle due pesantissime assenze in attacco – quella di Luca Toni e quella di Giampaolo Pazzini, ambedue costretti a vedere dalla tribuna una partita alla quale non avrebbero comprensibilmente voluto mancare per tutto l’oro del mondo – con uno sbilanciamento in avanti di tutta la squadra.
Alla Fiorentina dunque potrebbe offrirsi la stessa opportunità tattica che ha invece sofferto contro la Roma. Ecco dunque che la classe di Giuseppe Rossi, se supportata da una condizione fisica accettabile, potrebbe rivelarsi assai utile. Spazio dunque a Pepito e a Ilicic, fuori Baba e Berna con probabilità di utilizzo a partita inoltrata. Per il resto, Pasqual ritorna titolare dato il prolungarsi della convalescenza di Marcos Alonso, Kuba invece va a destra a cercare di ritrovare anche lui condizione giocando. Tra i centrocampisti Vecino è preferito a Badelj per affiancare Borja Valero, mentre tra i difensori Roncaglia viene premiato al posto di Tomovic e va a sistemarsi in linea con Gonzalo ed Astori.
Il tema tattico della partita è chiaro. Altrettanto lo è la “mission”. A Verona la Fiorentina deve riprendere parte di ciò che ha lasciato a Roma e Napoli, tanto più che l’Inter ha già vinto e le dirette concorrenti hanno a loro volta di fronte impegni non proibitivi. Tutto chiaro, tutto semplice, come il fatto che il Verona annaspa per non affogare e che tra le due squadre attualmente c’è la differenza di almeno una categoria.
Il problema è proprio questo: la Fiorentina scende al Bentegodi convinta di poter fare un sol boccone dei derelitti gemelli quando e come vuole. Il Verona comincia con il coltello tra i denti, i viola con quel ritmo compassato che abbiamo “ammirato” tante volte, soprattutto nella passata gestione tecnica: giro palla insistito e senza fretta, disimpegni e ripartenze accademici, concentrazione che stenta a focalizzarsi sulla partita reale, al punto che lo stesso Tatarusanu mette fine ad una settimana di polemiche compiendo probabilmente la stessa sciocchezza commessa dal portiere romanista Szczesny tre giorni fa. Come Orsato, Valeri vede o fa finta di vedere una linea di delimitazione dell’area più spessa di quello che è, ed il Tata salva se stesso e la propria squadra da complicazioni di cui oggi non si sentirebbe proprio il bisogno.
Picchiano un po’ i veronesi, e infatti fioccano i cartellini. Nessuno tra i viola se la sente di rischiare le gambe più di tanto, a cominciare proprio da Pepito Rossi, ed ecco quindi che gli investimenti tecnico-tattici di Paulo Sousa stentano a dare frutti, anche se le rare volte che il numero 22 ed il numero 9 Kalinic riescono a duettare fanno intravedere cose interessanti, soprattutto in prospettiva.
Intanto però il tempo scivola via, almeno il primo, ed il gol che tutti immaginano imminente in realtà non arriva. Ci vuole qualcosa di speciale, altrimenti si comincerà a parlare di crisi finalizzatoria di questa squadra che anche oggi finirà per tenere il possesso palla per il 60% del tempo effettivo di gioco.
Sulle fasce, Kuba da un lato e Pasqual dall’altro stentano ad arrivare sul fondo come ai bei tempi, e quando lo fanno il cross o il passaggio al centro sono più da debito d’ossigeno che da reale ispirazione. Tuttavia, quando viene pescato al 25’ da una grande apertura di Gonzalo Rodriguez, il vecchio capitano è all’altezza della situazione e del momento e mette in mezzo una palla d’oro per Kalinic. Il quale si avventa sopra da par suo, ma Gollini respinge.
C’è un vecchio proverbio legato al calcio che dice, “la fortuna è mezza squadra”. La fortuna, o nella sua rappresentazione grafica, la parte anatomica che va sotto il nome corrente di fondoschiena. Tocca al vecchio Rafa Marquez, difensore messicano di scuola Barcellona, metterci il proprio in ricaduta  e dare di rinterzo alla Fiorentina il vantaggio insieme alla conferma che – sviste con Napoli e  Roma a parte – in questo periodo la Dea Bendata non ce l’ha proprio con lei.
Il Verona accusa il colpo, e anche se appare raddoppiare la foga con cui intenderebbe buttarsi avanti alla ricerca del pareggio, lo fa in modo ancora più disordinato, favorendo i recuperi e le ripartenze di una squadra viola che comunque oggi non ha proprio voglia di dannarsi l’anima. Innumerevoli sono le volte in cui Ilicic, Borja Valero & C. avrebbero l’occasione di prendere d’infilata i padroni di casa imbeccando le due punte, l’americano ed il croato, ma manca sempre un centimetro di precisione o c’è sempre una frazione di secondo di troppo perché si riesca a finalizzare.
Tra la fine del primo tempo e l’inizio della ripresa, la Fiorentina cerca il raddoppio in surplace, prendendo soprattutto falli e qualche volta restituendoli. Curioso che gli unici due ammoniti tra i viola siano i suoi giocatori più tecnici, Borja per aver gettato via il pallone dopo il fischio dell’arbitro, Rossi per aver restituito alla fine uno dei tanti stronchini subiti da Matuzalem, un altro con cui il tempo non appare essere stato clemente.
E’ l’ora dei cambi, Bernardeschi rileva Kuba e si sistema subito dalla sua parte alternando il fioretto alla clava a seconda di ciò che richiedono le circostanze. Poi, quando sembra scoccata l’ora di dare respiro a Pepito, eccolo partire a sinistra – è il 22’ – e mettere in mezzo una rasoiata perfetta che attraversa tutta l’area piccola per arrivare sui piedi di Nikola Kalinic appostato come il destino sul palo più lontano.
Rossi può lasciare il posto a Badelj sotto gli applausi scroscianti di un intero stadio (commovente il pubblico veronese, che all’inglese incita per novanta minuti la sua squadra senza mai dimenticare la sportività nei confronti degli avversari). La Fiorentina può giocare gli ultimi venti minuti senza la paura di fare qualche sbadataggine e di pagarla soprattutto cara. Si fa male Astori a dieci minuti dalla fine e chiede il cambio. C’è spazio anche per Tomovic e si rimette a sedere in panchina Mario Suarez, non è ancora il momento per lui di mostrare eventuali progressi.
Il tempo passa in mezzo ad una noia quasi benedetta per i supporters viola, che vedono la loro squadra restare salda al secondo posto senza patemi. Per lo spettacolo, quello vero, ci sarà tempo e modo più avanti. Adesso c’è soltanto un sogno da tenere vivo, dopo gli incubi della settimana scorsa. E arrivare a gennaio più o meno dove siamo, per passare di nuovo la palla agli uomini – mercato.
Ci sono state edizioni più spettacolari di questo Verona – Fiorentina (gli amici scaligeri possono per parte loro confermarlo, a maggior ragione). Ma è e resta un campionato da godere fino in fondo. Gli occhi di Paulo Sousa – sarà una nostra suggestione – cominciano ad assomigliare a quelli della tigre.


lunedì 26 ottobre 2015

CONTROCORRENTE: In difesa di Valentino (che non ne ha bisogno)



