Ombre che scivolano furtive nella
notte, ragazzi in divisa, armati, che avanzano nel buio, con un’unica certezza:
c’è un compagno un po’ a sinistra e ce n’è un altro a destra, da qualche parte,
anche se non lo vediamo. Ci dev’essere. Dietro, sulla linea di tiro, ce ne sono
altri, sanno che siamo tra loro ed i bersagli. Devono saperlo.
Ancora ombre che camminano nella
notte, in silenzio, in fila, contando i passi e nient’altro. Ogni metro in quel
buio, strappato alla fatica che ormai è più grande di ogni cosa che è stata
insegnata ed imparata, avvicina il ritorno a casa. Laggiù, in quel buio, da
qualche parte, qualcuno ci aspetta per riportarci a casa. Nell’unica casa che
abbiamo adesso, quella scuola fatta soltanto di muri, non c’è un rubinetto di acqua calda per
lavarsi, un termosifone per riscaldarsi, una finestra da chiudere per
ripararsi dal freddo. Eppure è casa nostra, non ne ricordiamo più altre.
Soldati sotto la pioggia, così
stanchi da dormire anche se la pioggia batte sottile sui loro volti. Così stanchi da
saltare su appena una goccia un po' più grossa colpisce i loro volti. Così stanchi da
contare i giorni, senza sapere che un giorno desidereranno che quei giorni non
siano mai passati. Soldati che quando finalmente fa giorno, quell’ultima notte
prima del ritorno, salutano con sollievo perfino quell’erba gelata, imbiancata
da una brina spettrale, che dovrebbe far stringere il cuore per la disperazione alla
vista di un mondo paralizzato dal gelo dell’inverno e che invece rincuora, perché viene a
sostituire una tenebra che sembrava non avere più fine, per quella lunga fila
di soldati che non hanno più nemmeno un lamento da spendere.
Quei ragazzi sono tornati, oggi,
là dove si erano ritrovati uomini all’improvviso, al termine di quella lunga
notte, al termine di cinque mesi che sembravano interminabili e che invece
erano volati, lasciandoli finalmente cresciuti ma improvvisamente soli. Sono
tornati, la compagnia si è riformata, ognuno sapeva ancora qual era il suo
posto come se trent’anni non fossero passati. Avevamo disceso quelle scale
senza voltarci indietro, trent’anni fa. Oggi risalirle è stata ad
ogni gradino un’emozione di quelle che travolgono.
La nostra scuola non c’è più. Se
l’è portata via la vita, il mondo che cambia, il destino, una nuova epoca della storia,
i trent’anni che ci sono voluti per tornare qui. Dove si imparava a far tesoro
e a spendere bene ogni istante della vita che ci era stata concessa, adesso c’è
un centro benessere, contornato da mura che crollano senza speranza. L’ultimo corso se n’è andato
da tempo, quelle ombre nella notte non torneranno più. I nostri figli non potranno avere la fortuna che abbiamo avuto noi.
La nostra scuola c’è ancora. E’
dentro di noi. Noi eravamo lì, dice Davide, indicando il punto dove si adunava
il primo plotone. Il secondo accanto, poi il terzo e così via, finché la
bandiera si alzava. Noi eravamo lì.
Ci siamo ancora. Ci saremo sempre. Fratelli nella notte.
Uno dei Giorni più belli della mia esistenza...
RispondiEliminaSimone, nulla può rendere di più il ricordo di ciò che fu del tuo scritto..
RispondiEliminaGrazie, Giovanni
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