Dice un antico
proverbio cinese, se una disputa va per le lunghe, significa che tutti e
due i contendenti hanno torto. Nel 2001, dopo aver deliberato di pagare il
debito assunto con Atene per la mancata assegnazione delle Olimpiadi del Centenario,
il Comitato Olimpico Internazionale – alla cui presidenza si
era appena insediato il belga Jacques Rogge in sostituzione
dello spagnolo Samaranch, dimissionario – prese la decisione
di pagare anche quello contratto successivamente con Pechino, alla quale
era stata preferita Sidney per l’assegnazione dei primi Giochi del terzo secolo
delle Olimpiadi moderne.
Pur arrivato con otto anni di ritardo, il
governo della Repubblica Popolare Cinese accettò di buon grado
il risarcimento, maturato addirittura al secondo turno di votazione (fatto
senza precedenti, mai una candidata aveva raggiunto così presto la maggioranza
assoluta). «La vincita dell'offerta olimpica del 2008 è un esempio
internazionale della Cina, di stabilità sociale, del progresso economico e
della vita in buona salute per il popolo cinese». Al di là della prosa
involuta, ciò che il vice-premier cinese Li Lanqing intendeva
dire era che questo benedetto ventunesimo secolo sembrava finalmente avviarsi a
poter essere considerato il secolo cinese, così come il precedente era
stato considerato il secolo americano.
Negli stessi giorni, l’Organizzazione
Mondiale del Commercio (W.T.O.) aveva ammesso nel suo
consesso la stessa Cina, aprendole le porte principali della poderosa
espansione economica che stava comunque già prendendo il via. I giochi della XXIX^
Olimpiade erano un grandioso spot pubblicitario per questa nazione di
oltre un miliardo di abitanti (senza contare i suoi figli sparsi per il globo)
che aveva dichiarata chiusa nei fatti l’esperienza comunista e aveva cominciato
a comprarsi quel mondo verso cui una volta aveva provato tanta ostilità,
peraltro ricambiata.
La macchina organizzativa che si mise in
moto all’indomani della decisione del C.I.O. ha
dell’incredibile, se considerata senza tener conto delle capacità direttive di
uno stato che affondava le proprie origini nella notte dei tempi e che poteva
vantare un passato imperiale prima e comunista poi durante i quali era stato
realizzato più di un miracolo, nonché delle capacità di risposta di un corpo
sociale dalle infinite doti di sopportazione da un lato e di produzione
in senso lato dall’altro.
Le Olimpiadi del 2008 costarono alla
collettività cinese 40 miliardi di dollari per la costruzione di impianti,
infrastrutture, energia, trasporti e approvvigionamenti di risorse varie. I due
miliardi necessari alla costruzione degli impianti furono finanziati da imprese
americane in cambio della partecipazione ai diritti di proprietà post-olimpici.
Furono realizzati dal nulla in soli due anni impianti come lo Stadio
Nazionale di Pechino e lo Stadio Nazionale Indoor, l’Olympic Green o
Parco Olimpico, il Wukesong Baseball Field.
Un ulteriore sforzo prodigioso fu
sopportato dalla Cina nel reperimento del personale necessario al funzionamento
delle strutture olimpiche, circa 11.000 volontari. La Cina inoltre forzò se
stessa, per la prima e forse unica volta finora, al rispetto degli standard
internazionali in materia sia di inquinamento che di qualità alimentare. Di
più, funzionari governativi percorsero il paese in lungo e in largo, come
avevano fatto i vecchi funzionari imperiali in altre epoche, per selezionare e
reclutare tutti quei bambini e ragazzi che minimamente promettevano nelle
discipline sportive che sarebbero andate in gara nel 2008. Attraverso un
processo di selezione durissimo, i migliori venivano iscritti alla squadra
olimpica, gli altri tornavano ad un oblio inimmaginabile.
Difficile spiegare, se non con
l’intervento di una pianificazione ultradeterminata o addirittura spietata, il boom
della Cina anche in termini di successi sportivi. Fino ad Atene, la RPC era
stata una potenza olimpica al massimo da quarto posto nel Medagliere, quando le
era andata più che bene. A Pechino, la squadra di casa stravinse, con 51
medaglie d’oro, 21 d’argento e 28 di bronzo. Un risultato che non aveva
precedenti nemmeno ai tempi delle superpotenze dopate della Guerra
Fredda. Una presenza cinese ai vertici di tutte le discipline
olimpiche che non aveva riscontro né spiegazioni plausibili, a non voler
credere alle storie di magia.
