Nel 1928, la staffetta dei Tedofori partì da Olimpia per
portare la fiamma al braciere predisposto a Sankt Moritz, in
Svizzera, dove era predisposta la cerimonia di apertura della seconda edizione
dei Giochi Invernali.
L’edizione estiva era andata ad Amsterdam, capitale di un paese che
notoriamente è sprovvisto di montagne, i Paesi Bassi. Che avevano dovuto
lottare per avere finalmente la soddisfazione ed il prestigio di ospitare le
Olimpiadi quasi altrettanto duramente di quanto avevano fatto in passato per strappare
lembi di terra su cui sopravvivere al Mare del Nord.
Gara di pattinaggio a Saint Moritz, 1928 |
Dall’11 al 19 febbraio dunque la celebre località svizzera consacrata
alle vacanze d’inverno presentò al mondo l’antipasto di quella che sarebbe
stata poi in estate la Nona Olimpiade. Era un programma assai
ridotto quello dei Winter Games di allora. Bob, Pattinaggio,
Hockey su ghiaccio e Combinata nordica (sci di fondo e salto con gli sci). Lo
sci alpino era totalmente escluso. Il medagliere era monopolio dei paesi
scandinavi, con Stati Uniti e Canada a fare da terzi incomodi.
Il 28 luglio venne il momento di Amsterdam. Gli olandesi avevano già
partecipato all’organizzazione parziale dei Giochi del 1920, coadiuvando il
vicino Belgio in fase di ricostruzione post-bellica. Si erano visti preferire Parigi
nel 1924, perché al carismatico barone de Coubertin non si
poteva dire di no. Il 1928 fu infine il loro anno, ma all’appuntamento con la
storia si presentarono con la flemma quasi britannica che li contraddistingue,
a cominciare dalla regina Wilhelmina d’Orange che non intese
rinunciare al suo viaggio in Norvegia per presenziare alla cerimonia
d’apertura, e lasciò l’incombenza al principe consorte Hendrik.
Halina Konopacka (Polonia) prima donna a vincere la medaglia d'oro in atletica |
Fu un’Olimpiade tranquilla, com’era nel carattere degli
organizzatori. Per una comunità internazionale a cavallo tra gli orrori
verificatisi dieci anni prima e quelli che si sarebbero verificati dieci anni
dopo, era probabilmente quanto di meglio potesse offrirsi. La Germania si era
ripresentata ai Giochi nella versione democratica ed apparentemente prospera
della Repubblica di Weimar. Il martedi nero di Wall
Street, che avrebbe travolto le illusioni tedesche nonché quelle del mondo
intero, era di là da venire. Mancava solo la Russia, che sotto la guida di Stalin stava
consolidando il regime comunista e isolazionista.
I flemmatici olandesi presentarono all’opinione pubblica un programma
olimpico finalmente moderno, con le gare concentrate nei quindici giorni
canonici che da allora siamo abituati a vedere. Presentarono anche il primo
esempio di ritardi nell’esecuzione di lavori di allestimento. Al momento in cui
l’ultimo tedoforo proveniente dalla Grecia accese il braciere, il villaggio
olimpico non era terminato. Alcune nazioni dovettero arrangiarsi per la
sistemazione. La squadra italiana alloggiò per tutto il tempo delle gare su un
piroscafo.
Furono le Olimpiadi della consacrazione di alcune leggende. Johnny
Weissmuller bissò i successi di Parigi avviandosi a lanciare il primo
urlo di Tarzan, Paavo Nurmi il finlandese
volante conquistò la nona medaglia d’oro in tre olimpiadi diverse,
vincendo i 10.000 metri.
Equipaggio del "quattro con", medaglia d'oro |
L’Italia concluse soltanto al quinto posto del
medagliere, con 7 medaglie d’oro e 19 complessive, risultato che si dice non
soddisfacesse affatto il Cavalier Benito Mussolini capo del
governo, il quale – uno dei primi uomini politici moderni a comprendere il
significato dello sport i termini di propaganda – dette il via ad una
rivoluzione ai vertici del CONI e in materia di legislazione sullo sport. Nel
calcio, l’Italia che nel decennio successivo avrebbe dominato non si piazzò
male, concludendo terza. Oro e argento andarono rispettivamente al favoloso
Uruguay di Pedrone e Andrade che aveva già
sbancato Parigi quattro anni prima ed all’Argentina di Luisito Monti (poi
naturalizzato e campione del mondo con l’Italia nel 1934), in una significativa
anticipazione di quella che sarebbe stata la finale del primo campionato del
mondo di calcio nel 1930.
Il capitano dell’esercito giapponese Mikio Oda vinse
nel salto triplo la prima medaglia d’oro di un paese asiatico. Furono ben 33
nazioni sulle 46 partecipanti a tornare a casa con almeno una medaglia (un
record che avrebbe resistito per 40 anni), exploit reso possibile peraltro dal
calo di prestazioni degli U.S.A. per i quali Amsterdam fu una delle peggiori
Olimpiadi di sempre, malgrado il primo posto nel medagliere.
Uruguay campione olimpiadi 1928 e poi mondiali 1930 |
Nella cerimonia di chiusura, il mondo si dette appuntamento a Los
Angeles nel 1932. La bandiera a stelle e strisce saliva di nuovo sul pennone
olimpico dopo l’esperienza fallimentare di Saint Louis del 1904. La città
prescelta, ancora ai primi del secolo, era poco più del villaggio di
agricoltori e peones che aveva ispirato la fantasia di Johnston
McCulley nel dar vita al personaggio di El Zorro. Ma Nuestra
Señora de Los Angeles, a cavallo della Grande Guerra, grazie
all’industria petrolifera e a quella cinematografica era
diventata rapidamente una delle capitali del sogno americano. La città che
nel 1932 attendeva gli atleti del resto del mondo contava ormai oltre un
milione di abitanti ed era una delle porte verso la modernità del ventesimo
secolo.
