domenica 1 luglio 2012

Storia delle Olimpiadi: La tregua fallita (1912 - 1920)



Le preghiere di de Coubertin erano state ascoltate. Londra aveva salvato le Olimpiadi nel 1908. Quattro anni dopo, Stoccolma le avviò a diventare definitivamente la più grande manifestazione sportiva mondiale di sempre, senza possibilità di confronti.
Al principio del ventesimo secolo, la Svezia era già una nazione tra le più benestanti ed avanzate d’Europa. Una nazione che aveva tra l’altro imboccato la strada del pacifismo e della neutralità da circa un secolo, scelta che avrebbe mantenuto anche nelle due guerre mondiali che sarebbero scoppiate di lì a poco. Lo spirito di Olimpia si confaceva dunque alla più ricca delle nazioni del Grande Nord scandinavo perlomeno quanto alla Grecia, paese dove era sorto.
Gli svedesi si erano recati a Londra anche per studiare la macchina organizzativa britannica. Nei quattro anni a loro disposizione non tralasciarono alcun dettaglio. I Giochi che si aprirono il 5 maggio 1912 a Stoccolma alla presenza di Re Gustavo V e della intera famiglia reale erano destinati a passare alla storia come un successo senza ombre.
Anzitutto, non furono ancorati ad alcuna esposizione o comunque manifestazione di taglio politico-economico. La durata di oltre due mesi e mezzo (si conclusero il 22 luglio) fu dovuta a motivazioni squisitamente organizzative, e non a fattori extra-sportivi come in passato. Inoltre, beneficiarono del clima particolarmente propizio che si respirava al tempo nella nazione scandinava.
Se da un lato furono tolti dal programma sport come il Pugilato e la Lotta che erano proibiti dalle leggi svedesi, dall’altro fu favorita la partecipazione femminile senza più limiti di sorta (ancora a Londra alle donne erano state riservate soltanto discipline come il tennis ed il tiro con l’arco), nonché la partecipazione degli atleti in generale, in qualità e quantità.
Il numero degli scritti salì ad oltre 2.400, ripartiti tra 26 discipline. Tra essi, emerse significativamente una figura destinata a diventare leggendaria pur non appartenendo alla razza bianca allora predominante. In luogo degli sport soppressi o accantonati, il C.I.O. aveva acconsentito all’introduzione di nuove specialità, quali il decathlon ed il pentathlon moderni.
Wa-Tho-Huk (Sentiero Lucente) Jacobus Franciscus Thorpe, detto Jim
In entrambe, risultò vincitore un atleta americano, o per meglio dire nativo americano, il pellerossa Jim Thorpe. Re Gustavo di Svezia, nel premiarlo, lo definì senza mezzi termini il miglior atleta del mondo.
Thorpe è una delle figure leggendarie della moderna Olimpia. Nel volgere dei pochi anni intercorsi dall’Olimpiade di Saint Louis a quella di Stoccolma, trasformò con i propri successi la kermesse olimpica dal fenomeno da baraccone che aveva ospitato le Giornate Antropologiche in una competizione seria e realmente sportiva, in cui per giunta la razza bianca non era più sicura di eccellere.
L’atleta indiano fu poi oggetto di una brutta vicenda, ascrivibile all’ipocrisia olimpica dell’epoca e non a sue scorrettezze. Pochi mesi dopo Stoccolma, le medaglie d’oro gli furono ritirate perché fu scoperto che prima dei Giochi aveva partecipato al campionato di baseball nazionale statunitense come membro (remunerato) della squadra del North Carolina. I 100 dollari al mese percepiti avevano fatto di lui un professionista, peccato considerato allora peggio che mortale dal decoubertiniano Comitato Olimpico Internazionale.
La squalifica precipitò Thorpe in uno stato di depressione che accomunò il suo destino a quello di molti esponenti della sua razza. Cominciò a bere, precipitando nell’alcoolismo e finendo per spegnersi nel 1953 a soli 56 anni per un infarto che lo colse nella roulotte dove viveva, nei sobborghi di los Angeles. La sua memoria fu riabilitata – e le medaglie restituite agli eredi - soltanto 30 anni più tardi, alla vigilia delle seconde olimpiadi proprio di Los Angeles, quando ormai il professionismo olimpico era stato ammesso da tempo.
Duke Paoa Kahinu Mokoe Hulikohola Kahanamoku, detto The Big Kahuna (Uomo Molto Importante), bicampione olimpico e inventore del surf moderno
Altri nomi celebri di quelle Olimpiadi furono un giovane capitano dell’esercito statunitense, un certo George S. Patton che purtroppo in seguito avrebbe avuto occasioni ben più tragiche per distinguersi. Patton arrivò quinto dietro Thorpe ed un manipolo di fortissimi atleti di casa. Dopo la squalifica dell’indiano, risultò il primo dei non svedesi. Per noi italiani, quelle furono le olimpiadi della prima medaglia d’oro di Nedo Nadi, il leggendario fiorettista che dette il via alla celeberrima scuola italiana. Nel nuoto, invece, l’hawaiano Duke Kahanamoku vinse i 100 s.l. brevettando lo stile crawl in quello che fu l’atto di nascita del nuoto moderno.
Altra innovazione importante fu l’introduzione del primo rudimentale fotofinish usato per misurare l’ordine d’arrivo nelle gare di atletica o di nuoto. Sempre in tema di novità, tra le nazioni che partecipavano per la prima volta ci fu la Russia, e data l’importanza politica di quel paese parve subito una acquisizione importante per il movimento olimpico. In realtà, atleti di quel paese sarebbero ritornati a gareggiare alle Olimpiadi soltanto 40 anni dopo, nel 1952.
