L’ultima immagine (forse l’unica)
che ci resterà dentro di questo mondiale brasiliano è quella del vecchio
capitano Gigi Buffon che all’ultimo dei cinque disperati minuti di recupero dell’ultima
partita lascia la porta e sale su in attacco, all’arma bianca. Onor di
capitano, uno degli ultimi eroi di Berlino, alla fine di una lunga e gloriosa
carriera, non si sente ancora appagato e va su – forse per l’ultima volta – a
difendere una maglia azzurra che altri (quasi tutti) hanno nel frattempo
gettato nel fango.
Le immagini da dimenticare in
compenso sono tante, e non le abbiamo neanche viste tutte. Il dramma -
l’ennesimo – del calcio italiano si consuma tra le sette e le otto della sera
del 24 giugno 2014. Al rientro negli spogliatoi per l’intervallo, un Cesare
Prandelli che presagisce ormai sventura come un druido gallico, leggendola
negli stessi occhi dei ragazzi a cui si è affidato, riprende Mario Balotelli,
che in tutto il primo tempo si è messo in luce soltanto per una delle
ammonizioni più stupide della storia del calcio.
Radio Spogliatoio riferisce che
volano parole grosse, e anche qualche corpo contundente. Prandelli non ha
bisogno di sostituire Balotelli, sono i compagni che lo buttano fuori dal
camerino azzurro, e dalla squadra. Tornano in campo, almeno alcuni, a consumare
il proprio destino e quello della squadra e della nazione sportiva. Poi, dopo
una ripresa tra le più orrende di sempre dove tutto gira all’incontrario per
una spedizione azzurra dove niente, ma veramente niente è stato organizzato e
programmato per il verso giusto, tornano giù per la resa dei conti, che segue
ad ogni eliminazione, meritata o no.
E’ il momento di dire le cose
come stanno. Balotelli ha già avuto il suo, l’azzurro lo rivedrà nel cielo, se
andrà a vivere in un posto dove piove poco. Tocca adesso a Prandelli dare un
senso, per una volta, a quel codice etico che ha sbandierato per quattro anni
stracciando il contratto improvvidamente offertogli da una F.I.G.C. che nei
suoi comportamenti ormai non ha niente da individuare ad amministrazioni come
quella di Venezia nella vicenda del Mose.
Alle dimissioni doverose del
mister – pare – nessuno batte ciglio. Anzi, il presidente federale Abete
nell’unico soprassalto di dignità della sua carriera ci mette sopra le proprie
come carico da undici. Forse spera che il 4 luglio l’esecutivo della F.I.G.C le
rigetterà, facendogli fare bella figura a gratis e graziandolo. Ma come diceva
il senatore Andreotti, se presenti le dimissioni c’è sempre il rischio ce te le
accolgano, chissà.
Il calcio italiano è all’anno
zero. Lo abbiamo detto atre volte in passato, ma mai come adesso. Da questo
Brasile 2014 non si salva niente, se non la faccia dei quattro-cinque veterani
di Germania 2006 che anche stavolta avevano provato a gettare il cuore oltre
l’ostacolo. Pirlo annuncia il suo ritiro dalla nazionale, dopo 112 partite che
lo hanno messo di diritto nella storia. Buffon e De Rossi invece difendono la
vecchia guardia e rompono un inutile codice d’onore attaccando i colleghi più
giovani.
“Non è possibile che quando c’è
da tirare la carretta tocchi sempre ai più vecchi. I discorsi stanno a zero, in
campo si vede chi c’è e chi non c’è, e tocca sempre a noi”, commenta amaro il
vecchio capitano, l’unico peraltro che quaggiù, ai confini della foresta
amazzonica, ha trovato forse un degno sostituto. Salvatore Sirigu è una delle
pochissime cose per cui è valso il prezzo del biglietto di questa numerosissima
e costosissima spedizione azzurra.
“La Nazionale ha bisogno di
uomini veri, non di figurine di calciatori”, è il commento durissimo di un
livido De Rossi. Livido di rabbia, e non solo verso il reprobo Balotelli, che
nella sua indisponente ma comunque ingenua arroganza è fin troppo facile
individuare come bersaglio.
Delle nuove leve di Prandelli, lascia intendere De
Rossi, non se ne salva nemmeno mezza. Ai quattro di Berlino, De Rossi,
Barzagli, Pirlo e Buffon, si aggiungono in positivo solo Chiellini, per il
carattere e l’impegno, e Marchisio, che non tira indietro la gamba nemmeno
quando un arbitro incapace o in malafede lo tiene d’occhio per buttarlo fuori.
Il resto è la paccottiglia con
cui mister Prandelli si è baloccato per quattro anni, costringendo il
campionato di calcio a frequenti interruzioni per esperimenti che non hanno
prodotto nulla, né un gioco di squadra né una base per ripartire comunque, ora
che tutto è perduto, compreso l’onore.
La Spagna riattraversa l’Atlantico
ammantata di un velo crepuscolare che le mantiene comunque una certa aura di
grandezza pur nella amara eliminazione. L’Italia torna in condizioni peggiori
di come tornò nel 1950, una Armata Brancaleone che stavolta non può invocare
nemmeno la tragedia del Grande Torino.
La tragedia, stavolta, è consistita nel
dare fiducia a questi uomini, che hanno ridotto il nostro calcio a livelli da
esercito di Franceschiello. Di positivo c’è che adesso i pomodori costano molto
di più, gli azzurri non dovrebbero temere per le loro divise immacolate e per
le loro mìse e acconciature all’ultima
moda.
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