Quello che nessuno poteva sapere, all’atto dello spegnimento del
braciere di Amsterdam, era che il mondo sarebbe stato profondamente differente
al momento di accendere quello di Los Angeles. Il 24 ottobre del 1929 insieme a
Wall Street andarono in pezzi l’illusione del capitalismo di governare insieme
processi economici e dinamiche sociali e quella coltivata dall’umanità
attraverso la Società delle Nazioni di avere ingabbiato per sempre gli istinti
peggiori di uomini e stati e di poterne neutralizzare le conseguenze.
Los Angeles Memorial Coliseum |
Quattro anni dopo, gli Stati Uniti erano quelli della Grande
Depressione, sconvolti dai fallimenti e dalla fame di un numero sempre
crescente di cittadini (con il New Deal di F.D.Roosevelt ancora
di là da venire). La Germania era ancora per poco quella di Weimar, alle
imminenti elezioni - da tenersi in un paese economicamente disastrato che non
ce la faceva più a pagare agli ex Alleati le ingenti riparazioni stabilite
a Versailles nel 1919 e ad assicurare la sopravvivenza a cittadini che
viaggiavano ormai con le proverbiali carriole cariche di inutili marchi – si
sarebbe presentato il Partito Nazionalsocialista di Adolf
Hitler e questa volta la sua prospettiva era di fare il pieno di voti.
L’Asia era in fiamme, con il Giappone che perseguiva il suo destino imperiale a
scapito della Cina che aveva appena visto dissolversi il suo, con gli occhi già
puntati minacciosamente sulle colonie delle potenze europee. L’Europa dal canto
suo vedeva l’insorgere di regimi dittatoriali a macchia d’olio, contro i quali
sembrava che non ci fosse più deterrente.
Gli U.S.A. ce la misero tutta per far dimenticare a se stessi ed al
mondo i propri guai. La costruzione del Los Angeles Memorial Coliseum, The
Old Gray Lady, lasciò in eredità post-olimpica una meraviglia del mondo
moderno, che sarebbe tra l’altro tornata utile nel 1984 quando la fiaccola
sarebbe ritornata in California per la XXIII^ edizione. La tecnologia
statunitense, già avanzata all’epoca, fece bella mostra di sé: impianti
ultramoderni, cronometri elettrici, cineprese speciali sul traguardo,
perfezionamento del fotofinish, calcolo dei centesimi di secondo,
altoparlanti per gli spettatori. A tutto ciò fece da contraltare una insolita
sciatteria e negligenza da parte dei giudici di gara, di cui si lamentarono
molte squadre.
Clint Eastwood e Tsuyoshi Ihara (l'interprete di Takeishi Nishi) sul set di lettere da Ivo Jima |
Il guaio era che il mondo convenuto a Los Angeles aveva meno voglia di
giocare che in passato. Il numero degli atleti presenti era praticamente
dimezzato. Ne beneficiò l’Italia, che finì per piazzarsi al secondo posto del
medagliere dietro gli U.S.A. con 12 medaglie d’oro, un risultato che è stato
migliorato sempre a Los Angeles, ma nel 1984. Il Duce aveva avuto la brillante
intuizione del dilettantismo di stato, che aggirava il divieto di
professionismo. Gli atleti italiani erano tutti dipendenti dello stato
fascista, ed era consentito loro di allenarsi a fondo in deroga a qualsiasi
altro dovere professionale. Tra i successi italiani non ci fu quello nel calcio,
disciplina che nel 1932 non era stata ammessa al programma olimpico (per
rimostranza contro la recente istituzione dei Campionati Mondiali) e che
sarebbe tornata in cartellone nel 1936.
Per il resto, pochissime figure di rilievo. Con il senno di poi, soltanto
una: quel Takeichi Nishi vincitore dell’unica medaglia d’oro
giapponese nell’equitazione della storia. Sarebbe morto nel 1945 nella
disperata difesa dell’arcipelago Ogasarawa, la porta del territorio
nipponico, e Clint Eastwood ne avrebbe fatto poi uno dei
protagonisti del suo Lettere da Ivo Jima.
L’edizione invernale si era disputata sempre in America (decisione per
quanto possibile applicata anche in altre edizioni successive), a Lake
Placid nello Stato di New York. Gli U.S.A. si presero la rivincita
sulla Scandinavia, vincendo il medagliere con sei ori contro i tre della
Norvegia. La pattinatrice norvegese Sonia Hejne fu tuttavia il
personaggio di quella olimpiade, la terza consecutiva da lei dominata nella sua
specialità.
Programma sempre limitato dalla mancanza dello sci alpino, e
dall’assenza di nazioni come l’Italia la cui vocazione allo sport d’inverno era
tutta ancora da scoprire.
Quando fu il momento di ammainare le bandiere e spegnere il braciere,
il mondo si dette appuntamento in Germania, a Berlino. I tedeschi erano in
ritardo di vent’anni rispetto ai loro programmi, poiché avrebbero dovuto
ospitare l’edizione del ’16, mai disputata a causa dello scoppio della Grande
Guerra da loro provocata. La bandiera che scese dal pennone di Los Angeles era
quella tradizionale a tre colori, lasciata in eredità dal Kaiser alla
Repubblica di Weimar. Quella che sarebbe salita su nuovamente a Berlino sarebbe
stata di tutt’altro colore: rossa, e con la croce uncinata in campo bianco.
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