Il 1° settembre 1939 all’alba
l’esercito tedesco iniziò l’invasione della Polonia. Cominciò così una
competizione internazionale destinata a concludersi quasi sei anni dopo con
l’omologazione di un unico, tragico record: quello dei morti, oltre settanta milioni
tra militari e civili. Un intero continente ridotto da un unico immenso cumulo
di macerie, dall’Atlantico agli Urali. La fine di un’epoca segnata
dall’illusione che il progresso scientifico avrebbe assicurato di per se stesso
la pace al mondo. A partire dal 6 agosto 1945, anzi, il progresso scientifico
sarebbe stato irrimediabilmente associato nell’immaginario collettivo al fungo
atomico di Hiroshima.
Imperial Stadium di Wembley |
La Seconda Guerra Mondiale
cancellò tante cose, oltre a quei milioni di vite umane ed alle città e luoghi
dove avevano vissuto. La tregua olimpica fu una di queste. L’illusione di
trasferire sulle piste di atletica e sui campi di gara le pulsioni competitive
di una razza umana disarmata, che dai sacerdoti di Zeus a Olimpia era passata
intatta attraverso i secoli a de Coubertin e ai suoi entusiasti seguaci del
Comitato Olimpico Internazionale, era sopravvissuta di soli tre anni all’ultima
edizione dei Giochi effettiva, quella di Berlino del 1936.
Il barone non aveva fatto in
tempo a rivedere gli orrori della guerra. Era morto nel 1937 nel suo buen
retiro di Ginevra, a due passi dalla sede del C.I.O. a Losanna. Il suo
successore, il belga Henri de Baillet-Latour, lo aveva seguito nella tomba nel
1942, morto di crepacuore nel bel mezzo proprio di quegli orrori che avevano
condotto all’annullamento di due edizioni olimpiche, la dodicesima che si
sarebbe dovuta disputare a Tokyo e la tredicesima che sarebbe dovuta toccare a
Londra, la seconda dopo quella del 1908.
Il C.I.O. stesso aveva sospeso
per forza di cose i propri lavori a tempo indeterminato. Li aveva ripresi nel
1945, riunendosi proprio a Londra e confermandovi la quattordicesima
edizione (la numerazione inalterata era un omaggio alla santità della tregua
olimpica non rispettata) da tenersi tre anni dopo nella città che aveva
resistito a tutto, dal blitz della Luftwaffe alle V2, incarnando la volontà di
non arrendersi alle armate delle tenebre.
L’omaggio a Londra era doveroso,
anche se mise a dura prova le capacità di ripresa di una delle città che avevano
subito la guerra più pesantemente in Europa. All’organizzazione del villaggio
olimpico ed agli approvvigionamenti per gli atleti concorsero in gran parte le
strutture militari presenti sul territorio britannico. Il parco di Windsor fu
la sede delle gare ciclistiche, mentre il Tamigi lo fu di quelle di nuoto e di
canottaggio. Nel vecchio stadio di Wembley fu riallestita la pista di atletica
del 1908.
Il "settebello" italiano |
A Londra, non furono ammesse –
come già era successo dopo la Prima Guerra – le potenze sconfitte. Con l’unica
eccezione dell’Italia, in favore della quale pesò l’armistizio di Cassibile che
l’aveva disallineata dall’Asse e schierata a fianco degli Alleati. La
possibilità di partecipare fruttò all’Italia otto medaglie d’oro per un quinto
posto finale nel medagliere di tutto rispetto. Tra i successi di maggior
prestigio, quelli del discobolo Adolfo Consolini e della nazionale di
pallanuoto.
La mancanza della Germania, molti
dei cui atleti peraltro non avrebbero risposto all’appello in quanto caduti di
guerra (come quel Lutz Long coraggioso amico del Figlio del vento Jesse Owens,
che cadde in Sicilia ed è sepolto nel cimitero di guerra di Motta Sant’Anastasia in provincia di Catania), oltre che quella come ormai di
consueto autoimposta dell’Unione Sovietica, fu compensata dall’arrivo di nuovi
paesi nati dall’avvio del processo di decolonizzazione. Le nazioni in gara
furono 59.
