La Grecia non aveva unità politica. Così ci insegnavano a scuola, la
formula di rito con cui ci veniva spiegato perché la più grande civiltà del
Mondo Antico non avesse dato vita ad un impero all’altezza, ma fosse finita per
diventare la periferia di imperi altrui. La Grecia, o Hellas, era una espressione geografica, con cui si indicava il
territorio in cui erano sorte fiorenti città stato come il mondo non avrebbe
più visto, capaci di regalare in eredità alla nostra civiltà occidentale
filosofie, istituzioni, arti e mestieri che sono rimaste sostanzialmente le
stesse al giorno d’oggi, salvo pochi adeguamenti.
Atene, Sparta, Tebe, Corinto, mentre raggiungevano vette di sapienza
praticamente rimaste ineguagliate almeno fino al Secolo dei Lumi, il
Settecento, passavano il tempo a farsi la guerra tra loro, e ciò veniva percepito
già allora come un fattore di estrema debolezza. Le città dell’Ellade riuscirono ad unirsi solo in
occasione della minaccia persiana. Dissanguate dalla guerra dei cent’anni tra
Atene e Sparta, non riuscirono a ripetere il miracolo contro i macedoni di
Alessandro Magno. Meno che mai contro la nascente, devastante potenza di Roma.
Graecia capta ferum victorem
coepit, avrebbe scritto il poeta latino Orazio, riconoscendo alla civiltà
ellenica il primato morale rispetto alle armi che l’avevano soggiogata. La Grecia
conquistata conquistò il barbaro vincitore. Ma dopo la battaglia di Cinocefale
del 197 a.C. la patria di tutte le Arti e Filosofie divenne una qualsiasi
provincia dell’Impero Romano. E di lei come entità politica non si parlò più
fino all’Ottocento.
I Greci antichi sapevano che lo spargimento del loro stesso sangue
avrebbe finito per soffocarli. Non riuscendo a individuare fra le proprie città
quella che poteva unificare la nazione, cercarono in alternativa di limitare,
regolamentare in qualche modo il ricorso continuo alle armi. Cercarono di
stabilire una tregua, resa sacra dalla dedica al padre di tutti gli Dei dell’Olimpo,
Zeus. Una tregua che nessuno avrebbe
osato rompere, a pena di essere accusato di blasfemia.
Ricostruzione della Statua di Zeus a Olimpia |
Ad Olimpia, nel Peloponneso Occidentale, sorgeva uno dei templi
dedicati a Zeus più famosi dell’Ellade. Costruita da Fidia, la statua che raffigurava il Padre degli Dei era una delle
Sette Meraviglie del Mondo. Nella stessa città, da tempo immemorabile, si
disputava una celebre gara di corsa, già allora ritenuta la regina delle
discipline atletiche. Non è dato sapere chi fu ad avere la brillante idea.
Olimpia divenne la località in cui periodicamente fu imposto a tutti i greci di
deporre le armi, e radunarsi per offrire agli Dei i propri talenti atletici
(senza spargimento di sangue) e gli onori che ne sarebbero conseguiti.
Non è dato saperlo, ma in compenso sappiamo quando ciò accadde. La
prima circostanza di cui si ha notizia nella Storia Antica di un raduno a
Olimpia per la disputa di gare atletiche risale al 776 a.C. E’ la data di
nascita ufficiale delle Olimpiadi.
Olimpiadi, o Giochi Olimpici,
furono chiamate le competizioni che, a partire dalla corsa, si disputarono nei
pressi del Tempio di Zeus. Olimpiade fu denominato il periodo di
quattro anni che intercorreva tra una edizione dei Giochi e la successiva. Tregua Olimpica, sacra agli Dei, fu
denominato il divieto assoluto di combattere nel periodo di durata dei Giochi.
Per cinque giorni, tanto duravano allora le Olimpiadi, Olimpia diventava il
centro del Mondo Antico.
A partire da quel 776 a.C., le Olimpiadi acquistarono una tale
importanza da diventare addirittura l’evento a partire dal quale si
cominciavano a contare giorni, mesi e anni del calendario. Una specie di Ab Urbe Condita ellenica. La stessa
fondazione di Roma fu identificata dagli storici dell’epoca più o meno a
ridosso della quinta edizione dei Giochi di Olimpia. Il che ha consentito di
datare il famoso tracciamento del solco da parte di Romolo e Remo in quel 21
aprile del 753 a.C. del calendario successivamente denominato giuliano.
La partecipazione ai Giochi era riservata a greci liberi che potessero
vantare antenati greci. La necessità di dedicare molto tempo agli allenamenti
comportava che solo i membri delle classi più facoltose potessero partecipare. Erano
esclusi dalla partecipazione gli schiavi, i barbari, gli assassini, i
sacrileghi e le donne.
Gli eroi di Olimpia, gli atleti che trionfavano nelle gare di Zeus, acquisivano fama imperitura.
Quanto e più, a volte, degli eroi che avevano fatto la storia della Grecia sui
campi di battaglia come le Termopili, Maratona, Salamina. I giochi di Olimpia,
a quanto pare, diventarono ben presto il primo esempio di business applicato
allo sport della storia umana. E con il business e i soldi arrivò, inevitabile,
anche la corruzione.
