Daniele Prade’ è uno che non
torna mai a mani vuote. Con quello che i suoi datori di lavoro gli mettono a
disposizione (il cosiddetto budget) riesce sempre a portare a casa giocatori
che danno un senso al mercato, alla stagione, alla squadra da mandare in campo.
A Roma, ai tempi in cui Sensi doveva al fisco e a Unicredit una cifra pari al
prodotto nazionale lordo di qualche paese, lui riusciva puntualmente a mettere
a disposizione dei tecnici una formazione capace di essere l’unica seria
avversaria di un’Inter che altrimenti avrebbe fatto il triplete tutti gli anni, anche perché si era premurata di eliminare
anzitempo tutti gli altri avversari. A Firenze, atteso che la proprietà è di
quelle che hanno deciso da tempo di non fare sciocchezze – o addirittura
rovinarsi – per il calcio, è riuscito sempre a pescare qualche gioiello nei
mercatini dell’usato a giro per il mondo. Roba buona, di quelle che possono
cambiare una stagione, addirittura.
L’anno scorso fu Joaquin Sanchez
Rodriguez, vecchia gloria delle Furie Rosse, capace di prestazioni e di gol
decisivi, come quello che non si dimentica, il 3-2 alla Juve nell’epica rimonta
del Franchi. Quest’anno è la volta di Jasmin Kurtic, il centrocampista sloveno
che nella scorsa stagione aveva partecipato attivamente alla favola del
Sassuolo di Di Francesco, e che per uno di quei misteri del calcio nostrano
agli ultimi giorni di calciomercato non era stato ancora ingaggiato da nessuna
formazione di vertice. Corteggiato (a parole) da tante, preso da nessuna.
Alla fine, complici a quanto pare
le ottime referenze fornite dal connazionale Josip Ilicic già in forza
all’esercito viola, ci ha scommesso sopra il nostro Prade’, quando stava per
arrivare lo “stop alle telefonate”. Gran storcere di bocca di certi ambienti
del tifo, nonché di tanti addetti ai lavori. Tipico acquisto dell’ultim’ora,
per mascherare i mancati arrivi di campioni veri, quelli che – sempre a
detta di stampa e tifosi inclini al
pessimismo cosmico – a Firenze non vengono perché siamo “periferia”, e per di
più in mano a dei “braccini”.
Bene, da ieri sera Jasmin Kurtic
è un’altra scommessa vinta dei responsabili del settore tecnico della
Fiorentina, nonché il salvatore della patria pallonara viola. Da ieri sera
grazie a lui e al suo gran gol da fuori area (il n. 3.500 della Fiorentina
nella massima serie) la squadra torna ad intravedere, con quattro punti,
posizioni di classifica a lei più confacenti (almeno sulla carta), e quella che
poteva essere una buona prestazione non coronata da fortuna e successo al pari
del match casalingo con il Genoa si è trasformata in un’impresa da cui può
prendere il via una stagione del tutto diversa malgrado il problematico avvio.
Non saranno molte le formazioni
capaci di portar via tre punti dallo stadio Atleti Azzurri d’Italia di Bergamo.
L’Atalanta di Colantuono sopperisce ad alcune lacune tecniche con il solito
cuore grande così. E ha sulla fascia destra un tandem formato dal paraguaiano
Estigarribia e dall’ennesimo “toro” di Sora Davide Zappacosta, apparsi spesso
due autentiche ire di Dio dotate di un passo superiore a quello di qualsiasi
difensore viola. Contro questa formazione, galvanizzata tra l’altro dal
successo di Cagliari, la Fiorentina ha avuto il merito di venire a fare la sua
solita partita, fatta di possesso palla pregevole e occasioni da gol altrettanto
pregevoli, anche se dalla gestazione sofferta e dall’esito quasi mai
all’altezza delle aspettative.
