Lo spirito di
Olimpia nella sua concezione più pura (e per forza di cose più ingenua) non era
sopravvissuto di un solo minuto alla presidenza del C.I.O. di Pierre
de Coubertin. Una volta che il barone, dopo le trionfali olimpiadi
parigine del 1924, aveva ceduto il testimone al suo successore il belga Henri
de Baillet-Latour e si era ritirato a vita privata, il mondo moderno
aveva fatto irruzione nel santuario di Olimpia spazzandone via mitologie ed
ipocrisie.
Nel 1928 ad
Amsterdam, la Coca Cola aveva fatto la sua prima comparsa come
sponsor olimpico. La nuova bevanda magica che era sulla strada di diventare il
nettare degli dei del ventesimo secolo aveva intrapreso anche la strada del
condizionamento pesante dei Giochi Olimpici sponsorizzati, come si sarebbe
visto più avanti. Nel 1932,
a Los Angeles, le nuove tecnologie sviluppate dalle
ditte americane ed europee si erano in un batter d’occhio rese indispensabili
allo svolgimento delle gare, apparendo come il deus ex machina che
avrebbe posto fine a errori arbitrali e reclami, malgrado quella
paradossalmente risultasse poi essere l’edizione in cui se ne erano verificati
di più.
Ma le
contaminazioni peggiori allo spirito dei Giochi dovevano ancora arrivare. I
tempi cambiavano velocemente, nel secolo del boom tecnologico. Nel bene e nel
male. A Los Angeles l’arrivederci era stato dato a Berlino nel 1936, con gli
occhi fissi sulla bandiera di Weimar che veniva ammainata dal
pennone olimpico. Quattro anni dopo, la Germania avrebbe accolto il mondo sotto
il braciere acceso di Olimpia issando su ben altro vessillo.
Nel gennaio del
1933 il Nationalsozialistische Deutsche Arbeiterpartei aveva
vinto le elezioni politiche tedesche, tenutesi in condizioni drammatiche a
causa di una crisi economica spaventosa. Al presidente della repubblica Paul
von Hindenburg, eroe della Grande Guerra, non era rimasto altro che
conferire l’incarico di Cancelliere del Reich (il Secondo,
quello di Weimar, dopo il Primo che era stato quello di Bismarck
e del Kaiser) al segretario di quel partito, l’ex caporale
dell’esercito austro-ungarico Adolf Hitler.
Adolf Hitler con Leni Riefenstahl |
Il programma di
Hitler e della sua formazione politica (e paramilitare) era molto semplice, e
contenuto in un libro che lo stesso Hitler aveva pubblicato nel 1923, il Mein
Kampf, completamente ignorato all’epoca ma che adesso tutti si
buttarono a leggere. Chi con preoccupazione crescente ma tardiva, chi con
entusiasmo.
Anzitutto, la
messa in discussione del Trattato di Versailles, con il
recupero alla Germania del suo ruolo predominante in Europa e nel mondo. La
riduzione dell’Europa dell’est e del mondo slavo (compresa soprattutto la
patria del bolscevismo, l’URSS) a lebensraum germanico, uno
spazio di approvvigionamento di risorse a costo zero e di sfruttamento degli untermenschen,
i popoli e le razze inferiori. Eliminazione di tutte le razze che in qualche
modo ostacolavano il destino imperiale della Germania, non solo gli slavi ma
anche e soprattutto gli Ebrei, visti come accaparratori di ricchezze e
complottisti contro la razza ariana superiore.
Non le mandava a
dire, Hitler, e nei tre anni che intercorsero dalla sua presa di potere
alla cerimonia di apertura delle Olimpiadi non fece mistero delle sue
intenzioni di attuare a spron battuto il suo programma. Un mondo occidentale
preoccupatissimo, che stava assistendo al riarmo tedesco in spregio ai
trattati, alle persecuzioni razziali ed alle minacce ai paesi circostanti
(appena temperate dalla prospettiva che il Reich che aveva preso il nome di
Terzo potesse costituire un baluardo contro il pericolo comunista), chiese che
ad essa fosse tolta l’organizzazione dei Giochi che aveva ottenuto vent’anni
dopo quelli mancati (per sua colpa) nel 1916.
Lo stesso Fuhrer,
come ormai Hitler aveva ottenuto di farsi chiamare dal suo popolo sempre più
entusiasta dei suoi successi, era inizialmente restio ad impegnare se stesso e
la nazione in una manifestazione in cui oscuramente sentiva di avere più da
perdere che da guadagnare, in termini di immagine, presso l’opinione pubblica
mondiale. Portare il mondo – e soprattutto la stampa libera – a Berlino, poteva
essere pregiudizievole per un regime che andava per le spicce a riorganizzare
un temibile esercito, la Wehrmacht, e a liberarsi degli oppositori
interni.