Gli scavi di Olimpia del 1875 |
L’Impero Romano tollerò l’esistenza dei Giochi Olimpici (tutto sommato
congruenti in qualche modo con lo spirito dei giochi del Circo che si stava
affermando a Roma, anche se assai meno cruenti di quelli), almeno fintanto che
il Cristianesimo non si affermò come religione di stato. A quel punto, le autorità
della nuova Ecclesia cristiana, che
vedevano di cattivissimo occhio quelli che ritenevano una delle tante
manifestazioni di paganesimo superstiti, premettero sull’Impero affinché li
sopprimesse.
Nel 390 d.C. la popolazione di Tessalonica si ribellò contro il
governatore imperiale che aveva fatto arrestare un famoso auriga, reo di
corruzione, e aveva impedito la disputa di alcune gare di importanza inferiore
soltanto a quelle olimpiche. Il governatore fu trucidato. La reazione dell’Imperatore
Teodosio fu terribile. Con il pretesto della disputa delle gare in questione,
furono attirate nello stadio circa settemila persone della città ribelle, e
passate per le armi. Il vescovo di Milano Ambrogio, la più eminente personalità
dell’epoca della Chiesa Cattolica neonata, minacciò la scomunica dell’Imperatore,
il quale fu il primo della storia a dover andare
a Canossa. Ma su una cosa Vescovo e Imperatore si trovarono d’accordo: la
proibizione perpetua dei giochi olimpici, che nel 393 d. C. per editto
imperiale videro concludersi la loro millenaria storia.
Il mito delle Olimpiadi non
morì. Con la progressiva riscoperta della cultura classica tra il Rinascimento
e l’Illuminismo, ci fu un rifiorire di iniziative che si rifacevano in qualche
modo a Olimpia. Dall’Inghilterra, alla Francia, alla stessa Grecia ancora
sottomessa all’Impero Ottomano, presero piede una serie di eventi sportivi a
carattere locale che si fregiavano del nome altisonante ed evocativo di
Olimpiadi.
Rovine di Olimpia oggi |
Finché, nella seconda metà dell’Ottocento, sulla scia della riscoperta
di Troia da parte di Heinrich Schliemann,
la febbre degli scavi archeologici prese piede un po’ ovunque, dall’Ellade all’Egitto.
Uno dei principali miti ad essere rispolverato subito dopo quello della guerra
più celebre dell’Antichità fu quello della manifestazione che per prima era
stata promossa contro tutte le guerre: Olimpia, che a partire dal 1875 divenne
sede di scavi ingenti che riportarono alla luce tutti gli impianti in cui gli
eroi dell’Epoca Classica si erano cimentati come atleti e tutti i templi in cui
quei cimenti erano stati consacrati agli Dei.
Nello stesso periodo, nella Francia messa in ginocchio dai Prussiani
dopo la sconfitta di Napoleone III a Sedan, un nobiluomo imbevuto di cultura
classica cercava di fare con Olimpia quello che Schliemann aveva fatto con
Troia, e nello stesso tempo cercava di promuovere qualcosa che avrebbe ridato
vigore alla gioventù del suo paese, mortificata da una sconfitta militare di
cui nessuno riusciva a comprendere le ragioni.
Francobollo commemorativo di De Coubertin |
Le Olimpiadi furono ciò che fece al caso di Pierre de Fredy barone de
Coubertin. L’uomo non cercava una rivincita bellica sui prussiani, cercava solo
l’elevamento morale della gioventù francese secondo il vecchio motto latino mens sana in corpore sano. Visitatore
entusiasta dei già celeberrimi colleges
inglesi ed americani, frequentatore altrettanto entusiasta degli scavi di
Olimpia, de Coubertin si risolse a dar vita al progetto ambizioso di riportare
in vita ciò che l’Imperatore Teodosio ed il Cristianesimo fanatico delle
origini avevano ucciso: le Olimpiadi.
Il barone convocò a Parigi presso l’Università della Sorbona il 23
giugno 1894 una conferenza internazionale in cui lanciò il suo progetto di
rinascita olimpica. Il successo fu strepitoso. Dopo oltre vent’anni di pace, il
mondo avvertiva il soffio di nuovi venti di guerra in avvicinamento. C’era gran
voglia di consacrare di nuovo a qualche divinità benevola un messaggio di pace
ed una tregua che non poteva essere infranta, a pena di bestemmia.
La Conferenza si concluse con l’istituzione del Comitato Olimpico
Internazionale e l’affidamento dell’organizzazione della prima edizione delle
nuove Olimpiadi dell’era moderna al paese dove si erano disputate le ultime di
quella antica.
Il mondo era convocato in Grecia ad Atene dal 6 al 15 aprile 1896 per
tornare a gareggiare. Senza armi, ma con la sola forza dei muscoli e dello
spirito. Dopo millecinquecento anni da Tessalonica ed altri mille dal primo
raduno ad Olimpia, la fiaccola accesa nel tempio di Zeus tornava a correre in
mano ad un tedoforo fino allo stadio olimpico. La grande storia di quello che
oggi noi chiamiamo sport ricominciava.
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