24 luglio 2014
«Ce l’abbiamo fatta, è quasi
incredibile», esclama uno dei tanti tecnici sbarcati a terra per l’ultima volta
al Giglio dalla Concordia. Sono le 11:00 della mattina del 23 luglio quando la
nave dell’inchino salpa per il suo ultimo viaggio. L’aveva detto Franco
Gabrielli, direttore della Protezione Civile italiana, «neanche un meteorite
può fermarci». Contro una simile determinazione, anche la natura si è arresa,
regalando qualche giorno di tregua in una delle estati più funestate dal
maltempo che si ricordino a memoria d’uomo.
Sull’isola che all’improvviso
ritrova di colpo il suo naturale landscape,
regnano una commozione, un groviglio di sentimenti che riassumono
sinteticamente tutta questa vicenda. Le parole delle conferenze stampa, che
come le onde del mare si accavallano senza posa, servono meno delle espressioni
dei volti dei presenti, addetti ai lavori e semplici spettatori. Su di essi si
legge di tutto, dall’inevitabile e giusto raccoglimento per le vittime (di cui
una, il cameriere Russell Rebello, manca tuttora all’appello), al ricordo della
sciagura causata da un qualcosa su cui indagano e indagheranno chissà ancora
per quanto le Autorità inquirenti (ma che si può sicuramente rubricare – senza
tema di offendere nessuno – come faciloneria umana, resta da stabilire semmai
in capo a quanti, dal singolo ai più), all’orgoglio per un’impresa che fino ad
ora si credeva possibile soltanto nei film di James Cameron o di Wolfgang
Petersen, fino allo stato d’animo contrastante di chi abita su questo lembo di
terra in mezzo al mar Tirreno.
L’isola infatti sta tornando
quella che è sempre stata dall’alba dei tempi e dalla comparsa della razza
umana sulle sue coste fino a Schettino. C’è compiacimento nel vedere il mostro
che lascia le sue coste per sempre, ma – inutile negarlo – c’è anche la
consapevolezza che se ne sta andando un formidabile polo di attrazione turistica.
Diceva un operatore del luogo giorni addietro: «Pare brutto da dire se si pensa
a quante vittime ci sono là sotto, ma questa nave ha portato anche soldi».
E’ una vicenda controversa, una
delle storie di mare che sarebbe piaciuta tanto a Joseph Conrad. Una storia di
vigliaccheria e di riscatto umano. Di grandi capacità tecniche e di
contraddittorie attitudini al comando, a tutti i livelli. Dal disaster manager Nick Sloane all’ultimo
dei tecnici messi in campo dalla Costa Crociere per il recupero del relitto di
questo Poseidon in salsa nostrana, tutti possono vantarsi giustamente di aver
realizzato un qualcosa che resterà nella storia. Dopo due anni e mezzo di
mortificazione, la compagnia di navigazione ligure torna a rialzare la testa,
pur trattenendo il respiro per tutto il tempo che durerà la problematica
traversata della Concordia dall’Arcipelago Toscano al porto di Genova, alla
fine prescelto per la tumulazione del mostro marino.
Sono ore di giustificata euforia
e di malcelata apprensione, quindi. C’è ancora qualcosa che può andare storto,
che può turbare l’happy ending
malgrado tutto riscritto per questa tragedia del mare ormai vecchia di due anni
e passa. Ma se si spostano i riflettori dal livello tecnico a quello di
governo, le cose cambiano. E’ una vicenda questa in cui, nei vari livelli della
pubblica amministrazione, molti hanno rincorso il Comandante Schettino. Tanto
che viene da chiedersi chi c’è a bordo in questo momento sulla plancia di
comando e perché.
Qualcuno dovrebbe infatti
spiegare il senso dei 130 milioni di euro concessi dal governo italiano un anno
fa al porto di Piombino per una ristrutturazione che – a meno di non avere in
previsione nei prossimi anni tutta una serie di disastri navali in successione
– aveva l’unica ragion d’essere nel dare estremo riposo alla nave ferita a
morte e naufragata – tra l’altro – a poca distanza dallo scalo toscano.
Su questa scelta strategica
implicita negli atti del governo Letta in carica al momento della concessione
dell’ingente finanziamento, il governatore della Toscana Enrico Rossi aveva
scommesso il futuro della popolazione piombinese, oltre che il proprio
personale. La cittadina marittima ha visto stilare di recente il certificato di
morte della Lucchini, l’acciaieria che per generazioni aveva dato lavoro
direttamente o con l’indotto a buona parte della gente del posto e per la quale
la nuova proprietà russa ha deciso da tempo la dislocazione. La
ristrutturazione del porto, finalizzata allo stoccaggio della Concordia,
prometteva posti di lavoro ai piombinesi e voti al governatore. Che adesso
probabilmente svaniranno nel nulla, in entrambi i casi.
L’attuale governo nazionale, a
guida di Matteo Renzi, non ha grande sintonia con quello della regione
d’origine del Presidente del Consiglio, non è una novità. Non c’è da
meravigliarsi allora se quando Franco Gabrielli ha comunicato il proprio avallo
– a prova di meteorite – alla decisione abbastanza sorprendente di spostare la
nave verso la più lontana Genova ed in piena stagione balneare nessuno a Roma
ha battuto ciglio o mosso un dito. Il governo romano ha lasciato che quello
fiorentino andasse incontro al proprio destino, incassando l’ultima di una
serie di sconfitte.
Maggior vitalità ha sicuramente
dimostrato il governo francese, che per bocca del ministro dell’ambiente
Ségolène Royal non ha mancato di esprimere vive preoccupazioni circa la
possibilità che dal fianco squarciato della nave in lenta risalita del Tirreno
(in questo momento sta passando al largo delle coste della Corsica) fuoriescano
tutta una serie di inquinanti che finora erano rimasti gelosamente custoditi al
suo interno. Dice la Protezione Civile che non c’è nulla da temere al riguardo,
le acque nella scia della Concordia sono pulite. Le migliaia di persone in
questo momento malgrado la stagione a bagno nelle acque delle coste toscane non
possono far altro che crederci.
E allora non resta che seguire
mediaticamente questo trasporto funebre via mare, combattuti in modo analogo a
chi era al Giglio ieri mattina tra orgoglio, entusiasmo, preoccupazione e
tristezza. Il Poseidon è stato raddrizzato, il Titanic è stato recuperato.
Sabato sapremo se il lieto fine è assicurato, al più tardi domenica con
l’entrata nel Porto di Genova e l’ultima salva di sirene. Restano nell’ordine
32 vittime, un processo che durerà verosimilmente quanto durano i processi in
Italia, e 130 milioni di soldi pubblici. Che hanno fatto la fine che fanno i
soldi pubblici in Italia.
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