“E
dunque, non chiederti mai per chi suona la campana, essa suona per te”. Con
queste parole, John Donne chiude la sua splendida poesia Nessun uomo è un’isola,
ripresa anche da Hernest Hemingway nel suo coinvolgente, epico e omonimo
romanzo dedicato alla Guerra di Spagna, l’evento che segnò la maturazione
e la presa di coscienza della sua generazione.
Oggi
cadono due anniversari, che hanno segnato in egual modo due delle generazioni
successive. Tra poche ore a Ground Zero suonerà di nuovo la campana. Per commemorare
le vittime di quella tragedia in mondovisione nella quale furono abbattute,
insieme a quasi 3.000 vite umane, quelle Torri Gemelle che non erano soltanto l’icona
della città simbolo della modernità, New York (il cui skyline era stato
celebrato per decenni nel nostro immaginario collettivo e che sarebbe cambiato
per sempre in quella circostanza, come per una
ferita incurabile), ma anche di una civiltà, di un modo di vivere, di una
coscienza del mondo occidentale e dei suoi rapporti con gli altri mondi che da
quel momento sarebbero stati irrimediabilmente sconvolti.
Il
primo aereo pilotato dalla fantomatica Al Qaeda si schiantò sulla Torre 1 alle
nove antimeridiane circa, ora della costa atlantica americana, le tre del pomeriggio
qui in Italia. Qualcuno fece in tempo a tornare a casa e a vedere il tutto in
diretta TV. Si, perché quando il secondo aereo si schiantò sulla Torre 2 circa
mezz’ora dopo a quel punto non c’era televisione di qualsiasi paese che non
fosse collegata con Manhattan. Dove si faceva la storia, in modo tragico e
irreversibile.
Per
la prima volta gli U.S.A. vennero attaccati sul loro territorio. Non era mai
successo dal 1812, dall’ultima guerra di Indipendenza contro gli inglesi. Anche
allora uno degli obbiettivi era la Casa Bianca, che le Giubbe Rosse riuscirono
addirittura a mettere a ferro e fuoco, dimostrando peraltro maggiore abilità di
Osama Bin Laden e soci. Da allora, nessuno aveva più portato la guerra sul
continente americano. Nessuno era riuscito neanche a far comprendere al mondo
occidentale quanto fosse vicino il pericolo, quanto i tempi stessero cambiando,
quanto i mostri che avevamo creato per combattere altri mostri si stessero
rivoltando contro di noi.
Da
quelle esplosioni, cambiò non soltanto la percezione americana del mondo
circostante, ma anche la nostra di europei apparentemente più navigati. Giornalisti come Oriana
Fallaci che avevano tentato di spiegarci per anni che cosa ci stava per piovere
in testa (se non l’avevamo capito da soli, seguendo il flusso delle ondate migratorie
che si abbattevano già sull’Europa da almeno un decennio) vennero riscoperti da
chi li aveva trascurati oppure infamati da chi li aveva una volta osannati, a
seconda delle ideologie. Unico denominatore comune, infatti, nessuno capì
veramente la lezione. La prova l’avremo proprio oggi, allorché la campana di Ground
Zero suonerà i suoi rintocchi quasi trascurata da una opinione pubblica nel
frattempo distratta e preoccupata da un nuovi eventi incombenti, assolutamente imprevisti,
assolutamente prevedibili.
L’America
si trova infatti di nuovo sull’orlo di nuovi precipizi, e noi con lei. Dopo
Afghanistan e Iraq, è la volta di una nuova palude senza apparente via d'uscita, la
Siria. Dove un regime tollerato e sostenuto per decenni da un mondo occidentale
interessato (con Assad I e poi con Assad II) ha rivolto le armi contro la sua stessa gente, massacrandola a
ritmi assai più intensivi che in passato. E per l’appunto in una zona
strategica. Nevralgica, come dicono gli analisti addetti ai lavori.
L’equilibrio
del Medio Oriente è stato compromesso in modo probabilmente irreparabile dalle
due sciagurate Guerre del Golfo, quella di Bush padre e quella di Bush figlio,
che avviarono il processo di consegna dell’area mediorientale al
fondamentalismo islamico poi accelerato dalla Primavera Araba. Gli U.S.A. non
hanno mai brillato per ispirazione e metodi in politica estera. Non hanno
ereditato dai progenitori inglesi quel cinismo che necessita per portare avanti
una realpolitik efficace (pochi milioni di abitanti delle Isole Britanniche
avevano tenuto in pugno per due secoli un impero mondiale con poche centinaia
di migliaia di Giubbe Rosse e di Gurkha), e hanno mantenuto però un
atteggiamento bacchettone e moralista sostanzialmente invariato da quando i
primi Padri Pellegrini salirono sul Mayflower per andare a popolare il Nuovo
Mondo, in fuga da quello Vecchio dove rischiavano la pelle proprio per la loro
intransigenza.
Portare
la democrazia nel mondo arabo era un sogno illusorio, che solo i puritani
americani potevano coltivare. il mondo islamico ha davanti un processo secolare
durissimo e dolorosissimo prima di arrivare (forse) ad un traguardo del genere.
