Se l’8 novembre e Valencia vi
sembrano troppo lontani, il campionato di calcio di serie A manda in scena al Bentegodi
di Verona un interessante anticipo della sfida Rossi-Marquez. In palio non c’è
ancora la corona iridata della motoGp, ma piuttosto la permanenza della Fiorentina
nelle zone altissime della classifica, e del Verona nella classifica stessa.
All’ultimo momento Paulo Sousa
sorprende tutti i pronosticatori di mestiere lasciando in panchina il
gettonatissimo Khouma Babacar e promuovendo titolare dal primo minuto Giuseppe
Rossi. L’evento è storico, non succedeva – se non andiamo errati – da quel
famigerato 5 gennaio 2014 allorché il livornese Rinaudo gli provocò il terzo
grave infortunio al ginocchio della sua carriera, dopo quelli patiti quando era
in forza al Villareal.
Il calcolo del mister portoghese
non concede nulla al sentimento, ma si basa sulla semplice considerazione che
quella di stasera è finalmente la partita di Pepito. Il Verona sarà costretto
dalla sua classifica disperata a gettarsi in avanti all’arma bianca per fare punti
contro la Fiorentina. Stasera non ci sarà spazio per gemellaggi ed altre
amenità varie, ma presumibilmente ci saranno molti spazi lasciati nella metà
campo veronese dall’attitudine offensiva fatalmente imposta ai suoi da Andrea
Mandorlini. Vere e proprie praterie, perché gli scaligeri dovranno ovviare alle
due pesantissime assenze in attacco – quella di Luca Toni e quella di Giampaolo
Pazzini, ambedue costretti a vedere dalla tribuna una partita alla quale non
avrebbero comprensibilmente voluto mancare per tutto l’oro del mondo – con uno
sbilanciamento in avanti di tutta la squadra.
Alla Fiorentina dunque potrebbe
offrirsi la stessa opportunità tattica che ha invece sofferto contro la Roma.
Ecco dunque che la classe di Giuseppe Rossi, se supportata da una condizione
fisica accettabile, potrebbe rivelarsi assai utile. Spazio dunque a Pepito e a
Ilicic, fuori Baba e Berna con probabilità di utilizzo a partita inoltrata. Per
il resto, Pasqual ritorna titolare dato il prolungarsi della convalescenza di
Marcos Alonso, Kuba invece va a destra a cercare di ritrovare anche lui
condizione giocando. Tra i centrocampisti Vecino è preferito a Badelj per
affiancare Borja Valero, mentre tra i difensori Roncaglia viene premiato al
posto di Tomovic e va a sistemarsi in linea con Gonzalo ed Astori.
Il tema tattico della partita è
chiaro. Altrettanto lo è la “mission”. A Verona la Fiorentina deve riprendere
parte di ciò che ha lasciato a Roma e Napoli, tanto più che l’Inter ha già
vinto e le dirette concorrenti hanno a loro volta di fronte impegni non
proibitivi. Tutto chiaro, tutto semplice, come il fatto che il Verona annaspa
per non affogare e che tra le due squadre attualmente c’è la differenza di
almeno una categoria.
Il problema è proprio questo: la
Fiorentina scende al Bentegodi convinta di poter fare un sol boccone dei
derelitti gemelli quando e come vuole. Il Verona comincia con il coltello tra i
denti, i viola con quel ritmo compassato che abbiamo “ammirato” tante volte,
soprattutto nella passata gestione tecnica: giro palla insistito e senza
fretta, disimpegni e ripartenze accademici, concentrazione che stenta a
focalizzarsi sulla partita reale, al punto che lo stesso Tatarusanu mette fine
ad una settimana di polemiche compiendo probabilmente la stessa sciocchezza
commessa dal portiere romanista Szczesny tre giorni fa. Come Orsato, Valeri vede o fa finta
di vedere una linea di delimitazione dell’area più spessa di quello che è, ed
il Tata salva se stesso e la propria squadra da complicazioni di cui oggi non
si sentirebbe proprio il bisogno.
Picchiano un po’ i veronesi, e
infatti fioccano i cartellini. Nessuno tra i viola se la sente di rischiare le
gambe più di tanto, a cominciare proprio da Pepito Rossi, ed ecco quindi che
gli investimenti tecnico-tattici di Paulo Sousa stentano a dare frutti, anche
se le rare volte che il numero 22 ed il numero 9 Kalinic riescono a duettare
fanno intravedere cose interessanti, soprattutto in prospettiva.
