Deborah Compagnoni in azione a Nagano |
A Nagano, nell’isola giapponese di Honshu, nel febbraio
1998 Deborah Compagnoni vinse la sua terza medaglia d’oro in
altrettante Olimpiadi. Ancora in Gigante, come a
Lillehammer. Niente SuperG, a differenza di Albertville, ma in
compenso in Speciale finì a soli sei centesimi da Hilde Gerg. Un
bellissimo argento a conclusione di una bellissima carriera, per quanto
sfortunata. Furono, insieme all’oro di Huber e Tartaglia nel
Bob a due, le ultime medaglie olimpiche dell’Italia nel ventesimo
secolo. Bjorn Daelie vendicò Lillehammer portando a dodici le
sue medaglie complessive. Herminator Hermann Maier per
poco non si ammazzò in Discesa Libera, per poi andare a vincere SuperG e Gigante in
scioltezza.
Due anni dopo, il braciere olimpico doveva accendersi nuovamente nel
Pacifico. Le Olimpiadi moderne entrarono nel loro terzo secolo di vita a
Sidney, in Australia. I Giochi tornavano nel Quinto Continente per la seconda
volta dopo Melbourne, nel 1956.
La scelta del C.I.O. era suggestiva. Non soltanto perché, come ha
raccontato il compianto professor Umberto Eco in uno dei suoi
romanzi più fortunati, da quelle parti il sole sorge un giorno prima. E in
quell’anno Duemila era lì che cominciavano – prima che altrove, appunto - un
nuovo secolo, un nuovo millennio, e la fragile illusione che questa sarebbe
stata un’era di pace e di prosperità. Sembrava giusto che l’evento sportivo
internazionale dai connotati simbolici più potenti ed evocativi andasse in scena
laggiù, lungo il meridiano zero, dove si festeggia per primo il Capodanno.
L’ultimo dei mondi nuovi scoperti dall’uomo. Down Under, il
continente australiano, la terra più a sud del globo.
Il porto di Sidney durante la cerimonia d'apertura |
In realtà, la scelta del C.I.O. era motivata dalla necessità di mandare
in scena un’edizione esente da polemiche e dove tutto funzionasse alla
perfezione. Il precedente di Melbourne era incoraggiante. Il paese dei canguri
si sarebbe rivelato da questo punto di vista un’ottima scelta, tanto da far
dire al segretario dimissionario del C.I.O. Juan Antonio
Samaranch (che lasciò la carica proprio dopo Sidney 2000) che quelle
australiane erano state le migliori Olimpiadi di sempre.
Per la verità, anche in questo caso – come per il precedente tra Atene
ed Atlanta – si era trattato di una scelta spinosa, foriera di polemiche e di
scontentezze. Sidney aveva superato di stretta misura la forte candidatura di
Pechino. Il governo cinese aveva deciso di aprire la Repubblica Popolare al
mondo moderno. Dopo aver recuperato Hong Kong dalla Gran Bretagna, dopo aver
lanciato la sua campagna per il capitalismo di stato (crescete ed
arricchitevi), la corsa alla candidatura olimpica era un altro veicolo
pubblicitario del nuovo corso adottato dall’ultima grande potenza nominalmente
comunista.
A Pechino, la notizia della sconfitta nella nomination olimpica sembrò
provocare disordini. Gli studenti furono trattenuti a stento dal
manifestare pesantemente di fronte all’ambasciata americana. I servizi segreti
americani riportarono l’intenzione del governo cinese, per effetto di quella
sconfitta diplomatica, di riprendere i test nucleari in violazione della
moratoria internazionale. Pare inoltre che il boicottaggio cinese della XXVII^
Olimpiade fosse scongiurato per poco.
Alla fine, il mondo fu ben felice di ritrovarsi nella città più
moderna e importante di quella grande isola del giorno prima che
avrebbe accompagnato le Olimpiadi nel nuovo secolo, rimandando la questione
pechinese a data da destinarsi assieme a quella ateniese. La New York
australiana dette il benvenuto a ben 199 nazioni, segno della ormai
larghissima dimensione che aveva raggiunto il movimento olimpico a livello
planetario. La cifra avrebbe potuto essere tonda se l’Afghanistan non fosse
stato bandito dai Giochi a causa – tra le altre cose - della politica
discriminatoria verso le donne adottata dal governo dei Talebani.
Il 15 settembre 2000 il governatore William Deane dichiarò aperti i
Giochi della XXVII^ Olimpiade. L’anziana regina Elisabetta II non
ripeté questa volta il viaggio fatto in Canada nel 1976 in ottemperanza delle
sue prerogative reali in quanto sovrana di quel Commonwealth di
cui l’Australia faceva parte. Ma una regina fu comunque presente alla
inaugurazione di Olimpia.
Cathy Freeman era un’atleta australiana tra le più promettenti.