Adolf Hitler allo Stadio Olimpico di Berlino |
Fu il suo
Ministro della Propaganda a fargli cambiare idea. Joseph Goebbels,
nazista convinto della prima ora, era una mente a suo modo raffinatissima, più
ancora dello stesso Hitler. Fu uno dei primi uomini politici a capire,
sull’esempio di quel Mussolini che in Italia aveva inventato
lo Sport di Stato e stava cominciando a mietere successi di prestigio, il
valore propagandistico delle manifestazioni sportive. Una medaglia d’oro
avrebbe esaltato la Razza Ariana assai più di centomila parate
militari sotto la Porta di Brandenburgo. La mitologia di Olimpia, sotto certi
punti di vista, sembrava fatta per combaciare o innestarsi alla perfezione
sull’ideologia nazista, che riciclava miti appunto ariani, cioè provenienti da
quegli altipiani dell’Asia centrale da cui erano arrivati gli indoeuropei
originari, mescolandoli con quelli vichinghi rappresentati dalla musica di Wagner
e dalla filosofia di Nietzsche, nonché con quelli nordeuropei
che facevano capo alla leggenda dell’Ultima Thule, la terra degli Dei
del Walhalla, l’Olimpo degli Ariani.
Le Olimpiadi a
Berlino erano un insperato regalo che il mondo faceva alla propaganda nazista.
Lo capiva Goebbels, lo capiva Hitler e lo capivano anche quanti, nel mondo
occidentale, cominciavano a stancarsi della politica di appeasement
che i governi di Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti avevano adottato nei
confronti del Reich nazista. Poiché però il C.I.O. era in gran parte
espressione di questi governi, non accolse la richiesta pervenuta da più parti
di spostamento di sede.
Mentre de
Coubertin si spegneva lentamente nel suo ultimo ritiro di Ginevra, dopo la
bandiera della Coca Cola che si sovrapponeva a quella dei Cinque Cerchi gli
toccò dunque assistere alla bandiera rossa con la svastica in campo bianco che
saliva sul pennone più alto dello Stadio Olimpico di Berlino, mentre 120.000
persone festanti gridavano a gran voce Heil Hitler!
Le Olimpiadi
naziste furono un successo da un punto di vista organizzativo. La Germania
dette il meglio di sé con la proverbiale efficienza in materia. Il mondo ebbe
un’immagine del Reich tutto sommato presentabile, accattivante. Dal 1° al 15
agosto in Germania i cristalli non andarono in frantumi, gli ebrei non furono
picchiati, i giornalisti videro circolare negli impianti sportivi e fuori una
popolazione felice della propria esistenza e del proprio governo, dopo gli anni
difficili di Weimar.
Ovviamente,
l’oro non luccicava per chi non si lasciava abbindolare. Le voci di
persecuzioni e di minacce continuavano. Hitler aveva assicurato tra l’altro il
sostegno a Franco nella guerra civile spagnola appena
cominciata, con l’evidente intento di testare la sua macchina bellica. La
Spagna, dove ancora per poco vigeva la legalità del governo del Fronte
Popolare, fu l’unico paese (oltre alla ormai recidiva Unione Sovietica) a
boicottare i Giochi di Berlino, et pour cause. Anche gli U.S.A. furono
sull’orlo del boicottaggio. Il presidente Roosevelt fu a lungo
incerto se mandare o meno la squadra a stelle e strisce. La relazione
dell’osservatore Avery Brundage, ultraconservatore e razzista, lo convinse per
il sì. Con il senno di poi, fu un bene.
Jesse Owens con Lutz Long |
James
Cleveland Owens detto Jesse fu di gran lunga il personaggio
più carismatico e l’atleta più importante in gara nella Undicesima Olimpiade, e
uno dei più grandi di sempre. Il suo nome cambiò nel Figlio del Vento,
con cui fu conosciuto dopo aver vinto 100, 200, staffetta 4x100 e salto in
lungo battendo gli atleti ariani come Lutz Long (che sarebbe
peraltro diventato suo amico) alla presenza del Fuhrer. E Figlio
del vento sarebbe rimasto fino al 1984, quando quattro anni dopo la sua
morte Carl Lewis sarebbe riuscito ad eguagliare i suoi quattro
successi, ereditando anche il suo soprannome.
Narra la
leggenda che il Fuhrer si rifiutò di stringere la mano all’atleta di
colore che aveva smentito così clamorosamente i suoi pregiudizi razziali. Owens
si sarebbe in seguito lamentato che neanche il presidente Roosewelt lo aveva
fatto, mancando di trovare il tempo per ricevere alla Casa Bianca l’atleta che
aveva dato così tanto prestigio al suo paese, vincendo ben più che gare olimpiche
di prestigio in quel frangente.
