Quanti anni. Passati invano,
verrebbe da dire. A giudicare almeno da tanti commenti che sto leggendo, come
altre volte. Oltre cinquant'anni, i miei. E ancora mi sorprendo di quanta gente in
questo paese si gratifica di un antiamericanismo di cui nemmeno lei stessa
capisce la ragione. Se non quella di sentirsi qualcuno, padrone di un'identità
che altrimenti non avrebbe.
Un tale, tempo fa, scriveva su
Facebook più o meno: "gli sta bene (agli americani, ndr), visto che la maggioranza
vota Bush ... meglio essere (testuali parole) figli di p….. che
americani...". Che cosa si può controbattere? Niente. E poi, come diceva
Oscar Wilde, mai discutere con un cretino: prima di tutto si commenta
da solo, e poi a farlo ci si mette sullo stesso piano e l'altro è
destinato a prevalere in virtù della sua maggiore esperienza.
Personalmente, sono abbastanza
vecchio da appartenere ad una generazione in cui ci sono persone che, come me,
quando passano vicino all'American War Cemetery lungo la Firenze-Siena si
commuovono immancabilmente alla vista di tutte quelle croci bianche senza nome.
E pensano tutt'ora che è grazie a quelle croci, piantate pochi anni prima della
nostra nascita, se questa nostra nascita appunto non è avvenuta in un mondo ben
diverso e molto ma molto meno accogliente di questo che bene o male ci è
toccato. E se anche un personaggio come
quello sopra citato è libero di
esprimere la propria quantomeno discutibile opinione.
Ma anche se fossi nato più
tardi e non sapessi nulla della Guerra Mondiale e della successiva Guerra
Fredda (se non mi commuovessi cioé anche quando vado a Trieste e vedo il
monumento ai Blue Devils, che impedirono a quella frontiera e alla gente che ci
ha vissuto per tutti quegli anni tremendi di conoscere altre e ben peggiori
tragedie oltre a quelle già vissute per mano dei compagni di Tito), credo che
mi asterrei comunque da questo antiamericanismo, che offende non solo il buonsenso
ma la stessa appartenenza alla razza umana.
La morte e la sofferenza sono
uguali per tutti. Per quelle povere creature sepolte a Ground Zero. Per tutti i
desaparecidos di un altro 11 settembre di qualche anno più addietro (sono
davvero vecchio, c'ero anche allora e ricordo bene Allende che si tolse la vita
nel Palacio de la Moneda assediato da Pinochet). Per tutti i morti delle Guerre del
Golfo, dell'Afghanistan negli ultimi 30 anni e anche prima, dell'Iraq e
dell'Iran, del Vietnam, della Cambogia, del Laos, di Israele e della Palestina,
dell'Asia, dell'Africa e del Sudamerica coloniali e postcoloniali. E scusate se
dimentico qualcuno.
La morte è morte, sia che
indossi la divisa dei Marines sia quella di qualunque altro esercito, o anche e
soprattutto gli abiti civili degli appartenenti a qualunque popolo. Si può discutere della bontà
di ideali e leaders, e ognuno la veda come vuole. E' tuttavia proprio grazie a
quegli americani che qualcuno continua ad infamare anche adesso che ce lo
possiamo permettere di vederla come ognuno vuole, appunto. Ma i morti meritano
rispetto. E basta.
Più ci penso e più ritengo che
il modo migliore di onorare le vittime delle Twin Towers, degli aerei suicidi e
di tutte le guerre che ne sono seguite sarebbe soltanto un enorme, unico
silenzio planetario. E che invece, sui social networks come altrove, perderemo
immancabilmente per l'ennesima volta l'ennesima occasione.
"Non chiederti per chi
suona la campana ... essa suona anche per te"
(John Donne, Nessun uomo è
un'isola, ripresa da Ernest Hemingway nel suo celebre libro)
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