La fiamma olimpica arrivò a Pechino
girando i quattro angoli del mondo, ma evitando accuratamente Taipei,
con cui la Cina che continuava a definirsi comunista non aveva trovato
pace malgrado né Mao Tze Tung né Chang Kai Shek
fossero più di questo mondo. Altri simboli di un passato restio a morire, le
due Coree illusero tutti di volersi presentare come una Squadra Unificata,
rinunciandovi quando ormai il braciere stava per essere acceso. Si discusse a
lungo anche dell’opportunità di portare la fiaccola sulla vetta dell’Everest.
Dalla cima della montagna più alta del mondo si vede il Tibet.
E la Cina vuole che il mondo si dimentichi del Tibet, e della sorte che ha
avuto per sua mano. Per solidarietà sempre con il Tibet, una quantità di
personalità – da Carlo Principe di Galles a Pietro Mennea –
finirono per disertare i Giochi di Pechino.
La cerimonia d'apertura allo Stadio Nazionale di Pechino |
La suggestiva cerimonia di apertura,
orchestrata dal regista Zhang Yimou come se fosse uno dei suoi
film evocativi del passato e della cultura cinesi, riepilogò la strada
millenaria che quel paese aveva percorso per presentarsi finalmente ad un mondo
colto assolutamente di sorpresa come la probabile superpotenza del futuro. Steven
Spielberg, a cui era stata offerta l’organizzazione sia di quella cerimonia
che di quella di chiusura, aveva rifiutato per protesta contro la politica
cinese in un altro angolo sofferente del mondo, il Darfur
sudanese.
Ma ormai era tempo di Giochi, di gare e
di medaglie. E Olimpia rinnovò la sua magia anche in terra
cinese. L’Italia si confermò nei primi dieci del Medagliere, con otto ori, nove
argenti e 10 bronzi. Sul gradino più alto finirono una Valentina
Vezzali all’apice della sua leggenda nel Fioretto, una Federica
Pellegrini che aveva appena cominciato la sua nel Nuoto, un Alex
Schwarzer che non aveva ancora iniziato il suo controverso rapporto
con il doping, un Roberto Cammarelle che
rinnovava la prestigiosa storia della Boxe azzurra olimpica, altri campioni
come Matteo Tagliariol nella Spada, Giulia Quintavalle
nel Judo, Chiara Cainero nel Tiro a Volo, Andrea
Minguzzi nella Lotta Greco-Romana. Leggende che si prolungavano erano
inoltre quelle scritte sugli argenti di Alessandra Sensini e
di Josefa Idem.
Federica Pellegrini con l'Oro di Pechino |
Michael Phelps compì
l’impossibile: superare quel mostro che era stato Mark Spitz a
Monaco 72, con otto medaglie d’oro. Gli Stati Uniti fecero incetta in quasi
tutti gli sport di squadra. Le sorelle Williams aggiunsero la
medaglia d’oro olimpica al loro palmares tennistico nel Doppio. Nel Calcio,
l’Argentina bissò Atene, prendendosi la rivincita del 1996 sulla Nigeria. Al
quarto posto del Medagliere complessivo sorprese la Gran Bretagna, che aveva
preparato per tempo evidentemente l’Olimpiade successiva. Quella che si sarebbe
svolta a casa sua.
Please Stay, Guests from Afar,
cantava un coro di 56 cantanti in rappresentanza di tutte le etnie cinesi nella
cerimonia di chiusura. Restate, ospiti che venite da lontano, alla
fine anche la superba Cina si era commossa a contatto con le nazioni ed i
popoli del resto del mondo, rimpiangendo la fine di quei quindici giorni
dell’agosto 2008.
Wellcome to London! concluse la
sua esibizione Paul McCartney, il più prestigioso e
carismatico degli ospiti saliti sul palco dell’Olympic Stadium di
Londra per la cerimonia di apertura della XXX^ Olimpiade, il
27 luglio 2012. Dal Fiume Giallo al Ponte di Londra, tanta acqua era scorsa da
quando Boris Johnson, sindaco della capitale britannica, aveva
ricevuto la bandiera olimpica dal suo omologo pechinese Guo Jinlong.