Ondina Valla |
Furono le
Olimpiadi di Trebisonda Valla, detta Ondina, la
ventenne bolognese che fu la prima donna italiana di sempre a vincere una
medaglia d’oro olimpica, per la precisione negli 80 metri a ostacoli.
L’Italia colse anche il prestigioso successo nel torneo calcistico, riammesso
al programma dei Giochi dopo la pausa di los Angeles. Nella squadra azzurra
allenata da Vittorio Pozzo, il tecnico campione del mondo del
1934, non c’erano i mundiales di Roma, ma i semidilettanti
universitari guidati da Annibale Frossi, l’uomo che giocava
con gli occhiali, non li fecero rimpiangere, battendo 2-1 in finale la forte Austria.
Annibale Frossi nella finale di Berlino |
L’Italia chiuse
al quarto posto del medagliere con 8 ori e 22 medaglie complessive. La Germania
riuscì a sopravanzare gli U.S.A. al primo posto, 33 ori a 24. Il dilettantismo
di stato aveva reso a Hitler il risultato sperato, grazie anche
all’introduzione anche di sport che erano poco praticati in Nordamerica, come
(incredibilmente) il canottaggio. Nel basket, la squadra americana riuscì a
prevalere in finale su quella canadese con l’incredibile punteggio di 19-8.
Pare che si giocasse all’aperto, su un campo di terra battuta che grazie alla
pioggia battente diventò presto fangoso.
Furono le
Olimpiadi di Helene Bertha Amalie Riefenstahl detta Leni.
Senza di lei, le intenzioni di sfruttamento propagandistico di Hitler e
Goebbels si sarebbero tradotte in nulla. Fotografa e regista cinematografica di
successo, più che sostenitrice del regime nazista Leni era legata da
amicizia personale e reciproca stima con Adolf Hitler. Era entusiasta più che
altro dell'estetica nazista, che contribuì a sviluppare e a cui diede
espressione visiva come nessun altro. Nazista osservante, almeno ufficialmente,
non lo fu mai. Anzi, i contrasti con alcuni gerarchi nazisti, soprattutto con
il ministro della propaganda Goebbels , la spinsero a una progressiva autonomia
dal partito, a cui non fu peraltro mai iscritta.
Con Il
trionfo della volontà , girato in occasione di una delle adunate di
Norimberga, aveva glorificato la figura del Führer, nuovo messia del
popolo tedesco. La sua innovativa tecnica di regia, che poteva peraltro
disporre della quasi totalità degli operatori cinematografici tedeschi e si
avvaleva di teleobiettivi e grandangoli, era riuscita a trasmettere agli
spettatori un epico senso di potenza attraverso inquadrature panoramiche di
sterminate masse d'uomini marcianti in formazioni rigidamente inquadrate,
accompagnate da una musica wagneriana travolgente.
Leni Riefenstahl durante le riprese di Olympia |
Il suo film Olympia,
girato nei quindici giorni dell’olimpiade berlinese, ha anch’esso un valore
storico molto importante, perché di fatto fu il primo film della storia
dedicato alle Olimpiadi, e da un punto di vista squisitamente
cinematografico è rimasto senza dubbio il migliore. L’esaltazione degli atleti ariani
in parallelo alla celebrazione della rinascita del mito greco nel mondo moderno
ne fanno sicuramente un’opera di forte connotazione propagandistica, tuttavia
in qualche modo apprezzabile anche come contenuto, perché priva dei principi
antisemiti e razzisti che Goebbels avrebbe visto invece volentieri esaltati.
Leni
era una donna di forte personalità anticonformista, di per se stessa dunque la
negazione della ideologia che aveva contribuito ad esaltare. Le sue tecniche di
regia innovative sopravvissero alla caduta del Reich, anche se il suo passato
le rimase addosso impedendole a lungo di lavorare, nella Germania del
dopoguerra.
Alla cerimonia
di chiusura il 16 agosto, il mondo si dette appuntamento quattro anni dopo a
Tokyo, capitale di un altro paese che stava affilando le armi per rendere
presto il mondo stesso un luogo molto poco piacevole in cui vivere. Ancora una
volta la pubblica opinione internazionale, non soltanto il Comitato Olimpico,
si illudevano. Le squadre sarebbero scese in campo ben prima del 1940. Per un
nuovo gioco mortale.
"L'amicizia nata sui campi dell'atletica è il vero oro da conquistare. I riconoscimenti sono soggetti alla corruzione del tempo, sull'amicizia non si raccoglie polvere".
(James Cleveland Owens)
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