mercoledì 25 giugno 2014

DIARIO MUNDIAL: La resa dei conti

L’ultima immagine (forse l’unica) che ci resterà dentro di questo mondiale brasiliano è quella del vecchio capitano Gigi Buffon che all’ultimo dei cinque disperati minuti di recupero dell’ultima partita lascia la porta e sale su in attacco, all’arma bianca. Onor di capitano, uno degli ultimi eroi di Berlino, alla fine di una lunga e gloriosa carriera, non si sente ancora appagato e va su – forse per l’ultima volta – a difendere una maglia azzurra che altri (quasi tutti) hanno nel frattempo gettato nel fango.
Le immagini da dimenticare in compenso sono tante, e non le abbiamo neanche viste tutte. Il dramma - l’ennesimo – del calcio italiano si consuma tra le sette e le otto della sera del 24 giugno 2014. Al rientro negli spogliatoi per l’intervallo, un Cesare Prandelli che presagisce ormai sventura come un druido gallico, leggendola negli stessi occhi dei ragazzi a cui si è affidato, riprende Mario Balotelli, che in tutto il primo tempo si è messo in luce soltanto per una delle ammonizioni più stupide della storia del calcio.
Radio Spogliatoio riferisce che volano parole grosse, e anche qualche corpo contundente. Prandelli non ha bisogno di sostituire Balotelli, sono i compagni che lo buttano fuori dal camerino azzurro, e dalla squadra. Tornano in campo, almeno alcuni, a consumare il proprio destino e quello della squadra e della nazione sportiva. Poi, dopo una ripresa tra le più orrende di sempre dove tutto gira all’incontrario per una spedizione azzurra dove niente, ma veramente niente è stato organizzato e programmato per il verso giusto, tornano giù per la resa dei conti, che segue ad ogni eliminazione, meritata o no.
E’ il momento di dire le cose come stanno. Balotelli ha già avuto il suo, l’azzurro lo rivedrà nel cielo, se andrà a vivere in un posto dove piove poco. Tocca adesso a Prandelli dare un senso, per una volta, a quel codice etico che ha sbandierato per quattro anni stracciando il contratto improvvidamente offertogli da una F.I.G.C. che nei suoi comportamenti ormai non ha niente da individuare ad amministrazioni come quella di Venezia nella vicenda del Mose.
Alle dimissioni doverose del mister – pare – nessuno batte ciglio. Anzi, il presidente federale Abete nell’unico soprassalto di dignità della sua carriera ci mette sopra le proprie come carico da undici. Forse spera che il 4 luglio l’esecutivo della F.I.G.C le rigetterà, facendogli fare bella figura a gratis e graziandolo. Ma come diceva il senatore Andreotti, se presenti le dimissioni c’è sempre il rischio ce te le accolgano, chissà.
Il calcio italiano è all’anno zero. Lo abbiamo detto atre volte in passato, ma mai come adesso. Da questo Brasile 2014 non si salva niente, se non la faccia dei quattro-cinque veterani di Germania 2006 che anche stavolta avevano provato a gettare il cuore oltre l’ostacolo. Pirlo annuncia il suo ritiro dalla nazionale, dopo 112 partite che lo hanno messo di diritto nella storia. Buffon e De Rossi invece difendono la vecchia guardia e rompono un inutile codice d’onore attaccando i colleghi più giovani.
“Non è possibile che quando c’è da tirare la carretta tocchi sempre ai più vecchi. I discorsi stanno a zero, in campo si vede chi c’è e chi non c’è, e tocca sempre a noi”, commenta amaro il vecchio capitano, l’unico peraltro che quaggiù, ai confini della foresta amazzonica, ha trovato forse un degno sostituto. Salvatore Sirigu è una delle pochissime cose per cui è valso il prezzo del biglietto di questa numerosissima e costosissima spedizione azzurra.
“La Nazionale ha bisogno di uomini veri, non di figurine di calciatori”, è il commento durissimo di un livido De Rossi. Livido di rabbia, e non solo verso il reprobo Balotelli, che nella sua indisponente ma comunque ingenua arroganza è fin troppo facile individuare come bersaglio. 
Delle nuove leve di Prandelli, lascia intendere De Rossi, non se ne salva nemmeno mezza. Ai quattro di Berlino, De Rossi, Barzagli, Pirlo e Buffon, si aggiungono in positivo solo Chiellini, per il carattere e l’impegno, e Marchisio, che non tira indietro la gamba nemmeno quando un arbitro incapace o in malafede lo tiene d’occhio per buttarlo fuori.
Il resto è la paccottiglia con cui mister Prandelli si è baloccato per quattro anni, costringendo il campionato di calcio a frequenti interruzioni per esperimenti che non hanno prodotto nulla, né un gioco di squadra né una base per ripartire comunque, ora che tutto è perduto, compreso l’onore. 
La Spagna riattraversa l’Atlantico ammantata di un velo crepuscolare che le mantiene comunque una certa aura di grandezza pur nella amara eliminazione. L’Italia torna in condizioni peggiori di come tornò nel 1950, una Armata Brancaleone che stavolta non può invocare nemmeno la tragedia del Grande Torino. 
La tragedia, stavolta, è consistita nel dare fiducia a questi uomini, che hanno ridotto il nostro calcio a livelli da esercito di Franceschiello. Di positivo c’è che adesso i pomodori costano molto di più, gli azzurri non dovrebbero temere per le loro divise immacolate e per le loro mìse e acconciature all’ultima moda.


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