Gli occhi della Spagna sono
quelli, tristi ed inconsolabili, del mio amigo
Félix. E’ una sensazione che conosciamo bene, noi ci siamo già passati. Arriva
il momento in cui ti rendi conto che quattro anni sono trascorsi, tutti insieme.
Ti arrivano addosso da un momento all’altro, un attimo prima sei campione del
mondo, un attimo dopo non sei più niente. Gli altri, quelli che prima battevi
ad occhi chiusi, adesso ti passano accanto correndo via. Nessuno ha più
rispetto di te. Nemmeno te stesso, se non stai attento.
L’errore più grande sarebbe
adesso disonorare chi un tempo ti ha dato tanto onore, caro Félix. Iker
Casillas ha una sola colpa, come l’aveva Marcello Lippi: essere ancora in
gioco, e non aver capito in tempo che il gioco era meglio finirlo prima, finché
tu eri il numero uno. Adesso lasciatelo uscire di scena con rispetto, è lui che vi ha
dato la prima stella. Ogni volta che indossate quella maglietta rossa che hai regalato anche a me, orgoglioso,
ricordatevi di lui com’era quando quella stella fu conquistata, e non com’è
adesso. Il tempo è un avversario che non perdona, mai.
La partita è la stessa di
Johannesburg, ma allora la Spagna era l’Invencible Armada. A Salvador de Bahia
gli Orange giocano come se avessero
da saldare i conti non soltanto del mondiale precedente ma anche tutti quelli
del passato, fino dai tempi del Duca d’Alba. Vince ancora la squadra in maglia
blu, ma stasera quella squadra è l’Olanda. Che infierisce. E’ giusto non
fermarsi? Forse sì, la Spagna non si fermò contro l’Italia a Kiev, e fece bene.
Gli spettatori pagano il biglietto per vedere i gol. I soldi di Olanda – Spagna
sono stati spesi bene, quelli di Brasile – Croazia no.
Il mio amigo Félix assomiglia
vagamente ad Andres Iniesta. Ma lui ha ancora i suoi capelli, Iniesta li sta
perdendo e li ha già un po’ brizzolati. Forse sul tetto del mondo si invecchia
prima, perché lassù in cima fa più freddo. Guardate Andrea Pirlo, si dovette far
crescere la barba per ritrovare un po’ di calore, dopo che a Kiev le lacrime
sembravano averlo svuotato. El Rey
stasera non ha giocato, non è sembrato nemmeno lui. Oddio, la sua palla a Diego
Costa che poteva chiudere il match per la Spagna l’aveva anche data, ma Diego
Costa non è David Villa.
Era destino che stavolta un pugno
di protestanti dei Paesi Bassi avesse ragione dell’Armada di Sua Maestà Cattolica. Che tra l’altro ha già lasciato, lui sì
ancora da campione del mondo. Juan Carlos ha capito quello che Iker Casillas ha
invece ignorato: meglio chiudere quando sei ancora carico di gloria, e la gente
si ricorderà di te con la Coppa del Mondo in mano. E basta.
Gli occhi della Spagna, caro
Félix, sono anche quelli di Vicente Del Bosque. Stanchi, invecchiati ma orgogliosi.
Il Marchese di Salamanca è un caudillo, pensa già alla prossima battaglia. All’ultima
battaglia del suo tercio, che conquisterà il Cile e poi l’Australia, oppure
cadrà con le armi in pugno. Sono gli occhi del capitano Diego Alatriste, il
personaggio del film Il destino di un
guerriero magistralmente interpretato da Viggo Mortensen e tratto dai
romanzi di Arturo Perez Reverte, che tu conosci sicuramente.
Accerchiato con i suoi ultimi
compagni superstiti, poco prima della battaglia di Rocroi con la quale il
Principe francese di Conde’ avrebbe messo fine alla supremazia plurisecolare spagnola in
Europa, Alatriste riceve un emissario del Principe che gli offre una resa
onorevole, con tanto di onore delle armi. Alatriste sa di non avere alcuna
possibilità di sopravvivenza, eppure senza esitazione risponde: “Ringrazi il
Principe, ma siamo soldati spagnoli, e non possiamo accettare”.
Caro Félix, i cicli finiscono
quando suona l’ultima campana. Fino ad allora, non resta che spazzare via la
tristezza dagli occhi e guardare al prossimo combattimento. Una bruja sudamericana ha profetizzato che
questo Mundial non è affatto deciso,
come Nishimura-san ci ha voluto mostrare all’inizio. Adelante, e chissà che non si avveri una profezia che un tuo amigo ti ha fatto in una notte italiana
davanti ad un bicchiere di vino rubio.....
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