Dalle esigenze di turnover e di convalescenza
esce un centrocampo con Badelj e Mati Fernandez al posto di Pizarro e Borja
Valero. Tanto il neoacquisto croato che l’ex promessa cilena se la cavano
benino. Il primo si piazza in mezzo al campo con sicurezza, non fa mai niente
di eclatante ma anche sbaglia poco o nulla. Il secondo riprende il discorso da
dove era stato costretto ad interromperlo, nel match di andata a Torino contro
la Juventus in Europa League: tanta fantasia e tanti dribbling, che nella
tonnara atalantina potrebbero sortire qualche effetto positivo. Così come le
giocate di un Cuadrado che almeno nei primi trenta minuti si conferma ispirato come
non mai, prima di arrendersi all’evidenza del fatto che l’arbitro Carmine Russo
non è di scuola europea, non fischia le falciate (perlomeno quelle atalantine)
come il suo collega austriaco di giovedi scorso. A un certo punto, meglio
salvare le gambe.
In regia torna Aquilani, e fa
vedere che i discorsi sul rinnovo del contratto – veri o presunti che siano –
sono questioni di lana caprina. Il numero 10 è imprescindibile per questa
squadra, tocca una quantità di palloni impressionante, li tocca tutti bene, di
piede e di testa. Un po’ come dietro di lui Gonzalo Rodriguez, il secondo
regista di questa squadra. Non è un caso che nella ripresa, quando dopo il
vantaggio viola il fiato inevitabilmente cala e l’Atalanta schiaccia la
Fiorentina nella sua metà campo alla ricerca del pareggio, i due siano i più
lucidi a leggere la situazione e a spendere falli tattici che danno respiro ai
compagni ma che purtroppo valgono anche due ammonizioni da parte di un Russo
che solo nell’occasione ritrova il fischietto precedentemente smarrito.
La difesa a tre patisce un po’
troppo le folate orobiche soprattutto sulla destra, come si è detto. Per
fortuna, nelle uniche due – clamorose – occasioni dei padroni di casa Norberto
Murara Neto mostra tutta la sicurezza acquisita nell’ultimo anno con due
paratone. La Fiorentina aveva sfiorato più volte il vantaggio nel primo tempo,
soprattutto con Ilicic e Alonso, ma Boakye si ritrova solo davanti al portiere
viola che con la gamba di richiamo riesce a deviare sul palo.
Sarebbe stata una beffa, capace
come altre volte di trasformare una bella prestazione viola in un probabile
inferno. Nella ripresa Boakye offre il bis, dopo il vantaggio fiorentino, e
Neto fa altrettanto salvando il risultato e i tre punti. A quel punto i
compagni non ne hanno più da spendere, solo da resistere nel Fort Apache
finale, a cui Montella – che può fare solo tre cambi – aggiunge Micah Richards
(non male la sua prova) al posto di un esausto Pasqual e Juan Vargas al posto
di un altrettanto provato Juan Cuadrado.
Dopo aver fatto gioco per
settanta minuti, il fortino viola resiste negli ultimi venti di agonia, più
cinque di recupero interminabile. Come interminabile (e inascoltabile) è parsa,
a chi ha seguito la partita su Sky, la telecronaca dell’ex Massimo Ambrosini,
al quale consigliamo un po’ più di obbiettività se intende intraprendere la
carriera di commentatore in modo duraturo, dimenticandosi le proprie vicende di
giocatore. Il pareggio atalantino, a lungo invocato dai microfoni di Sky, comunque
non arriva ed alla fine i giocatori viola restano sul campo a festeggiare dopo
il triplice fischio di Russo.
Per il terzo anno consecutivo, la
Fiorentina porta via da Bergamo i tre punti. Per la terza partita consecutiva
ci sono luci ed ombre nel gioco viola, insieme alla ricerca di un modulo che
produca meno patemi nella ricerca del gol e nella difesa del vantaggio, e che
metta soprattutto Mario Gomez in condizione di giocare palloni meno complicati
di quelli visti anche ieri, sbloccandosi così prima possibile nella classifica
dei marcatori.
Supermario merita un discorso finale
a parte. L’ex centravanti del Bayern sta stentando a ingranare, e a farlo
nell’unico modo concepibile per un attaccante: segnando gol. Ma la sua presenza
in campo vuol dire mezza difesa avversaria costantemente impegnata solo a
contenerlo, e spazi notevoli per i compagni. Vuol dire costringere la squadra
avversaria 30 metri
più indietro. In attesa che, giocando regolarmente, arrivi anche per lui la
migliore condizione, Mario Gomez in campo significa buona parte delle chances
offensive della Fiorentina. E questo Vincenzo Montella per fortuna lo sa meglio
di chiunque altro.
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