Alla cerimonia di chiusura, un raggiante de Coubertin dette appuntamento al mondo a Berlino nel 1916, secondo le determinazioni del C.I.O.. In realtà, il mondo aveva davanti a sé ben altro appuntamento. Il 25 giugno 1914 a Sarajevo il tiro a segno di cui fu fatto oggetto l’arciduca Francesco Ferdinando d’Asburgo, erede al trono imperiale di Austria-Ungheria, precipitò l’Europa prima ed il pianeta poi in una competizione che sarebbe passata alla storia come Prima Guerra Mondiale.
Il mondo che si ritrovò ad Anversa otto anni dopo era profondamente cambiato. Le macerie del conflitto mondiale erano ancora presenti, soprattutto in quel Belgio che aveva subito il primo, durissimo attacco dell’esercito prussiano teso ad aggirare le difese anglo-francesi che erano state disposte ad evitare una nuova rotta come quella dei tempi di Napoleone III.
De Coubertin poté constatare che la gioventù francese questa volta si era comportata con maggiore saldezza morale e di carattere, ma che del mondo che aveva sognato lui in quel lontano 1894 in cui aveva ridato vita alle Olimpiadi rimanevano poche tracce. Lungi dal funzionare come sacro deterrente come nella Grecia Antica, la tregua olimpica era fallita miseramente. Le nazioni si erano scannate con le armi e il campo di battaglia era stato l’unico terreno di gioco.
Restavano solo, a far ben sperare per il futuro, i traumi di una inutile strage, come la definì il Papa Benedetto XV, che perlomeno nessuno sembrava aver voglia di rivivere in un futuro ragionevolmente prossimo. La Società delle Nazioni voluta dal presidente americano Woodrow Wilson sembrava sul momento un comitato assai più potente di quello olimpico nell’assicurare serenità al futuro della razza umana.
Per onorare comunque lo spirito di Olimpia, fu stabilito che quella di Anversa sarebbe stata la settima Olimpiade, mentre la sesta, quella di Berlino, sarebbe rimasta come non disputata. Olimpiade era definito anche il lasso di tempo di quattro anni che intercorreva tra una edizione dei Giochi e la successiva. Quel tempo era trascorso regolarmente, e se alla fine anche inutilmente, ciò restava a perpetuo disdoro delle nazioni che avevano provocato la guerra. E che l’avevano persa, tra l’altro, finendo per sedersi al tavolo della pace a Versailles come sconfitti.
Come conseguenza di quella pace, fu deciso che le potenze sconfitte (Germania, Austria, Ungheria, Bulgaria e Turchia) non sarebbero state ammesse ai giochi del 1920. La Russia, nel frattempo precipitata nella Rivoluzione Bolscevica e diventata Unione Sovietica, si autoescluse in segno di rifiuto verso istituzioni borghesi in cui non si riconosceva più  e con le quali si era trovata in guerra fino a poco tempo prima per effetto del cordone sanitario e della reazione anticomunista.
Il Belgio semidistrutto fece salti mortali perché il giorno della cerimonia di apertura, il 20 aprile 1920, tutto fosse pronto ed all’altezza delle Olimpiadi che tornavano a fermare il mondo e a portarlo pacificamente in gara.
Ad Anversa, come esigenza evidentemente sentita a causa delle recenti tragiche esperienze, fece la sua comparsa il Giuramento Olimpico. Altra novità, il lancio delle colombe durante la cerimonia d’apertura, particolarmente suggestivo per una opinione pubblica mondiale che inclinava decisamente al pacifismo in quel momento. Anche la bandiera dei cinque cerchi fu issata per la prima volta sopra il braciere olimpico ad Anversa.
I Giochi compresero, per la prima ed unica volta, una sezione di sport invernali che poi sarebbero stati disputati a parte, a decorrere dall’edizione successiva. Le gare di tiro ebbero una preponderanza tale da far dire: si è sparato più ad Anversa che durante la Guerra.
Il livornese Nedo Nadi, leggenda della scherma azzurra
Gli atleti italiani sfoggiarono per la prima volta la maglia azzurra. Tra di essi, il portabandiera Nedo Nadi entrò nella leggenda confermandosi medaglia d’oro nel fioretto e aggiungendoci anche quelli della spada e della sciabola, sia individuali che a squadre.
Altri personaggi carismatici di quelle Olimpiadi furono l’hawaiano Duke Kahanamoku, che confermò la sua vittoria di Stoccolma nei 100 s.l. migliorando di tre secondi il proprio record. E il finlandese Paavo Nurmi, vincitore del 10.000 metri piani e dei 10.000 di corsa campestre, ritenuto uno dei più grandi fondisti di sempre.
Il campo di regata nella vela fu posto in acque olandesi. Per questo motivo i Giochi di Anversa sono considerati i primi della storia organizzati da due nazioni in collaborazione. La cerimonia di chiusura presieduta da Re Alberto I del Belgio il 12 settembre 1920 pose termine ad una edizione delle Olimpiadi che aveva avuto successo, nonostante l’eco dei cannoni si fosse spenta da poco e da ancor meno fossero state rimosse le macerie insanguinate della Grande Guerra.

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