Gli spari che risuonano
secchi nel Tribunale di Milano riecheggiano in tutta Italia, e sono un punto di
non ritorno. Abbiamo scritto tante volte di giustizia, ma adesso – con quattro persone
rimaste a terra – non ci sentiamo di andare ad analizzare le ragioni vere o
presunte di chi ha compiuto quello che viene definito da tutti il “gesto di un
disperato”.
Per capire le motivazioni che
hanno spinto Giardiello ad armarsi la mano, come già Preiti due anni fa (l’attentatore
di Montecitorio caduto ormai ampiamente nell’opportuno dimenticatoio che
conserva tutte le cose italiane), ci sarà tempo. Quello che magari avrebbero
potuto prendersi le massime cariche dello Stato, dal presidente della
Repubblica Mattarella al Presidente del Consiglio Matteo Renzi al Ministro
dell’Interno Angelino Alfano, prima di rilasciare le consuete dichiarazioni che
riempiono inutilmente i telegiornali togliendo spazio alle notizie vere e – nel
caso di Renzi – aggiungono un nuovo capitolo in quella saga dell’improntitudine,
in quella fenomenologia (per dirla con Umberto Eco) dell’enfant prodige di
Rignano sull’Arno che dovrebbe far riflettere un po’ dipiù chi si accinge a
votarlo, se e quando ciò sarà possibile.
No, non è questa la sede per
tirare in ballo responsabilità vere o presunte della magistratura ferita a
morte. Per rispetto alle vittime, ma anche alla funzione, che merita prima o
poi di essere ridefinita, con calma e senza la spinta della ennesima tragedia d’attualità.
Quello che preme adesso è una considerazione diversa, riguardante l’ordine
pubblico, la base stessa della nostra convivenza civile.
Mentre siamo tutti distratti
dalla scoperta dell’acqua calda (alla scuola Diaz a Genova ci fu un black out
pressoché totale della legalità per il quale – con buona pace del solito
ineffabile presidente Renzi – i responsabili non hanno pagato e non
pagheranno, tanto è vero che il principale responsabile, l’ex capo della
polizia dell’epoca De Gennaro sta scontando una pesantissima condanna alla
presidenza di Finmeccanica) o da questioni fondamentali come il riassorbimento
nell’ambito della società civile di circa 40.000 persone, i cosiddetti ROM, con
annesso dibattito di altissimo livello tra boldriniani e salviniani, pochi si
soffermano sul punto centrale della questione aperta dagli spari di Milano.
Pochissimi, se andiamo a considerare i mezzi di informazione.
Claudio Giardiello entra nel
tribunale di Milano con un falso tesserino da avvocato. Nessuno lo sottopone ad
un minimo controllo, tantomeno ad uno scanner di metalli. Nessuno lo ferma. Se
entrate nel Tribunale di Firenze quasi vi spogliano, non importa se andate a
registrare una società o a ritirare una sentenza di separazione o a farvi
condannare per omicidio plurimo. Nel Tribunale di Milano, non un luogo della
giustizia qualsiasi, ma l’icona storica della Giustizia italiana da Mani Pulite
in poi, si entra invece così.
Non c’è polizia, ma una ditta di
vigilantes che ha vinto un appalto, come in tanti altri edifici pubblici. Solo
che in questo si decide della vita delle persone come da nessun’altra parte.
Facile che ci possa essere qualcuno che prima o poi vi entra non animato da
sentimenti positivi e con in tasca qualcos’altro che non siano chiavi o
cellulare. La polizia peraltro non arriva nemmeno dopo. Il giudice Ciampi e gli
altri feriti a morte rimangono in terra per oltre quaranta minuti, a detta dei
superstiti alcuni dei quali costretti a barricarsi nelle stanze del Tribunale
per non rischiare di incontrare l’omicida, prima che qualcuno li soccorra.
Claudio Giardiello si allontana
indisturbato dal tribunale, e viene arrestato solo più tardi, vicino casa. A
quanto pare era intenzionato ad uccidere ancora. Per fortuna il conto delle
vittime si arresta a quattro. Il conto per lo Stato italiano invece è
salatissimo. Nemmeno questa volta qualcuno si dimetterà, i discorsi scorreranno
a fiumi, le strumentalizzazioni anche. Nessuno pronuncerà le fatidiche parole:
lo Stato italiano non esiste più.
Dopo anni di tagli alle spese, di
caserme dei Carabinieri di periferia ridotte ad orari da ufficio postale, di
commissariati dove i poliziotti devono quasi autotassarsi per avere a
disposizione la benzina necessaria alle loro gazzelle, siamo arrivati al dunque. Nemmeno il Palazzo con scritto IUSTITIA sul frontone è più presidiato.
Una pistola ed un tesserino falso si trovano su internet. Il resto sta alla
volontà del singolo ed alla crisi del sistema.
All’incirca nel 400 d.C. l’Impero
Romano cominciò a ritirare le sue legioni dalle province più remote, dapprima
la Britannia dove il Vallo di Adriano e le coste sassoni rimasero sguarnite,
poi via via tutte le altre. Dopo la disastrosa sconfitta di Adrianopoli l’Impero
aveva scoperto di non poter reggere più le spese militari (che si aggiungevano
a quelle derivanti dalla corruzione dilagante a causa della decadenza dei
costumi) per fronteggiare la pressione delle orde barbariche che premevano ai
confini. Fu il momento di non ritorno, e per i barbari il segnale che le porte
di Roma erano aperte. Con le tecnologie a disposizione all’epoca, occorsero
alcuni decenni finché uno dei tanti capobranco catturasse le insegne imperiali
e le spedisse a Costantinopoli, significando a tutti i contemporanei che la legalità
come era stata fino a quel momento conosciuta era finita, ed era nato un nuovo
mondo che avrebbe impiegato un bel po’ di secoli cosiddetti bui a ritornare a condizioni di vita
percepite come civili.
Lo Stato italiano ha cominciato
da anni a ritirare le sue legioni, dapprima dalle periferie e adesso anche dai
suoi centri nevralgici. Gli spari di Milano sono forse il segnale che
paventavamo da tempo, i secoli bui sono in arrivo molto più rapidamente (grazie
alle tecnologie a disposizione al giorno d’oggi a tutti, barbari interni ed
esterni). Il rapporto tra Stato e cittadini è di nuovo ad un punto critico
della storia di questo paese. Ci sarà tempo per parlare di Giardiello e del suo
insano gesto. Speriamo ce ne sia
ancora per parlare, prima ancora che di Giustizia, di legalità e di vivere
civile.
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