A Innsbruck nel
1976 i Winterspiele, Giochi Invernali, furono teatro dell’ultimo acuto
della Valanga Azzurra. Pierino Gros,
piemontese di Sauze d’Oulx in Val di Susa, l’unico italiano capace di
interrompere il predominio di Gustav Thoeni nel 1973 vincendo
la Coppa del Mondo assoluta di Sci Alpino, gli finì davanti anche nello Slalom
Speciale disputato nella località austriaca, che valse all’Italia l’unica
medaglia d’Oro di quella edizione.
Il podio di Innsbruck, Piero Gros, Gustav Thoeni, Willi Frommelt |
Fu il canto del cigno della gloriosa
squadra azzurra. Nuovi attori si erano affacciati alla ribalta internazionale.
In Discesa il beniamino di casa Franz Klammer, negli Slalom il
fuoriclasse svedese Ingemar Stenmark che avrebbe
spadroneggiato per il resto degli anni Settanta e oltre. Thoeni vinse anche la
Combinata, confermandosi ancora il più versatile degli sciatori
azzurri oltre che il più forte in assoluto, ma quella specialità nel 1976 non
assegnava più medaglie olimpiche, solo piazzamenti valevoli per la Coppa del
Mondo. Che finì per la prima volta nelle mani di Stenmark. Tra le donne, la
tedesca Rosi Mittermaier andò vicina ad uno storico en
plein, vincendo Discesa e Speciale e arrivando a soli 12 centesimi di
secondo dalla terza medaglia d’Oro, in Gigante.
In estate, la fiamma partì da Olimpia per
la ventunesima volta. Direzione Nordamerica. Negli anni Settanta il Canada
era già un’isola felice, in mezzo a quell’Oceano dalle acque burrascose a cui
assomigliava sempre di più il resto del mondo. Spiccava ancor più questa sua
condizione se paragonata a quella del vicino con cui confinava a sud, gli Stati
Uniti d’America che tentavano di riprendersi faticosamente dalla
batosta subita in Vietnam e di far fronte all’offensiva
sovietica che stavano subendo un po’ in tutto il mondo.
Come tutte le isole felici, anche il
Canada si era conquistato questa felicità a caro prezzo, anche se ormai pagato
a distanza nel tempo. Ex colonia francese, era passato dalla metà del
Settecento sotto la Corona britannica, alla quale formalmente ancora
apparteneva come membro del Commonwealth. Fu infatti la Regina
Elisabetta II ad aprire i Giochi della XXI^ Olimpiade
il 17 luglio del 1976 nello Stadio Olimpico di Montreal. O Montréal,
capitale dello Stato del Quebec, la più grande comunità
francofona sopravvissuta alla conquista inglese. In omaggio ai difficili
equilibri interni canadesi, furono due i tedofori che portarono la
fiaccola nello stadio fino al braciere olimpico. E per la seconda volta dopo
Mexico 68 si trattò di donne: la francofona Stephane
Prefontaine e l’anglofona Sandra Henderson.
Tutto sommato, le problematiche relative
ai rapporti tra le due comunità canadesi suscitavano quasi tenerezza rispetto a
quelle ben più a tinte fosche che agitavano il resto del mondo. Montreal 76
avrebbe potuto essere veramente una tregua salutare in un’isola felice come lo
era stata l’antica Olimpia. Lo fu solo in parte, perché quella edizione dette
il via all’Età dei Boicottaggi.
A metà degli anni Settanta la questione
sudafricana era esplosa ormai in tutta la sua complessità e virulenza. Il
simbolo più odioso del razzismo perdurante nel mondo era l’Apartheid
sudafricano, con Nelson Mandela che languiva da più di dieci
anni a Robben Island e con la sua gente confinata nelle
baraccopoli come Soweto da una minoranza bianca che non si
faceva scrupolo ad usare ogni mezzo per perpetuare il proprio potere.
Il volo di Nadia Comaneci, il primo 10,00 della storia |
Il Sudafrica era ormai al bando da
qualsiasi organismo internazionale, meno che da quelli sportivi. Nel 1974 aveva
vinto la Coppa Davis del tennis, primo paese a spezzare il quadripolio
USA, Gran Bretagna, Australia, Francia, grazie ai ritiri di chi doveva
affrontarlo (tutti meno l’Italia, che perse meritatamente sul campo in
semifinale). Nel 1976 il C.I.O. lo dichiarò non ammissibile ai
Giochi canadesi, ma non squalificò gli All Blacks neozelandesi
del Rugby (sport peraltro da tempo fuori dal programma olimpico) che andarono a
giocare in tournée contro gli Springbocks sudafricani. La
decisione pilatesca del C.I.O. provocò l’insurrezione dell’Africa, che disertò
in massa i Giochi, compromettendo il livello tecnico almeno di buona parte
delle discipline dell’Atletica.
