Si può.
Organizzare un evento sportivo internazionale come una Olimpiade e non
soccombere sotto i debiti, gli sprechi, le corruzioni grandi e piccole. Nel
1999, quando ottenne la nomination ad ospitare i Giochi
Invernali del 2006, l’Italia era ancora sotto shock per l’eredità
pesante – economicamente parlando, ma non solo – di Italia 90.
Neanche a metà del percorso di autotassazione necessario ad ammortizzare le
ingenti voci di bilancio passive, con una serie di cattedrali nel deserto ed
infrastrutture non terminate o non servibili da far paura.
Il mondiale italiano del 90 è rimasto
come paradigma di tutto ciò che non si deve fare organizzando una simile kermesse
sportiva. I precedenti di Cortina 1956 e di Roma 1960
erano così lontani da raffigurare e riferirsi a un altro mondo, un’altra vita. Torino
2006 è rimasta invece come il paradigma di tutto ciò che si può
e si deve fare, per continuare a dare vita al sogno olimpico (e a
qualunque sogno di segno positivo) nella nostra società contemporanea diventata
così complessa.
Con 3, 5 miliardi di Euro di spesa
complessiva, la Città di Torino dotò prima le Olimpiadi e poi se stessa ed il
proprio circondario alpino di strutture moderne, dallo Stadio Comunale
restaurato come Stadio Olimpico al Palasport, al Palazzo del Ghiaccio in cui
ebbero sede le prove indoor dal 10 al 19 febbraio 2006. Fino all’ammodernamento
tutti gli impianti delle località sciistiche circostanti, come Pragelato, Sauze
d’Oulz, Pinerolo, Torre Pellice, Sestriere, Bardonecchia e Cesana di Susa. Con
la ciliegina sulla torta del primo tratto della metropolitana cittadina che il
capoluogo piemontese aspettava da almeno settant’anni.
Torino – e dietro di lei tutta la nazione
italiana ancora non devastata dalla successiva crisi epocale – riuscì a
dimostrare che il modello Lillehammer (Giochi da organizzare in centri
abitati di non più di 20.000 abitanti) era superato, e che le grandi città se
oculatamente amministrate potevano riuscire in inverno là dove riuscivano in
estate, se prossime a località sciistiche di prestigio. Dopo Torino, sarebbe
venuta Vancouver, poi Sochi, in attesa del turno di Pechino.
Il mondo cambia, e a detta del C.I.O. ha cominciato a farlo –
sulla neve – proprio a Torino, che organizzò nel 2006 i Giochi Invernali
migliori di sempre.
La XX^ Olimpiade d’Inverno fu aperta da
una tedofora d’eccezione, la leggendaria Stefania Belmondo.
Il braciere da lei acceso, disegnato appositamente da Pininfarina
era il più alto della storia olimpica, con i suoi 57 metri.
Per la prima volta, anche la Bandiera
Olimpica fece il suo ingresso nello Stadio portata solo da donne, dai
nomi eccellenti come Sophia Loren, Isabel Allende,
Susan Sarandon, Nawal El Moutawakel (la prima
donna musulmana medagliata d’oro in Atletica), Wangari Maathai
(la Premio Nobel ambientalista keniota poi scomparsa nel 2011), Manuela
Di Centa, Maria de Lourdes Mutola (la mezzofondista
mozambicana medaglia d’oro a Sidney) e Somaly Mam (l’avvocatessa
cambogiana impegnata contro il turismo sessuale e la tratta delle bambine nel
sud-est asiatico).
A Torino erano presenti 80 paesi,
praticamente tutti quelli che avevano Federazioni Sportive Invernali affiliate
ai rispettivi Comitati Olimpici nazionali. Non fu l’unico record extrasportivo
dell’Olimpiade 2006. Per effetto della seria ed intensa lotta intrapresa in
quegli anni dal C.I.O. contro il doping, il frutto raccolto in
Piemonte fu che di tutti i controlli effettuati dopo le gare un solo caso
risultò positivo: quello della russa Olga Medvedceva medaglia
d’argento (poi revocata) nel Biathlon.
Davanti a tanto splendore organizzativo,
non potevano mancare i risultati sportivi di prestigio. Per la squadra di casa,
furono Olimpiadi epiche, nel bene e nel male. Armin Zoeggler
continuò la sua striscia leggendaria, aggiungendo al bronzo di Lillehammer,
all’argento di Nagano ed all’oro di Salt Lake City quello vinto a Cesana Pariol
in Val di Susa. Enrico Fabris vinse l’oro nel pattinaggio di
velocità sulla distanza dei 1.500
metri e si ripeté con un bronzo nei 5.000, per poi dare
un contributo decisivo all’oro nell’inseguimento a squadre (introdotto nel
programma per la prima volta) a fianco di Matteo Anesi, Stefano
Donagrandi e Ippolito Sanfratello.
