“Cittadini, lavoratori! Sciopero
generale contro l’occupazione tedesca, contro la guerra fascista, per la
salvezza delle nostre terre, delle nostre case, delle nostre officine. Come a
Genova e a Torino, ponete i tedeschi di fronte al dilemma: arrendersi o perire!”.
Settant’anni fa, all’ora in cui
più o meno oggi facciamo colazione, Sandro Pertini per voce del Comitato di
Liberazione Nazionale Alta Italia proclamava alla radio l’insurrezione generale
delle forze partigiane in tutti i territori che ancora restavano sotto il
controllo dei nazifascisti. Alle 8 circa, la Brigata Garibaldi, il Corpo
Volontari per la Libertà e le altre formazioni resistenziali che si erano
costituite a Milano, Bologna, Venezia e negli altri centri principali dopo l’8
settembre 1943 cominciarono l’occupazione delle fabbriche, delle prefetture e
della viabilità per contrastare la resistenza prima e la fuga poi dei gerarchi
fascisti e degli ultimi occupanti della Wehrmacht e delle SS.
I partigiani avevano cominciato a
scendere dalle montagne già nei giorni precedenti, affluendo verso i luoghi
delle ultime battaglie. Genova era stata liberata il 23, Bologna addirittura il
21. La lunga notte calata sul territorio nazionale dopo l’armistizio di
Badoglio e la violenta reazione dei nazisti volgeva al termine. Gli ultimi mesi
erano stati lunghi ed ancora più tragici. Dopo la liberazione di Firenze l’11
agosto 1944, il fronte si era fermato sulla Linea Gotica, lo schieramento
difensivo tedesco piazzato dal Feldmaresciallo Kesselring da Massa-Carrara a
Pesaro, dal Tirreno all’Adriatico. E lì era rimasto bloccato fino alla
primavera successiva.
Alla metà di aprile, solo Hitler
ed i suoi più ristretti collaboratori come Goebbels erano rimasti convinti
della possibilità di vittoria finale per il Reich. La loro tragica follia fu
rincuorata per un istante dalla morte del presidente americano Franklin Delano
Roosevelt avvenuta il 12 aprile. Subito dopo gli angloamericani (che fin dai
primi di marzo avevano varcato il Reno a Remagen entrando in Germania) ed i
sovietici (che avevano fatto lo stesso attaccando la Prussia Orientale dalla
Polonia dove avevano scoperto i campi di concentramento come Auschwitz) dettero
l’ultima spallata che li avrebbe portati ad incontrarsi sull’Elba proprio quel
25 aprile 1945, lo stesso giorno in cui l’Italia si liberava delle ultime
vestigia della più odiosa e sanguinosa occupazione tra quante ne aveva subite
nella sua lunga storia. Lo stesso giorno in cui metteva fine a 23 anni di
dittatura fascista.
Sulle scale dell’Arcivescovado di
Milano, Sandro Pertini incontrò Mussolini in fuga, e fu l’ultima volta in cui
colui che era stato il Duce fu visto vivo da esponenti ufficiali della
Resistenza. Dopo, nei giorni seguenti, la sua fuga travestito da soldato
germanico verso il fantomatico ridotto della Valtellina e la sua fine a Giulino
di Mezzegra per mano del plotone d’esecuzione comandato dal partigiano Valerio
sono tutt’ora oggetto di studio da parte degli storici, ammantate più di
leggenda che di verità accertata. Il Duce del Fascismo riapparve il 29 a
Piazzale Loreto, ormai cadavere esposto al linciaggio della folla inferocita da
cinque anni di guerra senza quartiere e senza pietà.
I gerarchi fascisti erano stati tutti
condannati a morte dal C.L.N.A.I. “Arrendersi o perire!” fu appunto la parola d’ordine
con cui la resa venne intimata dai partigiani a tuti coloro che in vario grado
e a vario titolo si erano schierati dalla parte di Salò. Seguì il periodo
difficile della resa dei conti tra partigiani ed ex-fascisti, che proseguì
grosso modo fino all’amnistia promulgata un anno dopo circa dal Ministro della
Giustizia Palmiro Togliatti. Nello stesso periodo si decise di consacrare quel
25 aprile come festa nazionale. Fu il Luogotenente Umberto di Savoia a
decretarlo, poco prima che il popolo italiano trasformasse lo Stato da monarchia
in repubblica.
Di tutte le feste, più ancora
forse del 2 giugno anniversario del referendum per la repubblica o del 4
novembre anniversario della grande vittoria nella prima guerra mondiale, l’ultima
guerra di indipendenza, il 25 aprile è rimasto nel cuore degli italiani
perlomeno delle generazioni che hanno vissuto quel giorno o ne hanno sentito
parlare come si fa con una memoria ancora vivida. Vi è rimasto perché in fondo
simboleggia il momento più nobile della storia d’Italia, il giorno in cui la
nazione si liberò da una dittatura e da una occupazione straniera che potevano
essere fatali, ed in cui ritrovò la dignità perduta l’8 settembre.
Sono sempre meno purtroppo i
partigiani dell’A.N.P.I. che sfilano in questa giornata a ricordo di quello che
ebbero il coraggio di fare settant’anni fa. La legge di natura non fa sconti
nemmeno agli eroi, ai superstiti di quella guerra di liberazione che finì per
essere – per la prima volta – una guerra di popolo come nemmeno il Risorgimento
aveva saputo diventare. Ma di tutte le feste che il calendario italiano
propone, questa del 25 aprile più di ogni altra resta in eredità al cuore di
tutti e al di fuori di ogni discussione. Fu quel giorno che l’Italia si meritò
il posto che da allora ha occupato tra le nazioni del mondo civile.
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