Era di origine aborigena, cioè appartenente a quella etnia verso
cui il subcontinente in cui è nata sente di dover pagare un debito storico e
morale pari a quello che gli Stati Uniti d’America hanno con gli Indiani. Fu
lei a portare la fiaccola nell’ANZ Stadium di Sidney e ad accendere
il braciere come ultimo tedoforo. Fu lei, con la sua successiva
vittoria nei 400 metri femminili, a passare alla storia di quelle Olimpiadi
come il miglior spot contro il razzismo.
Non fu l’unico grande personaggio, dentro e fuori il campo di gara, di
quelle due settimane australiane. Sidney 2000 portò all’Italia le prime
storiche medaglie d’oro nel Nuoto. Domenico Fioravanti nei
100 e 200 rana e Massimiliano Rosolino nei 200 misti
cancellarono uno zero in quella casella che durava da troppo tempo per un paese
circondato dall’acqua per tre quarti dei suoi confini. Paola Pezzo ripeté
il successo di Atlanta nella Mountain Bike, così come Antonella
Bellutti nel Ciclismo, Antonio Rossi nel K2 stavolta
con Beniamino Bonomi, Josefa Idem arrivò all’oro
nel K1 femminile, Agostino Abbagnale vinse con il Quattro
di coppia nel Canottaggio prolungando la leggenda di famiglia, Giuseppe
Maddaloni nel Judo e Antonella Sensini nella Vela
Classe Mistral furono le piacevoli sorprese. La conferma,
grandissima, venne dalla nostra scuola di Scherma. Il Fioretto femminile dove Valentina
Vezzali aveva raccolto il testimone da Giovanna Trillini,
e la Spada a Squadre maschile. Ancora argento Fiona May nel
Lungo, e tanti altri che non possiamo ricordare per ragioni di spazio. Bene la
Pallavolo con la medaglia di bronzo dietro Russia e Jugoslavia. Malino Basket e
Pallanuoto, relegate a finali di consolazione.
Cathy Freeman |
Furono le Olimpiadi dell’addio di Michael Johnson, con
l’ultima medaglia d’oro nei 400. Maurice Greene vinse i 100 e
la staffetta 4x100, preludio a una carriera che sembrava brillante e durante la
quale invece avrebbe lottato più che altro con la sfortuna. Marion
Jones, tra le donne, sembrava destinata ad analoghi orizzonti di gloria. Le
sue cinque medaglie di Sidney (tre d’oro: 100, 200 e staffetta 4x400; due di
bronzo: Lungo e staffetta 4x100) sarebbero state però in seguito revocate dal
C.I.O. a seguito della sua ammissione di aver fatto uso di doping. La carriera
della Jones si concluse nel 2008 con l’affidamento al servizio sociale disposto
dal tribunale penale americano sempre per la stessa vicenda.
Gli Stati Uniti, comunque, vinsero il Medagliere anche senza l’apporto
della Jones, davanti a Russia e Cina. Le superpotenze sportive si erano
schierate ai blocchi di partenza del ventunesimo secolo. Quarta l’Australia,
sesta l’Italia che aveva ripetuto l’ottimo risultato di Atlanta con 13 ori e 34
medaglie complessive.
Nel 2002, l’intermezzo invernale a Salt Lake City confermò che
l’Italia aveva ritrovato feeling con gli sport della neve e del ghiaccio. Stefania
Belmondo ripeté l’impresa di Albertville a dieci anni di distanza,
oro, argento e bronzo. Gabriella Paruzzi riuscì a starle
davanti nella 30 km di Fondo, vincendo l’oro. Daniela Ceccarelli non
fece rimpiangere Deborah compagnoni vincendo il SuperG, mentre nello Slittino
singolo Armin Zoeggler cominciò la sua leggendaria carriera.
13 medaglie complessive azzurre, un’ottima annata.
Due anni dopo, le Olimpiadi tornavano a casa. Il C.I.O. aveva pagato
il suo debito principale con l’opinione pubblica internazionale, assegnando
alla Grecia la XXVIII^ Olimpiade. Nella votazione finale, Atene
batté la forte candidatura di Roma, ma nessuno se la sentì di recriminare più
di tanto. Il torto del 1996 perpetrato dalla Coca Cola ai danni di Olimpia era
ancora ben presente nella mente di tutti.
La fiaccola tornava al Pireo, il percorso più breve per i tedofori,
sulle strade di casa. Ma quanta differenza con la volta precedente, 108 anni
prima. Allo Stadio Panathinaikos si erano ritrovate nel 1896
14 nazioni rappresentate da 241 atleti, tutti maschi e tutti dilettanti.
Stavolta, nel nuovo Stadio Olimpico dedicato a Spiridion Louis (lo
storico vincitore della prima maratona moderna) a Maroussi erano
presenti 201 nazioni (praticamente tutte quelle che avevano un comitato
olimpico nazionale) con 10.625 atleti, dei quali oltre il 40% erano donne e
tutti più o meno professionisti dichiarati.