Paul McCartney: "Wellcome to London!" |
Tanta acqua, tante polemiche, tanto
astio. Londra aveva superato la concorrenza di altre capitali, come Parigi,
Madrid, New York e Mosca. Soprattutto con l’amica-nemica dirimpettaia francese
il gioco si era fatto pesante. Alla vigilia dello spareggio tra Londra e
Parigi, il presidente francese Jacques Chirac se n’era uscito
con un “non si può confidare in gente che mangia un cibo così cattivo (gli
inglesi, n.d.r.), peggio di loro ci sono soltanto i finlandesi”.
Finlandesi erano giustappunto due dei membri del C.I.O., quelli che espressero
i due voti che fecero la differenza.
Polemiche a parte, i Giochi tornavano a
Londra per la terza volta nella storia, dopo l’edizione del 1908 che li aveva configurati
per il ventesimo secolo, e quella del 1948 che si era svolta sulle macerie
causate dai blitz e dalle V2 di Hitler. L’unica città
al mondo che avrebbe potuto vantare, in caso di nomination, un simile
tris prestigioso era appunto Parigi. Inevitabile che i francesi prendessero
male la sconfitta.
Elisabetta II scortata allo Stadio Olimpico da james Bond |
Londra comunque fece da par suo. Nella
cerimonia di apertura furono celebrate, un po’ troppo ampollosamente forse,
tante cose appartenenti alla nostra civiltà occidentale e che avevano trovato
origine nelle Isole Britanniche, a cominciare dalla maggior parte degli sport
in cui si sarebbe gareggiato sotto i Cinque Cerchi. Gli spot olimpici prima e
durante la cerimonia si erano avvalsi del Globe Theatre
shakespeariano con Joseph Fiennes, di una gloria olimpica come
Sebastian Coe, di una gloria calcistica come David
Beckham, di una gloria cinematografica come Roger Moore,
vecchio 007 in
pensione. Con il suo attuale successore Daniel Craig
paracadutato nella fiction su Buckingham Palace, dove
era incaricato di prelevare nientemeno che Sua Maestà la regina Elisabetta,
per scortarla allo Stadio Olimpico dove era attesa per l’apertura dei Giochi.
Nello stadio, un’altra regina, J.K.Rowlings
aveva nel frattempo immerso tutti in mondovisione nell’atmosfera magica del suo
Harry Potter, mentre un’altra magia era stata poi compiuta da Mohamed
Alì, che sedici anni dopo Atlanta era sceso nuovamente su una pista
olimpica, stavolta per portare a destinazione la Bandiera dei Cinque Cerchi.
Per gli ultra-nostalgici, il comitato organizzatore aveva inoltre stabilito che
le cerimonie di premiazione di ogni competizione fossero accompagnate da Chariots
of Fire, la colonna sonora realizzata nel 1981 da Vangelis
per l’omonimo suggestivo film sulle Olimpiadi del 1924.
C’era di che struggere il cuore del mondo
intero, prima ancora che gli atleti scendessero in pista. In particolar modo,
per la generazione che aveva vissuto la swinging London degli anni
Sessanta, il richiamo era forte. Le Olimpiadi più rock e glamour della storia
avrebbero dovuto avere come inno ufficiale addirittura un monumento musicale
come London calling dei Clash. Poi, in ragione delle
perplessità sollevate dal testo della canzone (uno scenario post-atomico che in
effetti ha poco a che fare con la materia olimpica), il Comitato Organizzatore
ripiegò sulla più rassicurante ma assai meno suggestiva Survival dei Muse.
Valentina Vezzali |
La XXX^ Olimpiade vide scritte le sue
belle storie di vita e di sport al livello delle migliori edizioni. La Cina a
Londra tornò sul Pianeta Terra, riprendendo il suo posto nel Medagliere alle
spalle degli Stati Uniti. La Gran Bretagna scalò un’altra posizione finendo
terza, miglior risultato di sempre. Cannibali come Michael Phelps e Usain
Bolt furono capaci di allungare di altri quattro anni la loro
leggenda. Niente comunque in confronto all’impresa delle donne americane e
cinesi, capaci nel loro complesso di superare i maschi nel numero di medaglie
conquistate per i loro paesi. O di superare ostacoli ancora più grandi
emergendo in paesi e in realtà sociali dove la condizione femminile è ancora
problematica, se non drammatica. Un nome su tutti, quello di Sarah
Attar, la judoka saudita prima donna della storia qualificata alle
Olimpiadi per il suo paese. L’eco della standing ovation che ricevette
entrando nella Wembley Arena non si spegnerà tanto presto
nelle orecchie di chi vi assistette.