All’ottavo giro del Gran Premio di Malesia di MotoGp finisce il campionato mondiale di categoria 2016, e probabilmente la carriera di uno dei più grandi piloti di tutti i tempi. Succede che Marc Marquez prova per l’ennesima volta a disturbare la traiettoria di Valentino Rossi nel bel mezzo di una serie di curve, affiancandolo fino praticamente al contatto. Non è la prima volta in questa gara, in precedenza Valentino ha già fatto segno al più giovane ed intemperante collega di darsi una calmata. Inutilmente. Per qualche istante i due viaggiano come se fossero un sidecar, poi Marquez perde l’equilibrio e cade, mentre si intravede abbastanza chiaramente la gamba sinistra di Valentino scalciare come per liberarsi di quel pericolosissimo (e per lui anche dannoso rispetto alla gara in corso) contatto.
La gara finisce con Marquez ritirato, Valentino terzo ma retrocesso all’ultima posizione in partenza della prossima ed ultima gara a Valencia, quella dove verrà assegnato finalmente questo combattutissimo titolo, Lorenzo che si lamenta del fatto che nei confronti del rivale non siano state adottate sanzioni più pesanti. Più tardi toccherà al numero 46 dichiarare mestamente la propria versione: in sostanza, farà capire Valentino, sono caduto nella trappola di Marquez. Non si cade per una semplice pedata da un bolide pesantissimo come una MotoGp, si cade perché la moto si è impigliata in un’altra. Tutto il mondo ha visto il gesto di Valentino, lui lamenta ciò di cui non parla nessuno, l’aggressione di Marquez ed il fatto che probabilmente gli ha causato la perdita di un titolo mondiale in un campionato in cui è stato sempre in testa.
Sulle dichiarazioni degli interessati, valuti chi ha esperienza di motociclismo. Tecnicamente ci sentiamo di dar ragione a Valentino. La pedata c’è, è indiscutibile, ma non basterebbe a causare la caduta di Marquez (che del resto quest’anno è stato bravo a cadere spesso e volentieri e comunque sempre in situazioni di parossismo agonistico da lui stesso innescato). La Giuria ha sanzionato la reazione, ma non il fallo iniziale. Una decisione che ognuno può valutare come crede, facendo perno sulla propria coscienza e/o sul proprio tifo. Ma che in sostanza priva gli appassionati di motociclismo di un epilogo di campionato che si preannunciava leggendario, con due campionissimi – il vecchio ed il giovane – separati da sette punti ed impegnati in un atto finale da brividi.
Come aveva lamentato Valentino Rossi, è da quando la matematica l’ha escluso dalla lotta per il titolo che Marquez si è messo a correre per il “rivale” connazionale Lorenzo, punzecchiando e attaccando il “Dottore” ogniqualvolta ne ha avuta l’opportunità. Solidarietà spagnola, avallata dagli organismi che regolano questo sport? Può darsi, visto che come fanno notare alcuni il mondo delle corse è di fatto in mano alla Spagna. Carmelo Ezpeleta, il numero 1 di Dorna la società iberica che organizza sia il motomondiale che quello superbike, è considerato in sostanza il Bernie Ecclestone del motociclismo. A pensar male, diceva Andreotti….
Senza lasciarsi andare alla dietrologia, resta il fatto che ultimamente Valentino Rossi è sceso in pista dovendo lottare non soltanto contro un Jorge Lorenzo in forma smagliante (il che sarebbe stato sufficiente) ma anche contro un Marquez il cui accanimento agonistico ha poche giustificazioni. A ciò si aggiungono i piloti italiani che per fortuna stanno dando – e si spera continueranno a dare –lezioni di correttezza a tutti facendo la loro corsa senza guardare in faccia a nessuno ma senza peraltro correre e far correre rischi inutili.
Peccato, perché rimontare 20 posizioni a Valencia quasi sicuramente si rivelerà una impresa superiore alle forze anche del leggendario campione con il numero 46. Gli appassionati e gli sportivi in genere saranno privati della avvincente pagina conclusiva del più bel libro che lo sport in queste circostanze possa scrivere: il passaggio di testimone tra il vecchio fuoriclasse (quello che ha dominato gli ultimi quindici anni) ed il nuovo (quello che presumibilmente dominerà i prossimi quindici). Come successe tra Pietrangeli e Panatta agli assoluti italiani di tennis del 1970, o tra Borg e McEnroe a Wimbledon tra il 1980 ed il 1981. A prescindere da come sarebbe andata a finire, tutti avrebbero ricordato l’ultima corsa di quel mondiale in cui Rossi e Lorenzo se le dettero di santa ragione (sportivamente) fino alla fine. E alla fine vinse il più……
Peccato. L’abbiamo già visto succedere. Chi non ricorda la ruotata di Michael Schumacher a Jacques Villeneuve a Jerez de la Frontera, atto conclusivo del mondiale di Formula 1 del 1997? O l’anno dopo Coulthard che gli si mise in mezzo quasi fermo sulla pista in cui la visibilità era zero grazie al temporale che si era abbattuto su Silverstone? O le ruotate ripetute tra la buonanima di Ayrton Senna ed Alain Prost?
Eviterei il paragone con altri sport, con Zidane che tira la testata a Materazzi e con Tomba che lancia la coppa di cristallo al paparazzo che l’aveva a lungo tormentato durante la stagione agonistica. O scorrettezze varie registrate continuamente nelle gare di ciclismo. Nelle gare motoristiche c’è qualcosa di più, che deve spingere pubblico ed addetti ai lavori ad una certa non dico comprensione ma tolleranza: il fatto che ad ogni istante oltre al risultato si rischia la pelle.
Nessuno ha ricordato che ieri si correva sulla stessa pista e praticamente nello stesso giorno in cui era morto quattro anni fa Marco Simoncelli. Toccò a Valentino il dramma di non poterlo evitare quando il Sic gli finì tra le ruote dopo la caduta. Valentino decise di continuare a correre, a mettere a rischio la propria vita, ed è una decisione sulla quale nessuno ha il diritto di sindacare. Sul modo sprezzante il cui il giovane Marquez mette a repentaglio senza motivo (se non quelli che sa lui ed eventualmente chi beneficerebbe del suo comportamento) la propria vita e quella altrui, il giudizio invece è lecito, e non può essere lusinghiero.
E’ brutto dire, sto con questo, sto con quello. E’ una brutta pagina di sport degenerato che chiude purtroppo malamente un campionato mondiale finora stupendo. Difficilmente quello che succederà a Valencia potrà raddrizzare questa degenerazione, a prescindere da chiunque vinca: il Dottore che non ha saputo controllare i propri nervi messi a dura prova da diverso tempo o Jorge Lorenzo che prima di commentare non si è fermato un attimo a pensare che chi di ruotata ferisce….. Non ci vogliamo nemmeno pensare. Per fortuna tra gli italiani personaggi avventati come Marquez non ce ne sono, il campionato finirà, speriamo, nella maniera residuamente più corretta possibile.
Una nota in chiusura, non riguarda né Rossi né Lorenzo. Riguarda gli italiani, che non si smentiscono mai. Ossequiosi (ma segretamente invidiosi) verso chi ha successo, pronti a saltare giù dal carro e a sbranarlo al minimo accenno di disgrazia o anche solo di difficoltà. Ad ogni corsa vinta o persa da Valentino ecco risaltare fuori il coro di coloro che gli rinfacciano le evasioni fiscali vecchie e nuove. Siamo un paese di evasori grandi e piccoli, da chi paga il dentista ed il muratore rigorosamente in nero a chi continua imperterrito ad esportare capitali nei paradisi fiscali del mondo. Ma le tasse le deve pagare Rossi, come Tomba a suo tempo, se no guai.
La miseria morale degli italiani non ha limiti. Vien quasi da dire che non ci meritavamo un campione come Rossi, come non ci meritavamo un Tomba. Tranquilli, per come vanno le cose dalle nostre parti, si rimedia subito: di sicuro non ne nasceranno più.