Gli U.S.A. hanno alternato questa politica velleitaria a quella che ha più
cinicamente – ma ancor meno efficacemente –
creato mostri che combattessero per loro, salvo poi rivoltarsi contro la mano
che li aveva armati e nutriti. Assad è l’ultimo di una serie di dittatori che da Faisal a Saddam Hussein hanno insanguinato le terre che il
Profeta ha assegnato loro da governare. Solo che è più abile, ha capito subito
le contraddizioni della politica americana, che Putin non è Eltsin e l’Europa
non è più quella che aveva bisogno dell’ombrello atomico statunitense. Ha
capito che l’Iran è un bell’ombrello per lui e che il mondo si è fatto terribilmente
più complicato di quanto gli yankees siano stati solitamente in grado di comprendere. Meno che mai sotto la guida del loro primo presidente di colore, che
purtroppo per loro - e per noi - si è dimostrato anche anche uno dei meno capaci della loro storia. Tanto bello e
tanto simpatico a vedersi, tanto piacevole a sentirlo parlare. Tanto
tragicamente, purtroppo, inadeguato al compito storico.
Ecco
perché oggi a Ground Zero gli spettatori ascolteranno distrattamente la
campana. Dal successore di Obama a qualsiasi cittadino americano, o spettatore
del resto del mondo, tutti avranno in testa l’ultimatum alla Siria, e il vicolo
cieco in cui il mondo è andato probabilmente a cacciarsi una volta di più.
Morire per la Siria non è più attraente di quanto lo fosse settant’anni fa
morire per Danzica. Lo Ziklon B, o Sarin, è lo stesso gas che faceva strage a
Ypres e nelle altre trincee della Prima Guerra Mondiale, oppure nei campi di
sterminio di Hitler nella Seconda. Assad non è Hitler, forse, ma pone lo stesso
dilemma morale, o la stessa valutazione dei propri interessi, che il dittatore
nazista poneva. E la risposta è difficile come lo era allora, e nessuno la possiede
con certezza.
Oggi,
tra l’altro, cade un altro anniversario, uno di quelli che hanno segnato
indelebilmente la generazione precedente. Alla stessa ora in cui il primo aereo
si abbatteva sulle Twin Towers a Manhattan, 28 anni addietro le prime cannonate
dell’esercito golpista di Augusto Pinochet si abbattevano sulla Moneda, il
palazzo presidenziale di Santiago del Cile, per sloggiarne con la forza l’inquilino,
Salvador Allende eletto nelle liste di Unidad Popular, la coalizione socialista
che per la prima volta aveva consegnato il Cile ad una amministrazione di
sinistra.
Pinochet,
con ogni probabilità, era un altro dei mostri creati da una amministrazione
U.S.A. che credeva di combattere così mostri peggiori. Si era in piena Guerra
Fredda, la Russia si chiamava Unione Sovietica, e non aveva alcun rispetto per
la Dottrina Monroe, il Continente Americano agli americani, né tantomeno per il
sistema di vita occidentale. Dalla crisi di Cuba in poi, primi anni sessanta,
gli americani si sentivano minacciati vicino casa, e anche se le Torri Gemelle
erano di là da essere abbattute, tanto bastava perché un governo come quello di
Allende, che aveva come programma di nazionalizzare tra l’altro le ingenti
ricchezze minerarie del paese, fosse visto come una minaccia mortale.
“Che
lo sappiano, che lo sentano, che se lo mettano in testa: lascerò la Moneda nel
momento in cui porterò a termine il mandato che il popolo mi ha dato, difenderò
questa rivoluzione cilena e difenderò il Governo perché è il mandato che il
popolo mi ha affidato. Non ho alternative. Solo crivellandomi di colpi potranno
fermare la volontà volta a portare a termine il
programma del popolo. Se mi assassinano, il popolo seguirà la sua strada,
seguirà il suo cammino, con la differenza forse che le cose saranno molto più
dure, molto più violente, perché il fatto che questa gente non si fermi davanti
a nulla sarà una lezione oggettiva molto chiara per le masse”.
Si
stringe il cuore ancora oggi a leggere le ultime parole di Salvador Allende, a
ricordare in che modo esse sono state il sale su una ferita che la generazione
degli anni settanta non ha mai potuto rimarginare. Ci sono voluti quarant’anni
perché si potesse far pace con se stessi, nel ripensare a questo e ad altri
orrori come la Guerra del Vietnam, altro evento epocale di un mondo in perenne
conflitto fra Blocchi che non potevano comunicare.
Ce ne
vorranno altrettanti forse perché questo nuovo conflitto, questo scontro di
civiltà (come l’ha
definito Samuel P. Huntington in un celebre saggio) possa, forse, essere
ricomposto. Il dialogo tra Cristianesimo e Islam, tra Occidente e Oriente non
più ideologici ma religiosi, appare più improbabile comunque adesso che non ai
tempi di Ho Chi Mihn, Che Guevara o Salvador Allende. E la crisi sociale che
gli sbarchi dal terzo Mondo, l'arrivo dei cosiddetti migranti, hanno aperto assomiglia più agli arrivi devastanti
di popolazioni barbare nel territorio dell’Impero Romano nei suoi ultimi tempi,
che non alla normale dialettica tra popoli.
Per tutti questi motivi, quando oggi suonerà di nuovo la campana di Ground Zero, diamole
comunque un orecchio, pur distratti da tanti problemi. Abbiamo parlato male
degli U.S.A. anche oggi, e ce ne hanno dato e ce ne daranno ancora motivo. Ma che
sia chiara una cosa, abbiamo soltanto loro. Se siamo affezionati al nostro modo
di vivere, se lo riteniamo congeniale a noi stessi piuttosto che le imposizioni
più o meno tribali di chi poco dopo essere arrivato qui pretende di darci
lezioni di diritto e di civiltà, abbiamo solo gli Stati Uniti d’America.
Teniamo a mente le lezioni morali di un Gino Strada, apprese nel sangue delle vittime
innocenti, ma teniamoci anche le vituperate Stelle e le Strisce. Dopo di loro,
ci sarebbero di nuovo soltanto i Secoli Bui.
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