Al boicottaggio del Continente Nero si
aggiunse quello di Taipei, o Cina nazionalista con sede a
Formosa. L’isola dove si era rifugiato Chang Kai Shek con il Kuomingtang
superstite alla rivoluzione di Mao Tze Tung era rimasta orfana
del suo leader da un anno ma non aveva deposto le armi nel rivendicare davanti
al mondo la propria esistenza come unica Cina legittimamente riconoscibile. Anche
il Grande Timoniere era alla fine dei suoi giorni, ma il mondo – dopo
l’apertura di qualche anno prima operata da Richard Nixon
verso di lui e verso la marea rossa della Repubblica Popolare Cinese – non se
la sentiva più di escludere un paese dove bene o male abitava un quarto
dell’umanità di allora (ed era un utile contraltare all’U.R.S.S., visti i
pessimi rapporti tra i due compagni). Taipei la prese male, e restò a
casa.
Le Olimpiadi di Montreal furono le prime
in cui il Comitato organizzatore ammise di essere andato incontro ad un
disastro economico. Come sarebbe successo al nostro paese per Italia 90,
la municipalità di Montreal fu costretta a imporre tasse ai propri cittadini
per i successivi 30 anni per coprire il pagamento dei costi della XXI^ Olimpiade.
Edwin Moses dopo l'arrivo a Montreal |
Eppure, dal punto di vista tecnico ed al
netto dell’assenza degli africani, furono grandi Giochi, che presentarono al
mondo grandi figure destinate a rimanere nella storia. Dalla ginnasta rumena Nadia
Comaneci, che incantò tutti con i suoi volteggi e si meritò il primo 10,00
della storia olimpica. Al cubano Alberto Juantorena detto El
caballo, capace di vincere per la prima volta 400 e 800 metri piani. Al finlandese
volante bis Lasse Viren, che bissò i 5.000 e 10.000 di
Monaco. Al francese Guy Drut che tolse i 110 ostacoli agli
U.S.A. per la prima volta dopo 20 anni. Al grande Edwin Moses,
che vinse i 400 ostacoli con la cadenza record di tredici passi costanti tra un
ostacolo e l’altro. Alla saltatrice tedesca Rosemarie Ackermann,
che a Montreal riuscì a tenere dietro di sé (una delle ultime volte) la nostra Sara
Simeoni, con la quale si sarebbe disputata in seguito l’onore del
superamento del muro dei due metri.
Nel nuoto, l’americano John Naber
tentò di emulare Mark Spitz fermandosi a 4 ori e un argento.
Nel basket, gli U.S.A. si ripresero l’oro dopo la storica sconfitta di Monaco
ma persero anche il secondo posto nel Medagliere a vantaggio della Germania
Est. Nei tuffi, Klaus Dibiasi emulò se stesso per la terza
volta vincendo ancora l’oro dalla piattaforma, mentre nel trampolino Giorgio
Cagnotto conquistava l’argento. Fabio Dal Zotto
riportò l’Italia a vincere l’oro nel Fioretto dopo 40 anni. Il medagliere
azzurro di Montreal, uno dei più scadenti della storia, si fermò a questi due
ori.
Il 1° agosto 1976, il mondo si dette
appuntamento a Mosca per il 1980. Un evento storico, la prima Olimpiade in un
paese comunista, dopo che il calcio era andato a giocare gli Europei
in Jugoslavia proprio quell’anno. Un evento che però si prestava a vedersi
compromesso per un nonnulla, perché il mondo nei quattro anni successivi
conobbe una recrudescenza della Guerra Fredda al cui confronto
la Crisi dei Missili di Cuba sembrò ad un certo punto una bazzecola.
La gioia di Sara Simeoni finalmente medaglia d'oro a Mosca |
Il 1979 fu l’annus horribilis
della presidenza Carter. Nel gennaio, l’Iran passò dal
controllo dell’alleato Shah Rezah Pahlevi a quello
dell’Imam Ruhollah Khomeini, fin da subito il
peggiore dei nemici degli U.S.A dopo l’U.R.S.S.. La quale per parte sua, nel
dicembre, attuò la ormai collaudata tecnica dell’aiuto fraterno
invadendo l’Afghanistan a sostegno del locale regime
filocomunista in difficoltà. Era tempo di reagire per gli Stati Uniti, ma in
attesa delle elezioni del novembre 1980 che avrebbero visto il trionfo di Ronald
Reagan, tutto quello che poterono fare nell’immediato fu il
boicottaggio delle Olimpiadi di Mosca.