P.S. Dopo che avevo scritto l'articolo qui sopra, è uscito questo di repubblica che scagiona completamente Valentino Rossi. A questo punto è questione di essere in buona fede o meno:

http://www.repubblica.it/sport/moto-gp/2015/10/26/news/motogp_rossi_diceva_la_verita_ecco_il_video_che_scagiona_valentino-125913344/

DIARIO VIOLA: Fiorentina agli esami di riparazione



Al sesto minuto Mohamed Salah segna il gol dell’ex e leva il pensiero a tutti. A se stesso ed a tutto lo Stadio Franchi, che avrebbe inteso fischiarlo per novanta minuti. Il gol dell’egiziano, splendido e che ricorda in modo particolare quello segnato da Fabio Grosso a Dortmund nel 2006 nella semifinale mondiale vinta dall’Italia sulla Germania, chiude subito il discorso contestazione, ed anche purtroppo quello della Fiorentina capolista.
Negli 88 minuti successivi la squadra viola terrà la palla per il 72% del tempo di gioco effettivo, mostrerà di avere addirittura un tasso tecnico di squadra forse superiore a quello della Roma, sbaglierà un sacco di gol, ne prenderà un altro a confronto del quale quello subito domenica scorsa a Napoli da Higuain sbiadisce assai in quanto a “polleria”, segnerà soltanto all’ultimo minuto l’inutile gol della bandiera con un Babacar che aveva iniziato i suoi 10 minuti così come aveva concluso i 90 contro il Lech Poznan.
Il discorso Salah aveva finito inevitabilmente per deviare l’attenzione da una partita che la Fiorentina doveva giocare con la giusta concentrazione, poiché in ballo c’era la difesa di un primo posto lungamente inseguito e finalmente conquistato con una prestazione a San Siro esattamente a specchio di quella fornita ieri, con il match che si è messo subito per il verso giusto, sì, ma per gli avversari.
Sull’egiziano resta poco da dire, ormai. I fischi erano e restano ingenerosi. Il Messi delle Piramidi a Firenze non ci voleva venire, fu convinto obtorto collo dalla famigerata clausola rescissoria (senza della quale probabilmente già a gennaio avrebbe preso la via di Roma), non promise mai di rimanere, non ritenne di aggiungere nulla, nemmeno i saluti, quando si conclusero i quattro mesi durante i quali contribuì a portare la squadra viola ancora più su di quanto sarebbe arrivata senza di lui, una volta resa orfana di Juan Guillermo Cuadrado.
E’ una di  quelle tipiche storie di calcio alle quali a Firenze non ci siamo mai voluti abituare. Sempre alla ricerca di “bandiere” che dopo Bosman non esistono e non possono esistere più. Sempre disperati poi dal gol dell’ex quando le bandiere se ne vanno. Non abbiamo ancora digerito il gol di Batistuta segnato alla Fiorentina con la maglia giallorossa all’Olimpico nell’ottobre 2000, chissà quanto ci vorrà per digerire questo, francamente tra l’altro più digeribile per i tifosi che non per i difensori viola. I quali avrebbero dovuto marcare più attentamente colui che è e resta comunque un gran giocatore.
A proposito di Salah, sul suo gol, che interrompe traumaticamente un discreto avvio dei ragazzi di Sousa, le colpe sono di una difesa che come altre volte si fa sorprendere schierata in modo più adatto al gioco delle “belle statuine” che a quello del calcio. Poi, Salah calcia da par suo, ma il marcatore lo ha da tempo abbandonato preferendo spostarsi su un Pjanic che si è già liberato della palla ed è pertanto fuori dal gioco. E non sarà nemmeno la sciocchezza più grande della serata viola.
Per mezz’ora infatti la Fiorentina cerca di raddrizzare una partita che si è messa esattamente nel verso in cui voleva la Roma. Quest’anno i giallorossi appaiono assai meno tecnici delle passate stagioni (un Totti, un Llajic ma anche un De Rossi dei tempi d’oro non si inventano tutti gli anni), ma sono se possibile ancora più “tosti”. In dieci dietro la linea del pallone tendono a diventare difficilmente superabili per una Fiorentina che col tempo si è sistematicamente privata dei suoi migliori dribblatori, da Jovetic a Joaquin.
In certe fasi il gioco dei ragazzi di Sousa ricorda quello dei ragazzi di Montella, che poi per gran parte sono gli stessi. Con l’unica differenza che davanti adesso c’è un Kalinic spesso in grado da solo di trasformare in oro tante pallonate disperanti che riceve in avanti quando il reflusso di tiki taka non trova sbocchi. Peccato che il croato stasera non sia in serata, anzi. In un paio di occasioni potrebbe arrivare solo davanti al portiere e fulminarlo, riportando in corsa la propria squadra. Nella prima, ad un controllo volante degno del miglior Maradona segue un pallonetto che più che gridar vendetta fa bestemmiare. Ciabattata ancora più indegna sulla seconda occasione nella ripresa.
L’altro che ha una serata come nemmeno ai vecchi tempi è Josip Ilicic, che appare impegnarsi tanto, tocca tanti palloni e al momento buono li sbaglia quasi tutti. Succede. Quello che non dovrebbe succedere è di andare a battere un calcio d’angolo in dieci, non lasciando nessuno indietro a parare l’eventuale contropiede della Roma. E’ il 33’ quando Roncaglia asseconda un istinto suicida salendo insieme agli altri per il corner, cosicché quando sul rinvio romanista Florenzi pesca Gervinho solo solissimo e questi si fa settanta metri di campo per andare ad uccellare Tatarusanu appare chiaro fin dalla prima falcata dell’ivoriano che per la Fiorentina sta per farsi notte fonda.
Non è il miglior Sousa quello di stasera, altrimenti dovrebbe passare l’intervallo a urlare nelle orecchie dell’incauto Roncaglia e di altri suoi compagni. La ripresa comincia invece dove era finito il primo tempo, la Fiorentina macina tanto gioco ma manca spesso di cattiveria agonistica e di idee chiare nei suoi portatori di palla. E quando la palla filtra capitando sul piede del finalizzatore, essa finisce regolarmente alle stelle sopra la Curva.
Hanno un bel da fare Borja Valero insieme ad un omnipresente Bernardeschi per tenere viva la manovra e la speranza di questa schizo-Fiorentina, che domina la Roma sul piano del gioco e però non la impensierisce quasi mai, maltrattando indegnamente le poche occasioni da rete. Che comunque sarebbero sufficienti a tenerla in alto, come era già successo la domenica prima a Napoli.
Alla fine il mister opta per un cambio atteso da tutto lo stadio, quello di Giuseppe Rossi per Badelj. Il croato non avrebbe particolari demeriti, ma è arrivato il momento di giocare il tutto per tutto. L’occasione più clamorosa del secondo tempo tutto sommato ce l’aveva avuta fino a quel momento la Roma, vicinissima ad andare sul 3-0 con un altro contropiede di Gervinho e salvataggio sulla linea da Bernardeschi. Altro cambio, Mati Fernandez per un Kuba abbastanza sottotono. Perfino l’evanescente cileno di questo periodo riesce in effetti a combinare qualcosa in più del polacco.
Quanto a Pepito, la classe non è acqua e non lo diventa nemmeno col tempo e con gli acciacchi.  Il fuoriclasse del New Jersey quasi pareggia la partita da solo, segnando un gol annullato per fuorigioco di Kalinic e dando a Bernardeschi la palla d’oro di un 2-2 non facilissimo ma possibile.
Nel finale, Babacar entrato al posto di Gonzalo prima scaraventa malamente fuori e poi mette dentro alla grande. Ma è il 94 e non c’è più niente da fare per salvare serata e primo posto. Restano i fischi inutili del Franchi ad un Salah che si fa espellere per un plateale “vaffa” all’arbitro Orsato (i tifosi fiorentini ce l’avevano mandato nel primo tempo per non aver sanzionato un mani fuori area del portiere romanista Szczesny). Salah macchia così il cartellino di una serata per tutti gli altri versi per lui perfetta.
Resta soprattutto un secondo posto in coabitazione che fa dire un po’ a tutti che i danni sono limitati al minimo. L’annata è e resterà di quelle strane, nessuno pare in grado di andare in fuga. C’è tempo di rimediare agli errori. La sensazione è che questa Fiorentina valga di più come complesso di una Roma che ha individualità forse migliori ma che esprime un gioco di squadra meno brillante che nel passato. Come il Napoli, se la Roma semmai ha qualcosa di più della Fiorentina è nel reparto offensivo. Ma i due match-verità, i due esami di maturità potevano essere superati con un minimo di attenzione da parte dei viola.
E’ proprio sull’attenzione che deve lavorare mister Sousa in questo momento. Parafrasando ciò che dice Sylvester Stallone nel celebre film “Fuga per la vittoria”, qualcuno spieghi a Roncaglia dove si deve mettere per il calcio d’angolo. Poi, in ultima analisi, a questo gioco è fondamentale buttarla dentro. Una in più dell’avversario. Una delle tante capitate ieri sera. Sarebbe bastata a fare ben altri discorsi.

