Estadio Monumental di Buenos Aires, 25 giugno 1978. Si gioca la
finale dell’undicesima edizione della Coppa del Mondo F.I.F.A. tra Argentina e
Olanda. Le squadre sono sull’1-1 e ormai si aspettano solo i supplementari, è
il 90° quando gli orange battono un
calcio di punizione a metà campo. La palla arriva in area biancoceleste, su di
essa si avventa Rob Rensembrink che calcia di prima intenzione.
Il cuore di un intero paese salta
un battito. L’Argentina rimane senza respiro mentre la palla si stampa sul palo
rimbalzando in campo. Per pochi millimetri non si ripete a Buenos Aires la “tragedia”
di Rio de Janeiro, quando l’Uruguay portò via dal Maracanà la Coppa Rimet sotto
il naso di un attonito, incredulo Brasile. L’Argentina sopravvive, invece, e
nei supplementari con Kempes e Bertoni si aggiudica il primo titolo mondiale
della sua storia.
Stadio Azteca, 22 giugno 1986, la Mano de Diòs |
Esiste la mano de Diòs? Non quella contraffatta di Diego Armando Maradona,
che otto anni più tardi comincia la cavalcata verso il secondo titolo del suo
paese con un gol di rapina agli inglesi, rapina in tutti i sensi perché viziata
da fallo di mano plateale e intenzionale, visto da tutti meno che dall’arbitro
tunisino Bennaceur, forse un reduce mercenario della guerra delle Falkland o un
ammiratore sfegatato del pibe de oro.
No, quella vera, che viene scomodata
ogniqualvolta un paese scende in guerra – o in campo, il che in certe
circostanze è quasi la stessa cosa – contro un altro. Dio è con noi, ripetono tutti. Soprattutto in Sudamerica, dove Dio
è stato portato dalle spade dei Conquistadores spagnoli ed è rimasto più come
un condottiero di eserciti che come l’essere misericordioso e – si spera –
imparziale presso cui intercediamo abitualmente ad altre latitudini.
Forse un occhio benevolo dall’alto
indirizzato verso qualcuno comunque c’è, e per l’Argentina sarebbe almeno la
seconda volta, anche mettendo il 1986 sul conto di Bennaceur (e di chi ce lo
aveva mandato) piuttosto che su quello di Nostro Signore. Dopo Rensembrink, 36
anni dopo è toccato a un correligionario dell’arbitro tunisino, lo svizzero di
origine albanese Blerim Xzemajli cogliere un palo clamoroso che anche stavolta
potrebbe fare la differenza tra una clamorosa sconfitta ed una trionfale
vittoria.
L’Argentina dai troppi galli (per
quanto bravi) nel pollaio ha evitato dei supplementari ad alto rischio contro
una Confederazione Elvetica che al pari di altre squadre presenti a questo
mondiale è ormai una Multinazionale, piuttosto che una Nazionale. Al pari – guarda
caso – di una Germania e di un Belgio assai più fortunate di lei
(rispettivamente contro Algeria e USA).
Nel momento di decidere le
strategie e di fare le scelte che dovrebbero rilanciare il calcio italiano dopo
l’anno 0.2, la Federcalcio potrebbe prendere esempio da questi paesi, ed aprire
a forze fresche di provenienza etnica, italiani di seconda o anche di prima
generazione, ridando fiato nel contempo ai nostri vivai come sopra detto
opportunamente innestati. Finora, l’unico tentativo di apertura al nuovo che
avanza ed alla società multietnica del futuro si chiama Mario Balotelli. Non è
che sia molto incoraggiante, ma fermarsi al primo tentativo sarebbe delittuoso.
Tornando al Brasile, è proprio il
Brasile l’altra selezione miracolata lungo il Camino Real, la strada che nelle intenzioni di tutti i tifosi
verdeoro non può che portare verso gli immancabili destini consistenti nel
sesto titolo mondiale, sotto l’occhio vigile del Cristo Redentore. La traversa
colpita da Pinilla trema ancora, e con essa le gambe dei giocatori e di tutto
il popolo brasiliano. I calci di rigore che ne sono scaturiti (in luogo della
prematura eliminazione della Seleçao
per mano cilena) sono stati uno psicodramma collettivo.
E’ il Brasile, bellezze. Vedere adulti
vaccinati come Julio Cesar piangere come viti tagliate per il peso della
responsabilità di difendere la porta del proprio paese ci fa un po’ sorridere. Anche
chi come noi per piangere avrebbe ben altri motivi, e non solo sportivi. Ma tant’è,
Brasile e Argentina sono andati avanti, verso quella che non solo il pronostico
degli addetti ai lavori ma anche il vento che sembra soffiare alle spalle
(senza scomodare ulteriormente mani divine, bastano la F.I.F.A. e la suerte) indicano come la probabile
finale. E pazienza se almeno due dei calci di rigore erano irregolari, una
parata di Julio Cesar mossosi anzitempo, e la rincorsa arrestata di Neymar. Ma
tra un mese chi se ne ricorderà più? Chi terrà nota di dove andrà in vacanza l’arbitro
inglese Webb nei prossimi anni, e a spese di chi?
Dettagli, sulla via della gloria.
Sarà che noi siamo esacerbati dal pessimo risultato (certo che se non si tira
in porta neanche mezza volta difficile che a noi qualcuno ci aiuti, anche a
volere), dalle avances del Galatasaray a un Cesare Prandelli che ancora non ce
l’ha raccontata tutta (anche se ce la immaginiamo, conoscendo Cassano & C.),
da un Balotelli che continua a dividere questo paese in due, tra politicamente
corretti e gente con le scatole piene. E anche, diciamolo, un po’ dalla sorte
leggermente beffarda che al momento del rinnovamento epocale ti mette al centro
della scena un signore che si chiama Tavecchio. E che – nomen omen – ha 71 anni, quindi è fuori anche dalla Riforma
Fornero.
Mentre in riva al Tevere si
vivono momenti di ambasce (almeno è auspicabile), tra il Rio delle Amazzoni ed
il Paranà il Mondiale entra nella fase decisiva. Vanno in scena i quarti di
finale, e promettono spettacolo e forse qualche sorpresa. Dell’Italia, a parte
l’arbitro Rizzoli ed il solitario invasore di campo in occasione del Memorial
Ciro Esposito (della serie, facciamoci sempre riconoscere), rimane ben poco,
grazie a Dio. E allora godiamoci gli scontri altrui senza patemi.
La Francia cerca una rivincita
con la Germania che sul campo le manca dal 1982 e fuori dal 1870. Riuscirà la
legione straniera francese ad aver ragione di quella tedesca? Il Brasile si
presenta all’esame Colombia, preoccupato di andare a scoprire chi delle due
contendenti avrà più timore reverenziale. Non è detto che siano i cafeteros, e poi la mano de Diòs non può fare straordinari, è ora che la più brutta Seleçao del dopoguerra si metta a
giocare, se è in grado di farlo. Domani l’Olanda incontrerà il suo alter ego
sudamericano, il Costa Rica, mentre l’Argentina farà altrettanto con il Belgio.
Tra preghiere, pianti e macumbas, la sensazione è che il bello
debba ancora venire.
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