L’unico confronto sportivo U.S.A. –
U.R.S.S. di quel 1980 fu la leggendaria finale dell’Hockey su Ghiaccio
di Lake Placid il 22 febbraio, dove una squadra di dilettanti
universitari riuscì sul campo amico a togliere ai sovietici una medaglia d’oro
che era loro da quattro edizioni. E’ l’evento sportivo che fu reso celebre dal
film della Disney Miracle, con Kurt Russell
nei panni del coach Herb Brooks. La gara sarebbe rimasta
famosa anche per il drammatico conteggio finale reso nella telecronaca della
rete televisiva ABC: "Undici secondi, vi restano dieci secondi, stanno
contando alla rovescia in questo momento... Morrow passa a Silk, restano cinque
secondi di gioco! Credete nei miracoli? Sì!"
In estate, a Mosca, gli U.S.A. non
c’erano. Dei suoi alleati della N.A.T.O., solo la Germania Ovest seguì il loro
esempio. Gli altri, Italia compresa, scelsero di partecipare pur esecrando
l’invasione dell’Afghanistan, rinunciando a sfilare con la propria bandiera ed
il proprio inno e soprattutto con i propri atleti in condizione di militari.
Anche la Cina Comunista, nel frattempo ammessa ai Giochi, se ne tenne fuori per
protesta contro la politica sovietica. In totale, 65 furono i paesi assenti, 80
quelli a vario titolo partecipanti.
Il 19 luglio 1980 Leonid Breznev
aprì i giochi della XXII^ Olimpiade allo Stadio Lenin
di Mosca. Lo spirito di Olimpia non aveva toccato mai così il fondo come nella
sua prima incarnazione in un paese comunista. Eppure, per quanto menomata e
sconvolta dalla politica, anche quella di Mosca fu un’Olimpiade che si lasciò
dietro una bella galleria di ritratti.
L'arrivo al fotofinish di Pietro Mennea |
Per l’Italia, furono i Giochi della
rinascita, con un ritorno al quinto posto del Medagliere e otto Ori
complessivi. A cominciare da quello di Pietro Mennea, che al
terzo tentativo conquistò l’oro in una drammatica finale dei 200 metri in cui riuscì a
stare avanti allo scozzese Alan Wells per due centesimi di
secondo. Wells aveva vinto i cento metri, così come i connazionali Sebastian
Coe e Steve Owett si erano equamente divisi 800 metri e 1.500.
L’etiope Yfter successe a Viren nella doppietta 5.000 e
10.000.
Nell’Alto, Sara Simeoni trasformò in oro
l’argento di Montreal dopo aver tolto alla Ackermann nel 1978 anche il primato
mondiale con 2,01. Spettacolari anche le vittorie di Maurizio Damilano
in una drammatica 20 km
di Marcia, di Patrizio Oliva nella finale del Pugilato
Superleggeri contro l’atleta di casa Konakbaev, di Ezio Gamba
per la prima volta vincitore azzurro nel Judo. Luciano Giovannetti
cominciò a Mosca l’epopea della Scuola italiana di Tiro Fossa Olimpica. Federico
Roman confermò la bontà di quella di Equitazione. Claudio
Pollio fece l’outsider nella Lotta Libera.
Cesare Rubini e Sandro Gamba a Mosca |
Nel basket, in assenza degli USA sembrava
un discorso tra URSS e Jugoslavia, ma la leggendaria nazionale azzurra di Sandro
Gamba entrò nel mezzo con i suoi Meneghin, Marzorati
& C. eliminando a sorpresa i padroni di casa in semifinale e cedendo agli
jugoslavi di pochi punti in finale.
Eravamo andati a Mosca in tono minore, ne
tornammo entusiasti il 3 agosto 1980, dopo che le autorità sovietiche
consegnarono la bandiera olimpica al C.I.O. e non a quelle statunitensi che
l’avrebbero issata di nuovo quattro anni dopo a Los Angeles. Per quindici
giorni ci eravamo dimenticati quasi che il mondo era stato e adesso tornava ad
essere in guerra. Fredda quanto si vuole, ma sempre guerra.
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