Stefania Belmondo |
Giorgio Di Centa, Fulvio
Valbusa, Pietro Piller Cottrer e Cristian
Zorzi riportarono lo sci di fondo azzurro indietro di dodici anni,
ripetendo l’impresa di Lillehammer di Fauner & soci. Ma
per il fratello di Manuela, c’era un altro appuntamento con la storia in
attesa. Le ultime Olimpiadi, ad Atene due anni prima, si erano chiuse con un
trionfo italiano proprio nell’ultima gara, la più prestigiosa del programma,
tanto più perché quella volta si correva sul tracciato originario di Filippide.
Stefano Baldini era entrato nella storia arrivando primo ad
Atene. Nei Giochi Invernali, la 50
km di Fondo a tecnica libera
aveva lo stesso prestigio e la stessa collocazione della maratona
in quelli estivi. E Giorgio Di Centa non volle essere da meno di Baldini,
arrivando primo sul traguardo di Pragelato per ritrovarsi
praticamente tra le braccia della sorella Manuela, a cui il Comitato
organizzatore aveva affidato quel giorno l’onore e l’onere della premiazione.
Carolina Kostner portacolori italiana |
A contraltare di tanta gioia, ci fu la
tristezza di Carolina Kostner, predestinata allora promessa
del nostro pattinaggio artistico che era attesa sul podio del Palavela
di Torino, ed alla quale invece l’emozione giocò un brutto scherzo relegandola
soltanto al nono posto. Altrettanto successe a Barbara Fusar Poli
e Maurizio Margaglio, il cui sogno dorato si infranse su una
caduta rovinosa nell’ultimo esercizio che trasformò una sicura medaglia in un
sesto posto. Anche la coppia cinese Han e Dao Zhang ebbe la stessa sorte,
rialzandosi però con una determinazione ed una rabbia agonistica tali che le
consentì di recuperare fino al secondo posto.
Furono le Olimpiadi in cui il Curling
ebbe la sua definitiva consacrazione tra le discipline olimpiche. L’austriaco Benjamin
Raich ripeté l’accoppiata Slalom Gigante – Speciale riuscita fino a
quel momento soltanto ad Ingemar Stenmark ed Alberto
Tomba. Kietil Andre Aamodt, vincendo il Supergigante,
mise in fila il quarto oro olimpico quattordici anni dopo il primo di
Albertville e quattro dopo i due di Salt Lake City, in SuperG e Combinata. La
bolzanina Gerda Weissensteiger diventa la prima donna a
vincere medaglie in due discipline diverse, bronzo nel Bob a 2 con Jennifer
Isacco dodici anni dopo l’oro in slittino di Lillehammer.
Luciano Pavarotti |
Furono le Olimpiadi del passo d’addio del
maestro Luciano Pavarotti, che impreziosì con la sua voce
all’ultima esibizione pubblica la Cerimonia d’Apertura. Così come Andrea
Bocelli, Elisa, Ricky Martin fecero
altrettanto in quella di Chiusura, insieme alla canadese Avril Lavigne
che rappresentò il paese che avrebbe raccolto la bandiera olimpica dall’Italia
e da Torino. La bandiera dei Cinque Cerchi si arrotolava per essere dispiegata
nuovamente a Vancouver nel 2010.
La nazione italiana, grazie a quella città
che era stata una delle sue capitali storiche, aveva dato al mondo la misura di
cosa si può fare quando tutte le energie sane di un paese vengono incanalate in
un percorso positivo. Diversamente da quanto era successo per Italia 90,
restavano alla popolazione ed al territorio strutture efficienti, conti da
pagare non esorbitanti e soprattutto non destinati alle tasche sbagliate, ed un
cumulo di sensazioni positive come viatico per il futuro quantomeno immediato.
Carla Bruni consegna la bandiera italiana ad un Carabiniere |
Nessuno poteva immaginare che, in un
ambito più generale, si trattava invece di un canto del cigno. Che da
quell’esperienza non avrebbe tratto purtroppo nuovo impulso un boom
economico come era successo a Roma nel 1960. Ma subito dopo avrebbe preso il
via una crisi, nazionale e mondiale, da cui non siamo ancora venuti fuori. Il modello
Torino comunque resta lì, in attesa di un mondo che sia capace di
riprenderlo e rimetterlo in pratica.
Il braciere olimpico di Pininfarina |
Piazza San Carlo in festa |
10 febbraio 2006 Stadio Olimpico di Torino |
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