Intanto però il tempo scivola
via, almeno il primo, ed il gol che tutti immaginano imminente in realtà non
arriva. Ci vuole qualcosa di speciale, altrimenti si comincerà a parlare di
crisi finalizzatoria di questa squadra che anche oggi finirà per tenere il
possesso palla per il 60% del tempo effettivo di gioco.
Sulle fasce, Kuba da un lato e
Pasqual dall’altro stentano ad arrivare sul fondo come ai bei tempi, e quando
lo fanno il cross o il passaggio al centro sono più da debito d’ossigeno che da
reale ispirazione. Tuttavia, quando viene pescato al 25’ da una grande apertura di
Gonzalo Rodriguez, il vecchio capitano è all’altezza della situazione e del
momento e mette in mezzo una palla d’oro per Kalinic. Il quale si avventa sopra
da par suo, ma Gollini respinge.
C’è un vecchio proverbio legato
al calcio che dice, “la fortuna è mezza squadra”. La fortuna, o nella sua
rappresentazione grafica, la parte anatomica che va sotto il nome corrente di
fondoschiena. Tocca al vecchio Rafa Marquez, difensore messicano di scuola Barcellona,
metterci il proprio in ricaduta e dare
di rinterzo alla Fiorentina il vantaggio insieme alla conferma che – sviste con
Napoli e Roma a parte – in questo
periodo la Dea Bendata non ce l’ha proprio con lei.
Il Verona accusa il colpo, e
anche se appare raddoppiare la foga con cui intenderebbe buttarsi avanti alla
ricerca del pareggio, lo fa in modo ancora più disordinato, favorendo i
recuperi e le ripartenze di una squadra viola che comunque oggi non ha proprio voglia
di dannarsi l’anima. Innumerevoli sono le volte in cui Ilicic, Borja Valero
& C. avrebbero l’occasione di prendere d’infilata i padroni di casa
imbeccando le due punte, l’americano ed il croato, ma manca sempre un
centimetro di precisione o c’è sempre una frazione di secondo di troppo perché
si riesca a finalizzare.
Tra la fine del primo tempo e l’inizio
della ripresa, la Fiorentina cerca il raddoppio in surplace, prendendo soprattutto
falli e qualche volta restituendoli. Curioso che gli unici due ammoniti tra i
viola siano i suoi giocatori più tecnici, Borja per aver gettato via il pallone
dopo il fischio dell’arbitro, Rossi per aver restituito alla fine uno dei tanti
stronchini subiti da Matuzalem, un altro con cui il tempo non appare essere
stato clemente.
E’ l’ora dei cambi, Bernardeschi
rileva Kuba e si sistema subito dalla sua parte alternando il fioretto alla
clava a seconda di ciò che richiedono le circostanze. Poi, quando sembra
scoccata l’ora di dare respiro a Pepito, eccolo partire a sinistra – è il 22’ – e mettere in mezzo una
rasoiata perfetta che attraversa tutta l’area piccola per arrivare sui piedi di
Nikola Kalinic appostato come il destino sul palo più lontano.
Rossi può lasciare il posto a
Badelj sotto gli applausi scroscianti di un intero stadio (commovente il
pubblico veronese, che all’inglese incita per novanta minuti la sua squadra
senza mai dimenticare la sportività nei confronti degli avversari). La
Fiorentina può giocare gli ultimi venti minuti senza la paura di fare qualche
sbadataggine e di pagarla soprattutto cara. Si fa male Astori a dieci minuti
dalla fine e chiede il cambio. C’è spazio anche per Tomovic e si rimette a
sedere in panchina Mario Suarez, non è ancora il momento per lui di mostrare
eventuali progressi.
Il tempo passa in mezzo ad una
noia quasi benedetta per i supporters viola, che vedono la loro squadra restare
salda al secondo posto senza patemi. Per lo spettacolo, quello vero, ci sarà
tempo e modo più avanti. Adesso c’è soltanto un sogno da tenere vivo, dopo gli
incubi della settimana scorsa. E arrivare a gennaio più o meno dove siamo, per
passare di nuovo la palla agli uomini – mercato.
Ci sono state edizioni più
spettacolari di questo Verona – Fiorentina (gli amici scaligeri possono per
parte loro confermarlo, a maggior ragione). Ma è e resta un campionato da
godere fino in fondo. Gli occhi di Paulo Sousa – sarà una nostra suggestione –
cominciano ad assomigliare a quelli della tigre.
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