L’Italia. Storie di sempre, quelle di
ragazzi che per quattro anni lottano e si sacrificano per pochi giorni di
notorietà, in un paese dove gli impianti sportivi latitano, le federazioni
servono ormai da anticamera della politica, la stampa stessa si ricorda di loro
solo per riempire pagine che d’estate sarebbe difficile riempire altrimenti. E
il tutto finisce con un ricevimento al Quirinale, poi di nuovo
l’oblio.
Belle storie comunque,
appassionanti. Il passo d’addio di alcune grandi signore dello sport italiano.
Valentina Vezzali (capace di portare ancora il punto decisivo per l’oro della
squadra di Fioretto femminile) e Josefa Idem, mentre Federica Pellegrini
avrebbe deciso di ritentare la sorte a Rio. Lacrime di gioia di squadre che si
ritrovarono (come la Pallavolo, terza, e la Pallanuoto, seconda), e quelle di
rabbia di altre che si persero (come il Calcio ed il Basket, neanche
qualificate ai rispettivi tornei). Medaglie italiane conquistate all’ultima
freccia (come quella d’oro di Frangilli, Galiazzo
e Nespoli), e pugni inglesi immaginari contro volti italiani
che avevano già l’espressione d’orgoglio per un nuovo trionfo, come quello di
Cammarelle (già oro a Pechino) sconfitto dalla giuria ma non dall’avversario,
l’inglese Anthony Joshua.
Annalisa Minetti medaglia di bronzo alle Paralimpiadi |
28 medaglie complessive, come quelle
conquistate un mese dopo dai colleghi atleti paralimpici sempre a
Londra nelle Olimpiadi di categoria. Un risultato che definire storico é dire
poco, considerato che l’Italia normodotata a Londra si confermò al
nono posto del Medagliere, in un contesto senza più boicottaggi e che aveva
preso a lottare seriamente contro il doping. Lo storico pareggio fu tutto
merito dunque del movimento sportivo paralimpico, salito finalmente in
alto non solo in Italia ma in tutto il mondo, come avrebbe orgogliosamente
rilevato un Oscar Pistorius, l’atleta più veloce senza
gambe, finalmente ammesso dal C.I.O. anche alle Olimpiadi oltre che alle Paralimpiadi,
e non ancora sotto giudizio da parte di ben altro tribunale per le sue note
vicende private.
Quando fu il momento si salutare i Cinque
Cerchi, Sebastian Coe a nome della nazione ospitante poté a
buon diritto dichiarare: When came Great Britain’s time, we did it right.
E gli Who superstiti intonarono una struggente e travolgente
(come sempre) My generation che sembrò un saluto ad un’epoca,
piuttosto che ad un evento o ad una città.
Un bel testimone da passare a Rio
de Janeiro. Con l’intermezzo invernale di Sochi,
prima volta della Russia post-sovietica dopo Mosca 1980, che non ha saputo
mantenersi all’altezza, tra le polemiche per i diritti umani e le accuse di doping
che hanno indotto il C.I.O. a prendere in considerazione per gli imminenti
Giochi brasiliani l’esclusione dell’intera squadra russa, poi forse
scongiurata.
Il pianto di Alex Schwarzer |
Di sicuro starà fermo Alex Schwarzer, nuovamente
positivo ai controlli antidoping. Mentre Oscar Pistorius
sconta a Pretoria una condanna a sei anni di prigione per l’omicidio della
compagna Reeva Steenkamp. Vecchi eroi del passato caduti.
Altri ne cadranno, o semplicemente scopriranno di doversi fare da parte. E’ la
legge dello sport e della vita, quattro anni sono tanti e per bene che ti vada
lasciano comunque il segno, finché alla fine trovi qualcuno che ha più fame,
come una volta l’avevi tu.
Ma la fanfara olimpica suona di nuovo, e
allora tutti si affrettano allo stadio. Questa volta, al Maracanà di
Rio de Janeiro. La curiosità è troppa, di vedere all’opera i nuovi eroi. Di
sentirci una volta di più ragazzi come loro, e come una volta eravamo anche
noi. Come saremo sempre, ogni volta che il braciere di Olimpia verrà riacceso e
la bandiera dei Cinque Cerchi salirà di nuovo sul pennone. Fino alla fine del
tempo.
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