venerdì 23 ottobre 2015

Auguri Edson, forza Johan



Compie oggi 75 anni, e tra tutti i traguardi che ha tagliato nella sua lunga e gloriosa vita questo sembrava diventato il più difficile, date le sue condizioni di salute. Invece eccolo qua, sorridente come in quei giorni in cui entrò nell’Almanacco del calcio e nel cuore degli appassionati di tutto il mondo alzando per tre volte la Coppa Rimet con indosso la maglia verdeoro carioca.
Il suo nome é Edson Arantes do Nascimento. La sua leggenda si chiama Pelé. Cominciò al Mondiale di Svezia del 1958. Tutti aspettavano la vittoria dello squadrone scandinavo di Liedholm, Nordhal, Gren, i fortissimi padroni di casa. Invece arrivò lui, il gioiello più prezioso  di un Brasile che di gioielli era pieno. Gilmar, D. Santos, N. Santos, Zito, Bellini, Orlando, Garrincha, Didì, Vavà, Pelé, Zagalo, era una formazione che i ragazzi dell’epoca avrebbero imparato a memoria, come si conviene a quelle destinate ad incantare la fantasia ed a passare alla storia.
Ogni epoca ha avuto il suo “giocatore più forte di tutti i tempi”, ed è giusto che sia così, fino alla fine del tempo e del calcio. Ma la perla nera, come l’avrebbero soprannominato i suoi tifosi estasiati, aveva qualcosa in più. La sua eleganza, le sue movenze quasi da ballerino classico anche nei gesti atletici più semplici ne avrebbero fatto uno spettacolo vivente.
Per tutti, sarebbe rimasto semplicemente O Rey, il Re del Calcio, anche dopo la fine della sua lunga carriera. Tre titoli mondiali, 1958, 1962 (da infortunato), 1970, 18 anni (dal 1956 al 1974) e 1091 gol segnati con la maglia del Santos, la sua prima ed unica squadra da professionista che dopo il suo addio vide bene di ritirare per sempre la sua maglia, la numero 10. Altri 190 gol segnati tra nazionale carioca e Cosmos di New York dove spese gli ultimi tre anni di attività agonistica prima di appendere le scarpe al chiodo.
Numeri che quasi sminuiscono, a snocciolarli, la leggenda della Perla Nera. Di sicuro non lo sminuisce il confronto con un'altra leggenda, quella dell’argentino Diego Armando Maradona, l’unico che nell’intera storia del calcio abbia potuto credibilmente insidiare la corona di O Rey. Gli argentini del resto non hanno dubbi, e con loro molti aficionados in tutto il mondo appartenenti alle generazioni più giovani: il Dio del Calcio è Dieguito.
I due personalmente erano e sono agli antipodi. Classe sopraffina in ogni suo gesto il brasiliano, genio e sregolatezza l’argentino. Del primo si ricorda come episodio emblematico il gol numero mille, per cui a San Paolo suonarono a distesa le campane. Del secondo si ricorda la mano de Dios, il gol segnato all’Inghilterra proditoriamente con una mano, ma subito perdonato perché raddoppiato da uno dei gol più belli di tutti i tempi, al termine di uno slalom fra l’intera squadra inglese.
Sono confronti che hanno poco senso. Nel pantheon del Calcio c’è posto per numerosi Dei. E proprio oggi che si festeggia la Perla Nera è giusto che il pensiero vada semmai a colui che negli stessi anni venne soprannominato il Pelé Bianco. Hendrik Johannes Cruijff, detto Johan, è stato la risposta della razza caucasica a tanto ben di dio calcistico. Leader della più grande Olanda di tutti i tempi e poi di un Barcellona che cominciò negli anni settanta a fare incetta di stelle del calcio mondiale, fu soprannominato il Profeta del Gol perché il suo impatto sul calcio dei suoi tempi fu se possibile ancora più devastante di quello di Pelé e Maradona.
Cruyff, come si scrive nel resto del mondo che mai verrà a patti con la lingua olandese, ha insegnato al mondo stesso un modo nuovo di giocare. Dopo il calcio totale predicato dai Lancieri dell’Ajax e dagli Orange ai Mondiali del 1974 (che non vinsero per un soffio), il gioco non è più stato lo stesso. Non poteva esserlo.
Adesso, il Profeta dal cuore per sempre diviso tra i paesi Bassi e la Catalogna, deve lottare con un avversario ben più insidioso di quella Germania che all’Olympiastadion di Monaco di Baviera gli sfilò dalle mani quel titolo mondiale che sembrava suo di diritto. Johann ha un tumore ai polmoni la cui gravità per il momento non è accertata o dichiarata, ma che sembra altrettanto compromettente di quella dei malanni che stavano per impedire a O Rey di spegnere le settantacinque candeline odierne.
Fare gli auguri a questi giganti del passato, a questi uomini che adesso combattono nuove battaglie contro il tempo inclemente, è fare gli auguri a noi stessi, diventati grandi con negli occhi le immagini del gioco più bello del mondo. Un gioco che loro hanno reso leggendario.

