Avevamo scritto in sede di presentazione di Italia-Costarica che il problema della squadra di Cesare Prandelli, che stasera si porta come presenze in panchina nientemeno che ad una distanza da Marcello Lippi e dal terzo posto dietro Vittorio Pozzo ed Enzo Bearzot, era trovarsi ad affrontare il calcio sudamericano al suo meglio. Non quello europeo, contro il quale ormai ce la caviamo “di riffa o di raffa”, ma quello che si chiama futebol, Di questo calcio, nel nuovo millennio, gli alfieri non sono più Brasile (aiuti a parte), Argentina o Uruguay ma Colombia e, appunto, Costa Rica.
Il gap tecnico è stato ormai colmato, grazie alla presenza dei giocatori di queste ex squadre di secondo piano nei club europei. La politica suicida delle federazioni del Vecchio Continente dà finalmente i suoi frutti. Dei costaricani, uno gioca in Russia, tre in Norvegia. A palleggiare non gli devi insegnare, la tattica l’hanno imparata da noi e la prestanza fisica ormai – da quando mangiano bene come noi – ci sovrasta addirittura.
All’Arena Pernambuco di Recife, Jorge Luis Pinto schiera la stessa squadra che ha fatto a pezzi l’Uruguay, Cesare Prandelli invece fa due cambi, Abate per Paletta e Thiago Motta per Verratti. Squadra che vince non si dovrebbe cambiare, recita una vecchia regola di questo gioco ormai bicentenario. Giusto – e non solo per questo – che alla fine vinca il Costa Rica, che si presenta in area azzurra solo due volte, ma gli bastano. Le due occasioni azzurre invece capitano sui piedi di Mario Balotelli, e sarebbero sufficienti solo per rimandarlo in Italia stasera stessa.
L’ex SuperMario oggi non c’è, ha la testa altrove e quando la rimette in campo combina solo guai, per sé e per i compagni, manco non fosse l’occasione della sua vita. Fortuna che l’arbitro cileno Osses prediliga il “gioco maschio”. Altrimenti, tra gli espulsi, oltre ad un paio di costaricani ci sarebbe stato di diritto lui, Mario da Brescia. E’ uno dei due fallimenti di questa partita, assieme ad un Candreva che non avevamo francamente mai visto giocare così male da quando è in serie A. Subito sotto, nella scala delle delusioni, un Thiago Motta che per l’ennesima volta fa pensare al fatto che i brasiliani in genere i pochi giocatori buoni che hanno se li tengono, e non li mandano a chiedere cittadinanze altrui.
Il resto è mediocrità, di quelle che durano fatica a passare la metà campo. Il Costa Rica sta dietro la linea del pallone, e pressa alto. Le rare volte che riesce a partire in contropiede colpisce come un cobra. Il resto lo fanno dei pedatoni sistematici sul portatore di palla, di quelli che il pensiero di Osses non considera, per dirla con Loredana Berté.
Abbiamo peraltro un solo fuoriclasse, e lo sappiamo. Si chiama Andrea Pirlo. E’ l’unico a capire che per salvare Patria e cavoli (ogni riferimento alla testa del centravanti è casuale) c’è un solo modo: il lancione secco, a tagliare la difesa. Due volte Mario da Brescia si trova solo davanti al portiere Navas. Una volta colpisce di tibia spedendo fuori come non è possibile fare secondo la fisica che abbiamo studiato a scuola. La seconda sparacchia da lontano, quando sarebbe probabilmente bastato un passo avanti. E qualcosa dentro la testa.
Quando sembra che gli azzurri bene o male abbiano preso in mano la partita, ecco che esce il Costa Rica. Al 43’ Campbell viene atterrato dal solito Chiellini, costretto a fare gli straordinari contro giocatori più tecnici e più prestanti di lui e dei suoi compagni. Rigore ancora più netto di quello negato all’Inghilterra, se andiamo fuori stavolta non sarà per colpa degli arbitri. Un minuto dopo, siccome San Giovanni non vuole inganni – dicono a Firenze –, Bryan Ruiz taglia la difesa italiana come Sturridge e va a mettere dentro di testa.
Italia nei guai, Prandelli in confusione. Le prova tutte il mister nel secondo tempo. Cassano per Motta, ed è addirittura esordio mondiale per il vecchio fantasista a fine carriera (la prova del fallimento di una intera generazione di dirigenti e tecnici federali), poi Insigne per l’inguardabile Candreva e per finire Cerci per Marchisio, l’unico forse che ha retto botta (e preso botte, tante).
In campo ci sono quattro attaccanti, il meglio della classifica cannonieri Pepito Rossi a parte. Il Costa Rica non correrà nemmeno un’ipotesi di rischio, tenendo il campo alla perfezione al 90’ come al primo minuto e vanificando puntualmente le velleitarie azioni azzurre. Ne segnaliamo solo una, quella in cui Lorenzo Insigne dimostra tutta la sua pochezza internazionale e la sua presunzione. Il tiro in corsa sarebbe vergognoso anche in una partita di rugby, come trasformazione. Proprio vero che è al mondiale “a discapito di qualcun altro”, secondo le sue parole. A discapito di qualcuno che peggio di così non avrebbe potuto fare, aggiungiamo noi.
Alla fine, ad un’Italia che s’era illusa di una facile qualificazione dopo lo scontro storico con l’Inghilterra resta una sfida all’O.K. Corral con l’Uruguay per non tornare a casa sul suo stesso aereo. Fortuna (forse l’unica) che la celeste è l’unica squadra sudamericana che gioca da sempre all’europea. Sono tosti, hanno due punte micidiali come Cavani e Suarez, ma con loro ancora possiamo giocarcela.
Poi, se dovessimo passare, sarebbero ancora guai, perché ci toccherebbe a quel punto la Colombia. Noi contro il futebol del ventunesimo secolo siamo disarmati, e non è nemmeno colpa di Prandelli e delle sue scelte. A questo ci ha portati la dissennata politica di una Federazione che ha permesso che le nostre squadre si riempissero di onesti pedatori di ogni nazionalità a discapito dei nostri giovani. Risultato, abbiamo insegnato a giocare anche ai macachi della Foresta Amazzonica, e noi di campioni veri non ne abbiamo allevati più.
Troppo facile sarebbe dare la croce addosso a Prandelli. Nel secondo tempo ha messo in campo il fallimento della presente generazione e quello della prossima. Ma il convento, come detto più volte, passa poco più che questo. Ci resta lo stellone, se ha ancora voglia di buttare un occhio dalla nostra parte, e la differenza reti. Il pareggio qualifica noi come la vittoria. Martedi Italia-Uruguay è la storia passata del calcio che lotta per avere ancora un futuro. Prandelli raggiungerà Lippi, speriamo non finisca allo stesso modo.
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