Per la seconda volta in questa
stagione, Khouma El Babacar resuscita la Fiorentina quando già ormai anche la
zona Cesarini è allo scadere. Era successo a Chievo, partita che i viola
avevano cercato in ogni modo di buttare via, e al 94’ la pantera viola glielo
aveva impedito. Poi una lunga panchina, come Cincinnato (se è consentito
accostare il nome del grande generale romano ad un assistito di Raiola). Ed
eccolo qua nella notte ucraina sempre più fonda per una Fiorentina ormai
aggrappata a questa Europa League come ultimo obbiettivo stagionale, arpionare
un pallone che chiunque avrebbe dato per perso e rovesciarlo ad occhi chiusi
dietro le spalle nella porta della Dinamo, fidandosi soltanto del proprio radar
interiore. 1-1 e palla al centro, tra sette giorni si gioca per la semifinale
partendo dal vantaggio del gol in trasferta (e speriamo che stavolta basti e
non venga scialacquato come contro la Juventus, per due volte). E adesso, caro
Vincenzo Montella, rimettilo in panca questo ragazzo se ti riesce. A meno che
il Lato Oscuro della Forza (o di Raiola) non torni a prevalere dentro di lui.
San Khouma, protettore degli
scialacquatori, ha fatto il miracolo, e al 92’ di Dinamo-Fiorentina alzi la
mano chi ci avrebbe scommesso. Dopo una partita trascorsa quasi interamente a
nascondere la palla agli ucraini, ma anche a prendere botte e cartellini da un
arbitro loro parente e neanche alla lontana, dopo aver visto sfilare via due
rigori non dati, dopo aver accuratamente evitato di tirare in porta, se non in tre
occasioni: una ciccata da Salah, una da Mati Fernandez e una da Borja Valero. In
compenso, gol subito nel primo ed unico tiro in porta degli avversari, e
lasciamo fare che in quel momento la Dea bendata era a pensare agli affari
suoi.
Questa Fiorentina vuole entrare
in porta con il pallone, non ama gli assist, i cross, i tiri da dentro o da
fuori. Questa Fiorentina, e con lei il suo allenatore, continua a prediligere
il gioco alla spagnola, il cosiddetto tiki taka brevettato in epoca
contemporanea dal Barcellona di Messi & C. Peccato che, con tutto l’affetto
per i nostri portacolori, tra i viola non ci sono né Messi né Iniesta, né Xavi
né nessun altro della compagnia blaugrana che ancora va in giro a dare lezioni
di calcio a domicilio, l’ultima al Paris Saint Germain, e scusate se è poco.
I nostri tengono palla, sì, ma
anche la perdono spesso e si aprono a contropiedi che come quello di Lens in un
modo o nell’altro sorprendono una difesa sbilanciata in avanti dalle
disposizioni tattiche del mister e non aiutata dal centrocampo di pesi piuma
che ci ritroviamo. Nella Fiorentina, i difensori devono partecipare all’azione
d’attacco impostandola, se no con Montella sono guai. E’ l’onda lunga del gioco
all’olandese nella release sacchiana che confonde le idee ai nostri giocatori
da più di trent’anni. Gente come Gonzalo e Savic devono cantare e portare la
croce, e spesso devono recuperare e chiudere in affanno, e a volte qualche
casino ci scappa. Allo stesso modo Alonso e Tomovic, sulle cui spalle – a detta
dei soloni del calcio, in Italia ce ne sono sessanta milioni, a Firenze
cinquecentomila – pesa la responsabilità di innescare costantemente l’attacco
con dei cross per i quali non sono portati e ai quali probabilmente si allenano
anche poco. E che poi devono chiudere in difesa anche loro con l’affanno, e a
volte ti scappa un Lens, per non parlare di un Maertens, e buonanotte.
La Fiorentina versione Montella
conosce solo tre modi per portare la palla agli attaccanti. Con il tiki taka
estenuante per cui quando si arriva al limite dell’area ci vogliono almeno otto
passaggi laterali prima di fare quello in profondità per attaccanti dalle
caratteristiche che non abbiamo, o in alternativa di perdere palla aprendosi al
contropiede. Con i cross dalle ali, attrezzato per i quali ormai ci sopravvive
il solo Manuel Pasqual, che ha principalmente un difetto: 33 anni. Con le
iniziative estemporanee di due campioni: Salah e Joaquin, palla a loro e stiamo
tutti a vedere. Compresi i compagni che il più delle volte neanche gli vanno
dietro a dar man forte, vuoi per mancanza di fiato o di idee.
Oltre ad avere un tasso tecnico
non proprio esattamente eguale a quello dei maestri catalani, i nostri scontano
anche un altro fatto: la presenza degli avversari. Siccome non sono tutti
cretini, si guardano le cassette delle partite passate e studiano come
fermarti. Che poi non è così trascendentale, pressing alto sul portatore di
palla e raddoppio su Salah. Ecco qua. E tu non hai soluzioni alternative, se
non quella di chiedere a Gomez di fare il Rossi, a Salah di fare il Pizarro, a
Mati e Borja di cercare di battere il record di passaggi laterali al limite
dell’area, mentre in panchina langue colui che tra tutti ha l’unico tiro da
fuori in dotazione ai viola: Aquilani. E non è neanche colpa di Montella,
perché se chiede un terzino che sappia anche spingere, Cognigni gli compra un
centrocampista di interdizione, o il sesto portiere, o sa Dio chi.
Il calcio tutto sommato è un
gioco abbastanza semplice. Una quarantina d’anni fa fu deciso di cominciare a
complicarlo importando in Italia il gioco all’olandese, sulla scorta dell’impressione
destata da quella squadra favolosa in maglia arancione capitanata da Johann
Cruyff e dove tutti erano fuoriclasse e tutti sapevano fare tutto. Peccato che
gli olandesi ce li aveva solo l’Olanda. L’importazione in Italia di quegli
schemi e di quella filosofia calcistica fu un disastro epocale, mitigato solo
dall’esplosione della Nazionale di Enzo Bearzot. Il che non impedì all’ineffabile
Arrigo Sacchi di confondere le idee a schiere di suoi veri o presunti allievi
con le successive versioni rivedute e peggiorate di quel gioco orange del
1974.
La storia, soprattutto quando ha
qualcosa di pessimo da proporre, si ripete sempre. Quarant’anni dopo ecco il Barcellona,
undici fuoriclasse che vincerebbero anche se giocassero con la palla di stracci
o quella ovale da rugby. E tuti a copiare il tiki taka, Bayern Monaco compreso.
E a farsi “bere” da qualche allenatore decisamente meno à la page, come dicono
i francesi, ma molto più furbo, come il Rebrov visto giovedi sera: tutti dietro
e contropiede. Una volta vincevamo noi così, adesso siamo diventati i polli da
spennare.
San Khouma a volte ti fa il
miracolo, e magari ritorna anche nell’orto di Cincinnato per permettere ancora
a Montella di incaponirsi con un Gomez completamente disadatto al suo gioco, e
con altri gadgets fuori posto. Ma attenzione, gli dei non amano i testardi. Né gli
allenatori che non sanno adattare i loro schemi alle circostanze. Giovedi prossimo
al Franchi, tanto per cambiare, c’è da patire. E lasciamo stare il gol segnato
fuori casa, poiché non abbiamo precedenti – di medio e breve periodo – granché fausti.
Speriamo almeno che Raiola questa settimana abbia altro da fare, e il “pantera”
rimanga sul bioritmo positivo.
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