ROAD TO BASEL: La schizo-Fiorentina si complica la vita

La Fiorentina quest’anno con l’Europa League ci ha “leticato da piccina”, come si dice da queste parti. Non è detto che sia un male, a volte a portarsi dietro gli equivoci fin da grandi si rischia di fare peggio. Che vuoi mettere volare fuori subito dalla Coppa senza durare fatica e coltivare illusioni come l’anno scorso, che si tirò per le lunghe fino alle semifinali?
Scherzi a parte, la schizo-Fiorentina cade in casa per la seconda volta consecutiva nel torneo che ha sostituito la Coppa UEFA e che per due volte l’aveva vista protagonista nel passato recente, fermata agli ultimi atti una volta dai calci di rigore ed un’altra dalla mancanza di un uomo gol di sicuro affidamento. La terza volta consecutiva, contando appunto quella sciagurata semifinale di ritorno con il Siviglia della scorsa stagione, che costò ai viola non solo l’accesso alla finale ma anche gli ultimi scampoli di un rapporto con Vincenzo Montella che si stava sfilacciando da tempo.
E’ una caduta che – comunque la si giri – fa male, e contrasta vistosamente con il prestigioso campionato che negli stessi giorni i ragazzi di Paulo Sousa stanno giocando. Un andamento appunto schizofrenico che assomiglia molto (alla rovescia) a quello della stagione 1989-90, Fiorentina in zona retrocessione in serie A ed in finale di Coppa UEFA dopo una cavalcata trionfale. Allora il merito fu di Roberto Baggio, che da solo valeva due terzi di squadra. Adesso il divario ha delle giustificazioni tecniche diverse, anche se altrettanto semplici.
In campionato Paulo Sousa può giocare con quelli che ormai ha giustamente individuato come titolari. La Fiorentina A, chiamiamola così, ha una rosa effettiva di circa 14 giocatori. La Fiorentina B, quella mandata in campo ieri per non affaticare i “titolari” in vista del turno di campionato fondamentale che ci vedrà opposti alla Roma, dispiace dirlo ma non è a livelli di affidabilità minimamente paragonabili a quelli della versione domenicale.
Si tratta, ma questo onestamente lo sapevamo noi e lo sapeva l’allenatore dei viola, di giocatori che singolarmente possono anche fare la loro parte se inseriti uno per volta nel corpus della squadra principale. Guai però a metterli tutti insieme. Babacar una partita ogni tanto te la risolve, soprattutto sui campi di provincia dove c’è da fare a sportellate. Verdu il suo gol te lo segna qua e là, soprattutto se mandato in campo a partita già risolta come contro l’Atalanta. Giuseppe Rossi, il Giuseppe Rossi di adesso, qualcosa comunque ti inventa se la squadra avversaria alla fine si rilassa e lo lascia giocare senza minacciare randellate. Suarez, beh, Suarez qualche palla in difesa te la recupera, basta che non ci sia da reinventare subito una azione di ripartenza perché attualmente ha i tempi di un bus navetta Piazza Dalmazia – Careggi. Mati Fernandez è sempre un piacere a vedersi, soprattutto per gli amanti del gioco “a porticine” o a “chi buca entra”, basta non gli si chieda di essere determinante perché l’ultima volta è successo – a occhio e croce – due anni fa.
La panchina comunque è corta, e non fa buon brodo come la gallina vecchia. In Europa tra l’altro c’è chi corre più di noi, e il livello tecnico ormai è mediamente sufficiente per farti fare figuracce, se ti presenti con poche idee ma confuse, poca determinazione, ancor meno fiato e quel pizzico di presunzione che finisce di guastare. L’espulsione di Rebic da questo punto di vista è forse la cosa più grave di tutta la serata. Ci sarebbe voluto qualche allenatore vecchia maniera alla Carletto Mazzone per spiegare adesso al ragazzo che in campo si sta in un altro modo, a prescindere dalla prestazione.
Detto tutto ciò, a ben guardare la Fiorentina a scartamento ridotto di stasera avrebbe avuto le sue occasioni per rendersi la vita meno complicata fin da subito. Sarebbe bastato che Babacar non fosse precipitato di nuovo in quel “male oscuro” che sembra attanagliarlo periodicamente fin dagli esordi. Da quando Cesare Prandelli lo definì un giocatore tecnicamente senza limiti, salvo poi spedirlo regolarmente in panchina o altrove, “a farsi le ossa” come si dice in questi casi.
Niente da fare, il Baba le ossa se le sarà anche fatte ma adesso è appunto in uno di quei momenti in cui non vede la porta nemmeno se gli montano quella del rugby. In più si estranea dalla manovra dei compagni come pochi altri. I tempi del gol all’Inter e anche di quelli a Chievo e Carpi sembrano di nuovo lontani. Poi magari la prossima volta si sblocca e ne fa tre, ma stasera Khouma appare mal disponente verso la prova sua e purtroppo di tutta la Fiorentina.
A ben guardare inoltre, la Fiorentina che esce con le ossa rotte da questo confronto casalingo con il Lech Poznan, squadra di onesti pedatori polacchi (molto più impressionanti i suoi tifosi, bisogna dirlo), non avrebbe comunque perso ancora tutte le speranze di passare il turno. Il girone è talmente mediocre che il derelitto Belenenses da noi regolato a domicilio (quella sera non c’era verso di perdere neanche a farsi autogol cinque volte) va poi a sbancare Basilea.
Il fatto è che questa Fiorentina, sia detto senza polemica alcuna, non appare francamente attrezzata per tenere botta su due o tre fronti, campionato e coppe. Delle due l’una: se deve rimanere questa passando indenne anche attraverso il mercato di gennaio, allora è meglio salutare l’Europa fin da subito. E sfruttare adesso e soprattutto più avanti l’indubbio vantaggio di riposarsi il giovedi, mentre le concorrenti si scornano a rincorrere squadre straniere che corrono a velocità doppia di quella a noi consentita dal nostro campionato e dai nostri metodi di allenamento. La Roma che arriverà domenica al Franchi ieri sera a Leverkusen si è sicuramente stancata più della Fiorentina, anche per la corrazzata giallorossa armata di kebab il doppio fronte potrebbe dimostrarsi letale.
Oppure, se a gennaio arriva qualcuno un po’ più tosto di certi acquisti delle ultime sessioni di mercato, qualcuno che possa dare una mano e magari un po’ di sollievo a chi come Kalinic o Borja Valero tra un po’ dovrà pur tirare fiato, allora se ne può ragionare, e la situazione del girone ancora lo consente.
Per il momento ci teniamo strette le parole come sempre veritiere ed equilibrate di Mister Sousa: “sono deluso e triste, ma abbiamo tutto per passare”. Meditate, fratelli Della Valle, meditate.

