martedì 30 settembre 2014

Ancora morti nel Canale di Sicilia, malgrado l'abolizione della clandestinità

12 ottobre 2013

Notizie sempre più drammatiche dal Canale di Sicilia. Mentre la nave militare Cassiopea è arrivata a Lampedusa per imbarcare le 339 bare delle vittime del naufragio del 3 ottobre scorso e trasportarle poi a Porto Empedocle (AG) in attesa del funerale di stato, ieri notte un nuovo naufragio, stavolta nelle acque maltesi, con altri 34 morti ed una quindicina di dispersi. 206 i superstiti, raccolti da navi italiane e maltesi, che ormai devono stazionare nell’area 24 ore su 24 in servizio di pattuglia.  Nelle stesse ore la Guardia costiera italiana ha dovuto soccorrere altre due imbarcazioni in difficoltà, un gommone che trasportava 85 migranti ed un'altra imbarcazione con 183 profughi a bordo, di cui 34 donne e 49 bambini.


Queste persone saranno tutte trasferite al Centro di accoglienza di Lampedusa, peraltro prossimo al collasso fin da prima della tragedia del 3 ottobre, avendo da tempo raggiunto ed oltrepassato il limite delle proprie capacità di ricezione secondo standard di decenza umanitaria. Sono situazioni e dati ormai che si commentano da soli. Riteniamo pertanto inutile dar conto delle dichiarazioni di circostanza del presidente del consiglio Enrico Letta, e di altri esponenti di forze politiche che credevano d aver dato il loro contributo alla risoluzione di questa emergenza umanitaria dai connotati dell’ecatombe semplicemente abolendo il reato di clandestinità.
Ieri sera il governo maltese ha chiesto all’Unione Europea ufficialmente che venga trovata una soluzione ad una situazione gravissima, non più sostenibile. C’è da credere che avrà maggiore audience del governo italiano, la cui azione ormai potremmo definire assolutamente ridicola –su questo come su altri fronti – se non ce lo impedisse il rispetto per i morti che si stanno contando in queste ore come acini nei grappoli d’uva. Come ha detto del resto – in controtendenza – il sindaco di Bari Michele Emiliano, “in Parlamento l’odore del sudore e del sangue dei profughi non si sente”.

D’altra parte, ci sia consentito dire che in un paese in cui si celebra come una conquista epocale la legge sul femminicidio, che con buona pace di femministe e di progressisti dalle idee molto confuse riporta di fatto la condizione della donna indietro di un bel po’ di decenni (declassandola a categoria protetta e non più riconoscendola come appartenente alla razza umana già tutelata dal codice penale e con pari diritti), forse non ci sono più le condizioni per fare un discorso serio e ragionato su niente. Tra noi ed una catastrofe storica, nel frattempo, ci sono rimasti solo la Guardia costiera ed il Centro di Lampedusa, a salvare ancora per poco l’immagine di un paese che ormai un’immagine non ce l’ha più.

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