Massimiliano Rosolino |
La Cerimonia d’apertura allo Spyros Louis fu
sapientemente evocativa delle ragioni del perché il mondo si era ritrovato lì,
il 13 agosto 2004. La Grecia celebrò degnamente se stessa, la nascita e la
diffusione di quella civiltà che a partire dall’Impero Romano aveva trasmesso
al resto del mondo. Nello stadio era stato ricavato un enorme bacino idrico,
simboleggiante quel Mar Egeo su cui erano salpate le navi greche per diffondere
la fiaccola della civiltà presso i feros victores sulle sponde
del Mediterraneo prima e del resto dei mari poi.
Tra i paesi di nuova accessione, Timor Est sopravvissuta ad una
spaventosa guerra civile, l’Afghanistan finalmente liberato dalla dittatura
sanguinosa dei Talebani, la Serbia riammessa (come Serbia e non più
come Jugoslavia, essendo il Montenegro diventato indipendente) dopo la guerra
del 1999 che aveva concluso la lunga tragedia balcanica.
La partecipazione italiana ai Giochi greci fu ottima, sul trend delle
ultime Olimpiadi. 32 medaglie con 10 ori, e la consacrazione di vecchi e nuovi
personaggi. Igor Cassina si impose al mondo nella Ginnastica
Artistica alla Sbarra, brevettando il celebre movimento Cassina che
molti avrebbero poi cercato di imitare. Paolo Bettini riportò
in auge il Ciclismo toscano vincendo la corsa in linea su strada. Andrea
Benelli sparò per l’oro nel Tiro a Segno Skeet. Ivano
Brugnetti si laureò degno erede di Maurizio Damilano nella
20 km di Marcia. Marco Galiazzo, Aldo Montano e
Valentina Vezzali tirarono di Scherma da par loro e nella tradizione della
scuola italiana, che si confermò anche nel Fioretto maschile a squadre.
Sempre in tema di squadre, la Pallanuoto femminile vinse il primo oro della sua
storia. Altrettanto arrivarono ad un passo dal fare la squadra maschile di
Basket, che rinverdì l’argento di Mosca, e quella di Pallavolo, che rinverdì
quello di Atlanta. Argenti a conferma di Josefa Idem, Rossi e Bonomi, Giovanna
Trillini e tanti altri.
Tra gli eventi epocali di quei Giochi, la sconfitta della staffetta
4x100 U.S.A. di Greene e Gatlin (vincitore dei 100) per mano
di quella della Gran Bretagna e la prima vittoria di un cinese in Atletica, Liu
Xiang nei 110 ostacoli. Nel Calcio, prima vittoria e prima medaglia
d’oro assoluta nella storia olimpica per l’Argentina, con l’Italia al terzo
posto. Tra le donne, vittoria degli U.S.A. a conferma della bontà della scuola
del Women’s Soccer. Il secondo oro olimpico argentino arrivò a
sorpresa dal Basket, dove i biancocelesti superarono nientemeno che i favoriti gringos nordamericani,
per poi battere in finale i nostri Pozzecco, Myers &
C.
Nel nuoto, si affacciò al medagliere olimpico con il suo primo argento
una campionessa che avrebbe fatto in seguito la storia di questo sport. Federica
Pellegrini arrivò seconda nei 200 stile libero dopo aver condotto
quasi interamente la gara e aver subito nell’ultima frazione il recupero della
rumena Camelia Potec, che le finì davanti per soli 19 centesimi. La
nostra portacolori a Rio2016 aveva iniziato così una carriera
che ancora non vede la fine.
Tutto questo era molto, per un’Italia che aveva nobilitato
un’Olimpiade storica ma senza grandi acuti. Era molto, ma non era tutto.
Restava l’ultima gara. Quella che per tradizione concludeva il programma
olimpico, e che quella volta si sarebbe corsa sul tracciato originario, quello
su cui Filippide aveva corso a perdifiato per portare al senato
ateniese la notizia della vittoria a Maratona.
Stefano Baldini come Filippide |
Il 29 agosto la XXVIII^ Olimpiade aspettava dunque la maratona per
chiudere i Giochi, spegnere il braciere e consegnare la bandiera dei Cinque
Cerchi alla città che l’avrebbe riacceso nel 2008. Era la maratona più
prestigiosa di sempre, quella che – a vincerla – avrebbe avuto per sempre un
gusto ed un significato particolare nella memoria. Quando il brasiliano Vanderlei
De Lima al 36° km subì un infortunio a causa di un tifoso che lo mise
fuori gara per la vittoria mentre era ancora in testa, dietro rimasero un
americano, Mebrahtom Keflezighi, e un italiano, Stefano
Baldini da Castelnovo di Sotto (RE), undicesimo di undici fratelli,
con la passione per la maratona di cui era già recordman
italiano.
Fu lui ad entrare nello stadio Spyros Louis nella
posizione che tutti sognavano. Per primo, con l’americano staccato di 36
secondi ed il brasiliano di un minuto e mezzo. 2 ore, 10 minuti e 55 secondi
per ripetere le imprese di Flippide, Dorando Pietri e Gelindo
Bordin. Ancora una volta, toccava all’Italia togliersi all’ultimo tuffo la
soddisfazione più grande.
Nessun commento:
Posta un commento