martedì 20 ottobre 2015

VIOLA NELLA TESTA E NEL CUORE: LA NOSTRA GRANDE BELLEZZA



20 ottobre, ricorre San Pepito. Due anni fa il ragazzo venuto dal New Jersey a rinverdire la leggenda di Pablito Rossi (l’accostamento fu fatto dal mitico Enzo Bearzot) giocò l’ultima delle sue partite all’altezza di quella leggenda suonando la carica della rimonta e segnando tre dei quattro gol di un 4-2 che rimarrà nella storia della Fiorentina. La Juventus di Antonio Conte era uno squadrone all’epoca, ma non si aspettava i lampi con cui Pepito la folgorò, con San Joaquin de Andalusìa a completare l’opera.
La giornata – è inevitabile – trascorrerà per tifosi e addetti ai lavori nelle funzioni religiose previste ormai per i secoli a venire dal calendario di Frate Fiorentino. Con la speranza che non diventi una data isolata in quel calendario, qualcosa di cui si favoleggerà a lungo disperando di vederlo ripetersi sotto i nostri occhi di abitanti di questa Terra a tempo determinato. Come quel 4-1 alla Roma di qualche anno fa (era la Prima Era, c’era ancora Prandelli) che domenica prossima ci farebbe tanto comodo replicare, nella sostanza se non nelle proporzioni.
Per una volta vogliamo essere più dellavalliani di Della Valle. Vivere di ricordi è da provinciali. La testa deve stare al futuro, soprattutto a quello prossimo. La Fiorentina quest’anno sembra una squadra che ha la possibilità di levare a sé ed ai propri tifosi diverse soddisfazioni. Lo ha dimostrato perfino nella sconfitta, maturata più per disattenzioni e supponenze di alcuni suoi elementi che per reale superiorità dell’avversario.
Il Napoli, si leggeva e si legge tutt’ora, la Fiorentina se la mangia a pranzo e a cena. Sarri è il nuovo Mourinho, Higuain è più forte di Batistuta. E via dicendo. Va bene così, finché gli opinionisti parlano contro, la concentrazione resta alta. Due volte l’Italia è stata data per spacciata e sbeffeggiata, nel 1982 e nel 2006, e due volte ha vinto il titolo mondiale restituendo con gli interessi frizzi e lazzi ricevuti.
Domenica arriva un altro schiacciasassi, almeno a sentire chi di calcio se ne intende. Con la Roma non c’è partita. Al San Paolo siamo stati presi a bottigliate di orina, al Franchi ci pioveranno in testa quintali di kebab. Nella vita ci sono ben poche certezze, ma due le possiamo avere fin d’ora: la Fiorentina di Paulo Sousa terrà sicuramente il campo meglio di quanto i pronostici le concedano attualmente, poi si può vincere o perdere – come si è visto decidono più gli episodi di tutti i tatticismi con cui questo sport è stato ammorbato fin dalla sua nascita – ma Borja Valero & C. se la giocheranno fino alla fine, all’altezza dell’avversario. Come ha detto lo spagnolo, è bello stare in testa, dà sensazioni positive ed i ragazzi in viola stanno scoprendo che vale la pena lottare per restarci.
La seconda certezza è che i tifosi romani non si comporteranno meglio di quelli napoletani. Sono debiti kharmici che dobbiamo scontare in questa vita, noi come il resto d’Italia. La cosa migliore è ignorare le provocazioni, per quanto possibile (se ti tirano in testa cose che dovrebbero stare in un laboratorio di analisi non sempre è facile) e andare avanti per la nostra strada. I conti si fanno alla fine. Non quelli tra tifoserie, per l’amor di Dio, ma quelli tra le squadre. Nel 1969 per esempio la Fiorentina non era accreditata di reggere il passo del Milan di Rivera e del Cagliari di Riva. Andò a finire come tutti sanno.
Paulo Sousa ha dimostrato nell’intervista post partita di Napoli di avere la testa giusta. “Sconfitta salutare”, ha detto. Così parla un allenatore che guarda lontano. E c’è da credere che il mister portoghese stia guardando molto lontano, almeno fino alla primavera prossima. Se dipende da lui, e se la società lo sostiene adeguatamente, quest’anno probabilmente ci sarà da divertirsi.
Non è proprio il caso di sciuparsi un probabile bel campionato amareggiandosi in polemiche con altre tifoserie appartenenti a città che hanno smesso da tempo di essere le culle di civiltà che pretendono tutt’ora di essere. La squadra farà il suo dovere sul campo di calcio, noi facciamo il nostro fuori, ignorando critiche interessate e cialtroneschi sfottò.
Roma e Napoli hanno smesso da tempo di essere quelle dei tempi di Stendhal. Sotto il Vesuvio non abitano più Eduardo De Filippo, Massimo Troisi, Pino Daniele. C’è una umanità che si esprime – quando va bene, ma parecchio bene – a “vasate” di materiale organico. Lungotevere le cose non è che vadano recentemente granché meglio, e non certo per colpa esclusiva del sindaco dimissionario Marino.
Ecco, purtroppo anche Firenze ultimamente si sta organizzando per primeggiare contro le due suddette metropoli anche nello speciale campionato di sudicio, confusione, cialtroneria. Apprezziamo gli sforzi dell’amministrazione comunale in carica e di quelle precedenti. Ma francamente preferiremmo essere primi a fine corsa soltanto in quella graduatoria che si chiama Serie A.
Il resto lasciamolo a chi vive nel “folklore”, chiamiamolo così. E ricordiamoci dei nostri vecchi, che quando arrivavano romanisti e napoletani si facevano il segno della croce preparandosi ad una domenica di passione (civile, perché sul piano calcistico a quell’epoca la Fiorentina dava lezioni a tutti), ma nulla più.
Forza viola. Segniamo sul calendario qualche altra data da ricordare.