Veri e propri personaggi quella
Olimpiade non ne consegnò alla storia. Ad esclusione di Emil Zatopek, ufficiale
dell’esercito cecoslovacco prestigioso vincitore dei 10.000 metri, e della
mammina volante l’olandese Fanny Blankers-Koen, così chiamata perché agli Europei che avevano preceduto quelle Olimpiadi tra una gara e l’altra aveva
allattato la figlia appena nata. La mammina compì un’impresa simile a quella di
Owens a Berlino vincendo 100 m
piani, 80 m
ostacoli, 200 m
piani e staffetta 4 x 100 m.
A proposito di Owens, gli successe nei 100 metri un altro atleta
di colore americano, Harrison Dillard, che dopo la vittoria dichiarò: “Quando i
bianchi ci lasciano fare qualcosa, noi cerchiamo di rifarci. Così è nello
sport, come è stato nella musica”. In effetti, gli atleti afroamericani
cominciarono proprio a Londra ad affermare una loro supremazia nel’Atletica.
La seconda olimpiade londinese è
rimasta nella storia per un altro motivo. Nel 1948, l’Inghilterra era il primo
paese europeo ad avere la televisione. La B.B.C. trasmise i Giochi Olimpici in
diretta dalla cerimonia di apertura alla presenza di re Giorgio VI il 28 luglio
fino a quella di chiusura il 14 agosto.
Finale del torneo di basket, avvio di un grande duello |
Quattro anni dopo toccò ad
Helsinki, che aveva dovuto superare la concorrenza di diverse città americane. Malgrado
lo scoppio della Guerra Fredda e di quella guerreggiata in Corea, le Olimpiadi
del 1952 poterono andare in archivio come le prime dell’era moderna. In
Finlandia, le nazioni partecipanti salirono a 69, per effetto della
riammissione degli sconfitti della guerra mondiale e dell’aumento delle nazioni
indipendenti, soprattutto nel subcontinente indiano ed in Medio Oriente. La
cerimonia di apertura, il 19 luglio, culminò con l’entrata nello stadio
dell’ultimo tedoforo, il leggendario finlandese volante Paavo Nurmi. Per la
prima volta dopo quarant’anni, complice anche la neutralità della sede rispetto
ai due blocchi della Nato e del Patto di Varsavia, si ripresentò ai Giochi la
squadra dell’Unione Sovietica, nella quale stava per concludersi la dittatura
feroce di Stalin. Il villaggio olimpico era organizzato in modo da tenere
separati gli atleti dell’Est da quelli dell’Ovest, anche se questi finirono per
fraternizzare ogni volta che ne avevano la possibilità.
Al lancio del disco toccò ancora
una volta un singolare primato in campo femminile. Se la polacca Halina
Konopachka era stata la prima donna in assoluto a vincere un oro olimpico nel
1928 ad Amsterdam, Nina Romashkova fu la prima atleta russa sovietica a vincere
l’oro nella stessa specialità. Furono anche le prime volte di Israele, nato nel
1948, e della Repubblica Popolare Cinese di Mao Tze Tung, nata nel 1949 e che sarebbe tornata
ai Giochi solo nel 1984 a
Los Angeles. Ciò provocò la protesta ed il ritiro della Cina nazionalista di Taiwan,
così come la presenza della Germania Ovest significò l’esclusione di quella
dell’Est.
Carlo Pedersoli |
L’Italia finì ancora quinta nel
medagliere, con gli exploit da segnalare di Edoardo Mangiarotti, schermidore
che proseguiva la tradizione di Nedo Nadi, e di Carlo Pedersoli, il compianto
Bud Spencer del cinema recentemente scomparso, che a Helsinki fu il primo
italiano a scendere sotto il minuto nei 100 stile libero. Ai Giochi Invernali
tenutisi ad Oslo, era iniziata invece la leggenda del primo grande sciatore
azzurro, Zeno Colò, che vinse il primo oro italiano nella discesa libera.
Furono ancora le Olimpiadi di Zatopek,
oro nei 5.000, 10.000 e nella maratona. E quelle che videro la nascita della
Grande Ungheria nel calcio, con la vittoria nel torneo olimpico a spese di una
forte Jugoslavia. I paesi dell’Est europeo, a prescindere dai talenti a
disposizione, mostrarono di aver appreso la lezione dell’Italia fascista e della
Germania nazista facendo largo ricorso al remunerativo dilettantismo di stato.
