Per chi ama il tennis, domenica
si è giocato in Paradiso, non sul centrale di Wimbledon. Ha vinto Novak
Djokovic, ma gli spettatori sono ancora tutti in piedi ad applaudire un altro campione
che esce dalla storia per entrare nella leggenda. Roger Federer, che aveva già
trionfato sette volte su questo campo, ha mancato l’ottava, il record assoluto,
ma mai come domenica è entrato nel cuore della gente. La classe non gli è mai
mancata, stavolta gli abbiamo visto il coraggio. Alla fine nei suoi occhi non c’era
tristezza, solo la consapevolezza che forse la sua corsa si è fermata qui, come
è giusto che sia.
E’ una partita che abbiamo visto
giocare tante volte. Un passaggio di consegne tra il vecchio ed il giovane
campione. Una di quelle che segnano, che fanno dire "basta, mi fermo
qui". E se non lo dici tu, ci pensa il tuo inconscio a farlo. E al
prossimo match quello che andrà in campo non sei più tu, comunque. E' sempre
triste, perché è il passo d'addio di un campione straordinario. E d’accordo che
ne è arrivato un altro, ma sono passati altri anni, intanto si invecchia,
insieme ai nostri campioni, e la cosa lascia qualche segno.
1981... Sul Centrale di Wimbledon
si scontrano per la seconda volta, per la finale, il titolo e la supremazia
assoluta, Bjorn Borg e John McEnroe. L'anno prima hanno dato vita a quella che
- a detta degli esperti - rimane tutt'ora la più bella partita di tennis di
tutti i tempi. Aveva vinto lo svedese, ma l'americano aveva incantato il mondo,
per il suo coraggio e la sua classe. Stavolta vincerà lui, e lo svedese
commuoverà il mondo a sua volta per la sua tenacia, la voglia di non
arrendersi, di non cedere il passo alla legge della vita, prima ancora che al
suo avversario. Bjorn chiuderà qui la sua carriera. La sconfitta di quel giorno
sarà definitiva, la consapevolezza di non essere più invincibile lo porterà al
ritiro, quasi immediato.
1985... John ha dominato il
tennis dopo il ritiro di Bjorn. Sono in tanti a pensare che una classe pura
come la sua si è vista raramente prima e non si è più vista dopo di lui, un
estro totale come quello di Picasso, Mozart, Stanley Kubrick, per capirci. Ma
John, senza Bjorn - l'unico avversario degno di lui nella sua testa, l'unico
worthwhile - non si è più divertito. Giocare con Lendl non è la stessa cosa.
Perderci poi... Gli succede a Parigi, nel 1984, ed è devastante, ad un soffio
dalla vittoria epocale, che lo consacrerebbe come l'unico a poter ripetere il
Grand Slam del mitico Rod Laver. Il passo d'addio di John McEnroe è lì, al
Roland Garros 1984.
1985... Quando esplode il
tedeschino volante, Boris Becker, John è già fuori dal tennis, ed è un peccato,
perché sarebbe stato bello vedere il nuovo adolescente terribile confrontarsi
con il vecchio. Neanche 40 anni in due. Boris quell’anno vince conquistandosi
perfino gli elogi della stampa inglese, mai toccati ad un tedesco, e nemmeno
allo stesso McEnroe. Comincia un decennio in cui solo Stefan Edberg, un altro braccio di dio riuscirà a fare partita eguale sul Centrale di
Wimbledon con Boris. Roba da non far rimpiangere Borg-Connors del 1977, match
epici.
1995... «Complimenti, buona
fortuna, la mia strada finisce qui», è la frase che Boris rivolge al suo
avversario che l'ha superato in un'altra partita epocale, generazionale. Exit Boris Becker, enter Pete
Sampras. L'americano di origine greca (ma che non sa nemmeno dov'é la
Grecia) è tanto anonimo come persona quanto dotato di classe come giocatore di
tennis. 7 Wimbledon e 14 Slam. In quel periodo non ce n'é per nessuno, e se non
fosse per André Agassi, sai che noia. Pete surclassa spesso e volentieri
campioni come André, Goran Ivanisevic, Hewitt, fino a che nel 2001, superato il
record di 13 Slam di Emerson (uno dei leggendari australiani del tempo di Rod
Laver, l’Età dell’Oro di questo sport), gli capita un ragazzino svizzero, nei
turni eliminatori, tale Roger Federer. Ne parlano un gran bene da juniores, ma
insomma, il grande tennis è un'altra cosa.
2001... Roger piega Pete, e quel
giorno anche Pete sente la chiamata del destino, la legge della vita che
reclama il suo obolo. Pete entra nella leggenda, e Roger comincia allora a
scrivere la sua. Cinque Wimbledon consecutivi, come Sua Maestà Borg. Tanti
Slam, da perdere il conto, se la gioca con Sampras, gli esperti discutono se
sia il più Grande di sempre, i veri esperti si limitano a dire che è uno dei
più grandi, perché certi assoluti non hanno senso. Finché arriva Rafael
Nadal, chico de Mallorca. Non ha un gioco più spettacolare di quello di Bjorn
Borg, ma ne ha la stessa testa, e gli sono dovuti pertanto lo stesso rispetto e
la stessa ammirazione, anche se è difficile guardare le sue partite con divertimento.
Rafa ha tanta hombria che alla fine
riesce a far partita egual con Roger perfino sul centrale di Wimbledon, nel
2007, e di più nel 2008, quando riesce addirittura a batterlo e a vincere the
Championship. Come Borg, ha imparato a giocare sull'erba, non avendone la
predisposizione, e adesso è il numero 1 su tutte le superfici. Adesso tocca a lui e a Novak Djokovic la corona, in attesa di qualcuno che li spodesterà, e che magari sta già
palleggiando da qualche parte.
Questa è una storia di campioni,
in uno sport che può essere giocato solo da campioni. Perché in campo ci vai da
solo, e se non sei un uomo vero o una donna vera non ne esci vivo. Nel senso di
vincitore.
Ed è una storia carica di
tristezza, ogni volta che un campione compie il passo d'addio. Quando smette un
calciatore, esce dal campo insieme a 60 persone, in una bolgia di gente urlante
e festante. Quando smette un tennista, esce dal campo da solo, tra gli applausi
di gente a cui magari si chiude la gola per la commozione, e non hanno perciò
neanche la forza né la voglia di urlare, ma solo di battere le mani. Con la
consapevolezza oltretutto che ogni volta che succede, salutiamo un pezzo della
nostra vita.
Auf Wiedersen Herr Roger,
sei stato un grande tra i grandi. Se giocherai ancora, sarà uno sbaglio. Perché
il tuo posto nella leggenda c'é già. E non da adesso. Ettore ucciso da Achille.
Achille ucciso da Paride, e così via.
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