DIARIO VIOLA: Superati ma non sconfitti

Si può perdere una partita senza uscire dal campo sconfitti? Si può. Nella giornata finora più avara di soddisfazioni la Fiorentina conferma il suo buon diritto a stare dove sta. Scriviamo queste note prima ancora di sapere quale sarà l’esito finale di Inter – Juventus. Ma per il momento la Fiorentina è ancora capolista e ha dimostrato di meritarselo. Il verdetto principale di questa ottava giornata è questo.
Alla fine, durante i cinque minuti di recupero giustamente accordati dall’arbitro Luca Banti (perfetto il suo arbitraggio in un contesto per niente facile, chapeau) il San Paolo fischia soprattutto la propria paura. Se questa squadra viola avesse avuto un po’ più di attenzione oggi sarebbe uscita dalla bolgia partenopea con almeno un punto. Altro che il sol boccone che secondo più o meno tutta la stampa sportiva avrebbe dovuto fare questo Napoli di questa Fiorentina.
Sono stati quindici giorni lunghi, e non ce n’è stato uno in cui qualche esperto di calcio non abbia ribadito che il Napoli è superiore alla Fiorentina, destinata a fare la fine delle meteore. Per fortuna le parole non vanno in campo. Il coraggio invece sì. Paulo Sousa ne ha da vendere, e lo sta trasmettendo ai suoi ragazzi, che per un tempo intero scendono al San Paolo a costringere in difesa i supergettonati padroni di casa. Poi succede quel che succede, ma sarebbe l’errore più grave possibile da parte dei tifosi viola non battere le mani stasera ai propri beniamini.
Tatarusanu; Tomovic, Gonzalo, Astori; Blaszczykowski, Vecino, Badelj, Alonso; Borja Valero, Bernardeschi; Kalinic prendono le undici maglie da titolari. Un’altra formazione azzeccata da Sousa, a quanto si vede fin da subito. Contrariamente ai molti e affrettati pronostici, nel primo tempo in campo c’è un gruppo di talenti a cui un mister venuto dalla provincia cerca di dare spessore di squadra, il Napoli. E c’è dall’altra parte una squadra già assemblata ad alto livello, tecnicamente e psicologicamente: la Fiorentina. I ragazzi viola non tirano mai indietro la gamba. L’occasione più clamorosa per passare in vantaggio ce l’hanno proprio loro con Kuba, che riceve i frutti di una prodezza di Kalinic e tira a botta sicura, per vedersi respingere il tiro da Reina.
Per vedere il Napoli farsi pericoloso bisogna aspettare il secondo minuto di recupero, quando Astori trattiene Allan e si becca un giallo pesante da quasi ultimo uomo (bravo Banti a non cedere a suggestioni peggiori). Sugli sviluppi della punizione Higuain incorna sbilanciato e la palla va fuori. Il tempo si chiude con un sostanziale equilibrio che fa però preferire ai punti gli ospiti, tra i quali si segnalano un Borja Valero a livelli forse ancora mai raggiunti in viola ed un Marcos Alonso che promette di diventare uno dei migliori esterni di fascia del mondo. Kalinic da parte sua risveglia nel pubblico di casa fantasmi recenti, quei gol segnati per il Dnipro che costarono alla banda di Benitez la finale di Europa League sono ancora troppo recenti perché le giocate del croato non mettano brividi a tutta Napoli.
Purtroppo, il calcio è fatto di episodi ed il Napoli davanti ha gente che gli episodi sa crearseli. Il respiro di sollievo tirato all’ultimo minuto di gioco del primo tempo si strozza in gola ai tifosi viola al primo della ripresa. La Fiorentina non si è ancora riassestata in campo che Hamsick taglia le sue linee con una rasoiata che becca nella sua posizione preferita Lorenzo Insigne. Il quale ha un piede che non si discute. Quello che si può discutere semmai è il suo comportamento professionale, che non ne fa certo uno spot per il fair play. Il moribondo in azzurro nazionale di una settimana fa come novello Lazzaro si presenta all’appuntamento con l’azzurro partenopeo perfettamente ristabilito (complimenti al medico sociale, soprattutto per il certificato medico). Le ginocchia dello scugnizzo non hanno evidentemente nulla che non va, il suo piede – come altre volte contro la Fiorentina – fa il resto.
La quale Fiorentina accusa il colpo, il Napoli comincia a trovare le predilette praterie per lanciare i suoi micidiali contropiedi. I viola continuano a battersi coraggiosamente e con disciplina tattica, ma l’inerzia del match (qualcuno direbbe anche del campionato) adesso è passata dalla parte di Napoli. Gli azzurri potrebbero fare il bis ancora grazie a Insigne, ma Albiol manda fuori un facile raddoppio. Sousa corre a quelli che gli sembrano in quel momento opportuni ripari togliendo un Bernardeschi che non ha fatto né cose infami né meritevoli di lode a vantaggio di un Ilicic che invece nel prosieguo riuscirà a fare le une e le altre.
Nell’immediato si distingue subito per un assist a Kalinic che meriterebbe miglior sorte, ma il tiro del croato viene anticipato in corner da Reina in uscita. Sarri toglie Insigne più per giustificarne l’assenteismo in Nazionale che per una reale necessità. Entra Maertens, altra vecchia conoscenza viola. Tra i quali invece purtroppo è uscito lo zoppicante Alonso, ed è una jattura perché da quel momento sulla fascia non spinge più nessuno. Roncaglia si posiziona in mezzo a dare mano ad un Gonzalo che canta e porta la croce come tante altre volte. Tomovic cerca di farsi perdonare il buco in cui si è infilato Insigne sull’1-0, ma il suo piede non è quello di Domenghini.
Le speranze viola sono affidate alle residue energie di Borja, Badelj e Vecino, ed al contropiede che riescono ad organizzare quando non finiscono sommersi dalla marea azzurra. La Fiorentina che vede i minuti passare e la forza scemare ha bisogno di un miracolo, oppure della giocata di un campione. Ce n’è uno tra le sue file che da queste parti conoscono bene. Se lo risognano la notte. E’ il 27’ quando Josip Ilicic fa una delle sue giocate d’istinto e lancia in corsa Kalinic. Il tiro con cui anticipa Reina in uscita disperata e gonfia la rete nel suo angolino sinistro è splendido e per niente facile.
Sciolti gli abbracci, i ragazzi viola si ritrovano con quindici minuti da gestire più recupero, insieme alla sensazione che quest’anno il vento soffi alle loro spalle a prescindere. Napoli si getta avanti con rabbia, basterebbe gestire le sue folate ed i suoi fischi con la lucidità del primo tempo. Peccato che Ilicic stasera della partita che si sta giocando non ci abbia capito nulla. Lo sloveno si mette a scherzare nientemeno che Higuain, come Pizarro fece una volta con Montolivo. El pipita non chiede altro, e tre minuti dopo il pareggio viola si invola a segnare il nuovo vantaggio partenopeo con un tiro in fotocopia – ma più facile – di quello di Kalinic.
A nulla vale il recupero alla disperata di Ilicic, che capisce di aver compromesso la grande prestazione dei suoi compagni con una altrettanto grande sciocchezza, ma che non ha il passo né i movimenti per rientrare sul campione argentino in tempo. Né vale l’ingresso di Babacar, che avrebbe voglia di lottare come i suoi stremati compagni, ma che non trova mai la giocata giusta. Finisce con la Fiorentina ammirevolmente in attacco, ma con il Napoli che non corre più rischi e che potrebbe anzi sfruttare ancora il contropiede.
Seconda sconfitta in campionato per la squadra viola, ma questa decisamente più onorevole della prima a Torino. I ragazzi di Sousa devono indubbiamente imparare a gestire meglio quei doni che la sorte e le loro qualità tecniche e caratteriali offrono loro. Ma comunque vanno applauditi e incoraggiati, in vista del prossimo impegno di campionato che proporrà un altro match-verità contro la Roma. Una occasione per riprendere subito il discorso interrotto.
Sembra strano dirlo, ma la Fiorentina che esce dal terreno di gioco del San Paolo può gridare non solo a questa Napoli dove prosopopea fa rima con partenopea ma a tutto il mondo sportivo intero che non la accreditava altro che di essere una bistecca pronta da divorare: «ci siamo anche noi».