L’URSS in particolare finì al secondo posto del medagliere dietro gli USA,
dando il via ad un duello a livello di superpotenze sportive che si sarebbe
protratto per quasi quarant’anni.
Zeno Colò |
Il 3 agosto 1952, il mondo si
dette appuntamento a Melbourne, in Australia. Per la prima volta nella storia,
la fiaccola olimpica prese la via dell’emisfero sud del pianeta, e i tedofori
furono coadiuvati dagli aerei della Qantas, la compagnia di bandiera
australiana. Il quinto continente, il quinto cerchio della bandiera olimpica,
ebbe l’onore di organizzare la XVI^ edizione dei giochi vincendo anche in
questo caso una concorrenza serrata.
L’intento del C.I.O. era
lodevole: rendere universale lo sport ed il suo messaggio di pace. Ancora una
volta però, le buone intenzioni del comitato cozzavano contro una realtà
politica che di tregue olimpiche non ne voleva proprio sapere. Quando le
squadre nazionali arrivarono a Melbourne, il 22 novembre (data obbligata,
trattandosi dell’emisfero australe), erano già successe quante cose bastavano
ad avvelenare il clima internazionale.
A Suez, Inghilterra e Francia
avevano reagito militarmente alla nazionalizzazione del canale da parte del
presidente egiziano Nasser. Costrette a ritirarsi dalle pressioni di USA e
URSS, avevano lasciato comunque la porta aperta a strascichi di tensione tra i
blocchi in guerra fredda. Tensioni acuite poi dall’occupazione della ribelle
Ungheria da parte dei carri armati del Patto di Varsavia, che aveva posto fine
alle speranze di indipendenza dei magiari. Diversi paesi arabi boicottarono i
giochi a causa di Suez, mentre per i fatti di Ungheria si tennero fuori la
Svizzera, l’Olanda e la Spagna del Caudillo
Francisco Franco.
Ervin Zador esce dall'acqua ferito |
Fu l’Olimpiade della partita del
sangue nell’acqua. Nel torneo di pallanuoto, gli ungheresi erano campioni in
carica e anche nel 1956 la bontà della loro scuola li indicava come favoriti.
Destino volle che la partita decisiva del girone finale la dovessero giocare
contro l’Unione Sovietica, proprio mentre i carri armati russi scorrazzavano
per le strade di Budapest soffocando la rivoluzione ungherese nel sangue. Ci fu
sangue anche in acqua. Gli ungheresi surclassarono i russi per 4-0, e intesero
anche schernirli. Il russo Prokopov reagì prendendo a cazzotti l’ungherese
Ervin Zador, che uscì dalla piscina sanguinante. La rissa si trasferì sulle
tribune tra i tifosi presenti, e fu sedata a fatica dalla polizia australiana.
Emil Zatopek |
L’Ungheria finì quarta nel
medagliere di Melbourne. L’URSS invece per la prima volta finì avanti agli USA,
seguiti dall’Australia (grazie soprattutto al nuoto). Quinta ancora una volta
l’Italia. Schermidori, ciclisti e canottieri portarono gli ori alla squadra
azzurra, mentre Carlo Pedersoli confermava la sua classe nel nuoto, in attesa
di passare al cinema. Ai giochi invernali di cortina d’Ampezzo, l’Italia non
aveva potuto schierare il mitico Zeno Colò se non come tedoforo. L’atleta di
Cutigliano (PT) era stato squalificato in quanto accusato di professionismo per
aver fatto pubblicità ad una marca di abbigliamento sportivo.
Com’era successo ad Anversa nel
1920, parte del programma olimpico venne svolto altrove. A causa delle severe
leggi australiane sull’importazione di animali, le gare di equitazione
dovettero essere dirottate a Stoccolma, in Svezia. Fu il secondo caso di
olimpiade svolta dunque sul territorio di due paesi diversi. Sempre in tema di
curiosità, l’esperimento di riunificazione delle due Germanie limitatamente
alle gare olimpiche (sotto la bandiera giallorossonera con l’aggiunta dei
cinque cerchi) per quanto suggestivo e gratificato dal settimo posto nel
medagliere, non era destinato ad avere seguito.
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