8 novembre 2013
La vicenda di Anna Maria
Cancellieri, il ministro della Repubblica che ha preso il telefono per perorare
la causa di alcuni detenuti illustri suoi amici personali esprimendo anche
valutazioni negative sull’operato di un’altra istituzione dello Stato (la Magistratura
colpevole a suo dire di abuso di potere avendo ordinato senza fondamento
l’arresto dei Ligresti), da qualunque punto di vista la si guardi insegna
soprattutto una cosa: la Casta ormai è totalmente fuori controllo, un senso
dello Stato e una cultura amministrativa (sempre scarsi dall’Unità d’Italia ad
oggi ma almeno presenti nella nostra classe politica in dosi minime sufficienti
a garantire la sopravvivenza di una comunità-stato) non esistono più, la
presunzione di impunità di chi governa la “cosa pubblica” in Italia è arrivata
al livello delle satrapie orientali dell’epoca ellenistica.
Non è la prima Anna Maria
Cancellieri a comportarsi in modo unanimemente ritenuto non consono
all’istituzione di cui fa parte e che rappresenta e anziché pentirsene
ricorrendo a quell’istituto all’estero ben conosciuto che risponde al nome di
“dimissioni” alza la voce dando del bugiardo in malafede a chi la critica e
rifiutandosi di fare qualsiasi tipo di passo indietro, rivendicando anzi il suo
“diritto a vivere in un paese libero”.
Non è la prima e non sarà
l’ultima, a quanto è dato di prevedere visti i costumi nazionali, ma è
sicuramente una delle più eclatanti e roboanti – in contrasto proprio con la
formazione giuridica e l’esperienza amministrativa sbandierata da chi l’ha
voluta al governo prima come “supertecnico” e poi come migliore tra i politici
post-Seconda Repubblica – nel mostrare al mondo intero come in Italia ormai
esista una frattura tra una popolazione sempre più vessata e succube (anche e soprattutto in ultima
analisi per propria scelta e/o vocazione) ed una classe dirigente (in senso
lato) a cui tutto è permesso e che anzi rivendica orgogliosamente questo status.
Era il marzo 1977 quando l’allora
leader della Democrazia Cristiana e capo del governo Aldo Moro intervenne nel
dibattito parlamentare sul Caso Lockeed
(il più grande scandalo di corruzione dell’epoca, riguardante certe forniture all’Italia
di aerei militari da parte della nota ditta americana, che arrivò a “lambire”
addirittura la Presidenza della Repubblica). Al deputato Mimmo Pinto di
Democrazia Proletaria che minacciava un rinvio per il maggior partito di
governo dell’epoca di fronte ad una giustizia popolare, quella dell’opinione
pubblica, della “piazza”, a suo dire l’unica vera opposizione al sistema, Moro
replicò con una frase che sarebbe diventata storica, oltre che profetica: «Onorevoli colleghi che ci avete
preannunciato il processo nelle piazze, vi diciamo che noi non ci faremo
processare».
La frase, come tutte quelle dello statista pugliese del
resto, si prestava a molteplici interpretazioni. Nella sua accezione più
legalitaria – diciamo così – fu intesa come una dichiarazione programmatica da
parte di una classe politica che né allora né dopo si sarebbe fatta mettere in
discussione in alcun modo dai suoi governati. Mutatis mutandis, non ci riuscirono né le Brigate Rosse, né Mani
Pulite né qualsiasi movimento di protesta più o meno accennata tra quanti si
sono affacciati sulla scena nella storia repubblicana. Non ci ha mai provato seriamente
nemmeno lo stesso popolo italiano, che a differenza degli altri d’Europa
dimostra peraltro una disponibilità alla sopportazione che avrebbe fatto la
felicità dei più ortodossi teologi cattolici dell’Alto Medioevo.
A meno che non si intenda per protesta l’esternazione di
commenti più o meno umorali (e poco altro) sui vari social network a cui affidiamo quotidianamente la nostra illusione
di partecipazione ad una vita sociale e politica più simile a quella dei
protagonisti del film Matrix che ad
una vera comunità nazionale. O il plauso ai vari affabulatori senza
conseguenza, che come Grillo o Renzi si oppongono agli “uomini di conseguenza”
di “veraldiana” memoria, forse in realtà aspettando soltanto il loro turno di
prenderne il posto.
Nessuno in realtà è in grado di spiegare alla sig.ra Cancellieri
perché tra le sue funzioni rientra quella di far sì che le carceri siano un
posto civile e decoroso per tutti i detenuti, e non soltanto per i suoi amici
di famiglia a nome Ligresti. No, nessuno può farlo, se non ci arriva da sola.
Si può solo constatare che altrove ci si dimette per uno scontrino di pochi
euro “erroneamente” messo a carico del bilancio di quello Stato che si
rappresenta, qui invece se colti in un qualsiasi fallo si rivendica la libertà
di pensiero (e di azione) e si lanciano strali contro gli infami che “vogliono
strumentalizzare”.
Abbiamo ricordato Aldo Moro. Una delle massime in voga nel
partito che lo ebbe a lungo come leader di spicco era famosa all’epoca della
Prima Repubblica, e lo è rimasta in seguito anche quando quel partito è passato
agli archivi della storia: “Mai presentare le dimissioni, esiste sempre
l’eventualità per quanto remota che qualcuno te le accolga”.
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