giovedì 15 ottobre 2015

La fine del diritto



Il faccione di Maria Elena Boschi, con quell’espressione un po’ da Vispa Teresa, campeggia da ieri sulle prime pagine di tutti i quotidiani. La signora ministro delle riforme coistituzionali è entrata nella storia d’Italia, lasciamo fare per quale porta o finestra, ma c’è entrata. Il Senato, quell’aula sorda e grigia al cui Presidente qualcuna aveva ricordato tempestivamente quando e come era stato eletto a quella carica, ha fatto il suo dovere. La riforma costituzionale Renzi-Boschi-Verdini-Finocchiaro è passata a Palazzo Madama. La Repubblica nata dalla Resistenza e prodotto dell’ingegno dell’Assemblea Costituente del 1946 non esiste più. Dimenticate i nomi di Terracini, Parri, De Gasperi, Togliatti, De Nicola. Da oggi i nomi da mandare a memoria da parte di quei pochi scolari che continuano a togliere il cellophane ai libri di scuola sono quelli elencati più sopra.
Addio al bicameralismo perfetto del 1948, che forse aveva fatto il suo tempo favorendo ormai soprattutto ostruzionismi parlamentari e manovre di sottogoverno. Ma addio anche al sogno di riformare quella che a giudizio pressoché universale è stata una delle migliori carte costituzionali della storia mondiale attraverso un procedimento che almeno nella forma se non nella sostanza rendesse omaggio a quella stessa carta e a chi – in quell’anno e mezzo di lavoro ispirato e di prodigiosa solidarietà tra le pur eterogenee forze politiche rinate durante la sanguinosa lotta al fascismo – l’aveva redatta facendone dono alla neonata Repubblica.
La generazione dei D’Alema aveva illuso con il sogno della Bicamerale, una Fiera delle Vanità che almeno aveva fatto discutere dentro e fuori di essa, coinvolgendo anche quel popolo in nome di cui diceva di operare. Poi era venuto l’oltraggio della Riforma Bassanini - D’Alema del Titolo Quinto, con un potere esteso ad una rappresentanza popolare – quella che si sostanzia nei Consigli regionali – tra le più modeste mai espresse da quando esiste la democrazia assembleare. In queste maggioranze è stata allevata la generazione dei Renzi e delle Boschi, che alla fine aveva in testa una cosa sola, e l’ha ottenuta: perpetuare all’infinito il proprio potere.
Il testo della Renzi - Boschi – viene da sorridere, ce ne rendiamo conto, ma da oggi sarà conosciuta così – prevede una Camera Alta sul modello malamente imitato di quella americana: 74 consiglieri regionali, 21 sindaci, 5 senatori nominati dal capo dello Stato per 7 lunghi anni. Competenze ridotte, a cominciare dalla perdita dell’espressione della fiducia al governo, per un totale di 100 senatori contro i 315 attuali. Peccato che non sarà il singolo elettore a spedire alla lontana capitale il “proprio senatore”, come succede oltre oceano. Saranno i consigli regionali a decidere chi mandare alla nostrana Capitol Hill, e il popolo non avrà altra occasione di metterci bocca se non nel referendum confermativo o meno che andrà in scena – per l’ultima volta, crediamo – nell’autunno del 2016. Sarà presumibilmente il canto del cigno della vecchia costituzione.
E’ il secondo tassello di una architettura costituzionale che il partito democratico sta consapevolmente allestendo da tempo. Il modello è la legge elettorale della Toscana, che ha permesso al governatore uscente Enrico Rossi di riconfermarsi con meno del 25% dei voti degli aventi diritto, in virtù di un premio di maggioranza spropositato, che nemmeno Acerbo e Scelba avrebbero mai sognato di conferire. Il modello è apparso peraltro esportabile sia in Italia che all’estero. L’Italicum, se e quando il presidente del consiglio concederà graziosamente al popolo di tornare a votare, farà di lui un Rossi nazionale, con le stesse percentuali di votanti e di premialità. Nel frattempo non è un caso se della vittoria di Pirro di Alexis Tsipras in Grecia i primi e più convinti a congratularsi siano statti proprio Rossi e  Renzi. Il giocattolo, almeno per loro, funziona.
Queste innovazioni che segneranno la nostra vita politica e civile (e che allestiranno a parere di chi scrive un vero e  proprio regime, senza bisogno almeno in apparenza di nessun connotato di esplicita violenza come in occasioni precedenti) vengono approvate da un parlamento che la Corte Costituzionale ha da tempo dichiarato illegittimo, perché eletto in virtù di una legge – il Porcellum – incompatibile con la Costituzione ancora in vigore per pochi mesi in questo paese. Ma pazienza, Anna Finocchiaro può irridere una volta di più il popolo che almeno formalmente rappresenta invitandolo a “prendersi le sue responsabilità”, mentre va ad abbracciare la ministra Boschi esplicitando un connubio tra i più improbabili e letali della storia d’Italia.
Poi arriva non meno importante l’imprimatur di Giorgio Napolitano, presidente emerito e senatore a vita. Uno che sa bene che direzione ha preso la storia del nostro paese, perché era presente all’imbocco di questo binario e ne ha azionato lo scambio decisivo. Non è un caso che all’annunciarsi del suo discorso escano dall’aula non solo i Cinque Stelle ma anche la pattuglia residua di Forza Italia, guidata dal loro disgustato e stanco ma ancora non domo condottiero, Silvio Berlusconi. Il botta e risposta tra l’ex presidente della repubblica e l’ex presidente del consiglio dice tutto, ed anche qualcosa di più.
“Entriamo nel campo della psicologia – attacca Napolitano -. E io non voglio fare commenti politici, figuriamoci quelli psicologici. Ho letto attribuite a Berlusconi parole ignobili, che dovrebbero indurmi a querelarlo, se non volessi evitare di affidare alla magistratura giudizi storico-politici; se non mi trattenesse dal farlo un sentimento di pietà verso una persona vittima ormai delle proprie patologiche ossessioni”.
Non si fa attendere la risposta di Berlusconi. Dopo aver invitato tutti a leggere il capitolo del libro di Friedman sul “golpe del 2011” ed aver citato l’inchiesta di Trani sulle agenzie di rating che a suo dire confermerebbero la regia dell’ex presidente e appunto lo stesso golpe, affonda: “Io sono stato condannato a tre anni per molto meno. A chi si è macchiato di golpe vogliamo dare meno di quattro anni? Si, è il minimo protestare quando prende la parola Napolitano”.
Questa è la colonna sonora ufficiale della riforma della nostra Costituzione. Mentre a Palazzo Madama Napolitano conclude il suo discorso e va a congratularsi anch’egli con la Boschi, a Montecitorio si salda intanto l’ultimo tassello della riforma istituzionale a cura del partito democratico.
Lo ius sanguinis è uno dei fondamenti del nostro ordinamento giuridico fin da quando l’evolversi di un diritto romano fece della nostra penisola la “patria del diritto”. La Repubblica e l’Impero romani conferivano la cittadinanza, con tutti gli onori ed oneri che ne derivavano, a chi nasceva da genitori romani. Sulla base del sangue. E’ vero che nel Basso Impero per finanziare la propria economia e la stabilità sociale era invalso l’uso di vendere la cittadinanza ai cosiddetti barbari, e che il Bassissimo Impero aveva trasformato quest’uso in un abuso. Ma il principio era rimasto invariato, dai tempi di Giustiniano fino a ieri mattina, quando la Camera dei Deputati ha dato l’ultimo colpo alla società civile così come l’abbiamo finora conosciuta approvando il disegno di legge che introduce in Italia lo ius soli.
Il diritto anglosassone conferisce la cittadinanza sulla base del “dove” e non sul “da chi”. Conta nascere sul territorio, non importa da quali genitori. E’ una nozione al di fuori della nostra cultura, e per di più pericolosissima in una realtà come la nostra che subisce l’aggressione quotidiana fisica e massiccia da parte di torme di migranti travestiti da profughi, di fronte alla quale le istituzioni stanno mostrando la loro impotenza o peggio la loro connivenza. Matteo Renzi canta vittoria su Twitter: “Si può essere o meno d'accordo su ciò che stiamo facendo, ma lo stiamo facendo: la lunga stagione della politica inconcludente è terminata. Le riforme si fanno, l'Italia cambia. Avanti tutta, più decisi che mai”.
Chi tra i suoi cittadini ha minori interessi personali ma sicuramente più cultura o forse anche soltanto educazione civica preferisce mettersi le mani nei capelli, e non su un social network ma nella realtà. Conoscendo il pollaio italiano, per avere la cittadinanza di questo paese (e quindi anche della Comunità Europea) basterà che le madri vengano a partorire i loro figli sul nostro suolo. Cosa ne conseguirà poi è facile immaginare. Ricongiungimenti familiari allargati obbligatori. Voti al partito democratico altrettanto obbligatori.
Le temperie introdotte allo ius soli dalla legge approvata, il possesso cioè da parte di uno dei genitori del permesso di soggiorno UE di lungo periodo ed il cosiddetto ius culturae (l’aver frequentato un ciclo scolastico di almeno cinque anni nel nostro sistema di pubblica istruzione) si riveleranno inefficaci per quanto appaiono al presente ridicoli. E’ una legge ad hoc, per regolarizzare ed avviare alle urne elettorali la gran massa di persone che da Lampedusa transiteranno sul nostro territorio per restarvi. Ironia della sorte, o della legge, nessun cittadino europeo potrà diventare cittadino italiano. I nostri partners non hanno bisogno del permesso di soggiorno in Italia, quindi per loro restano paradossalmente i canali tradizionali.
Abbiamo aperto con la ministra Maria Elena Boschi. Chiudiamo con un'altra signora il cui nome resterà sicuramente negli annali di storia italiana. E che commenta euforica l’esito della votazione avvenuta nella Camera che presiede. “Montecitorio fa cadere la barriera che per troppo tempo ha tenuto separati tanti giovani e giovanissimi nuovi italiani dai loro compagni di scuola e di gioco”. Firmato Laura Boldrini.
I bambini ci guardano, insomma. Chissà se capiscono, o capiranno mai anche da grandi, che cosa abbiamo fatto.