martedì 21 aprile 2015

VIOLA NELLA TESTA E NEL CUORE: Firenze e Vincenzo

Sic transit gloria mundi. Un mese fa Vincenzo Montella poteva concorrere alla poltrona di Sindaco, con buone probabilità di essere eletto. Montella come Nardella, tra l’altro son quasi concittadini, da Pomigliano d’Arco a Torre del Greco non sono tanti i chilometri. Una faccia, una razza.
Scherzi a parte, Vincenzo Montella era sulla cresta dell’onda, almeno fino al ritorno di Coppa contro la Juventus. Poi sono arrivate tre sconfitte ed un pareggio risicato all’ultimo secondo. In quindici giorni dalle stelle alle stalle. E adesso la città che cominciò a dividersi ai tempi dei Guelfi e Ghibellini, e da allora non si è più ricomposta attorno a nessun argomento, si interroga sull’epocale dilemma: Montella è allenatore da Fiorentina?
Ci siamo già passati. Cinque anni fa. La settimana prima si metteva paura al Bayern di Monaco costringendolo a rubare oscenamente per passare il turno di Champion’s, quella dopo si perdeva altrettanto oscenamente a Lecce o a Chievo. Prandelli arrivò agli ottavi dove fu fermato da Ovrebo, e nello stesso tempo mise assieme 17 sconfitte in campionato. Come quella Fiorentina del 1990 contro la quale aveva chiuso la carriera di giocatore.
La città, manco a dirlo, si divise. Prandelliani e Dellavalliani, la guerra civile si innestò su quella fredda, latente, tra leccavalle e rosiconi avviata da tempo, da quando la famiglia di Casette d’Ete aveva acquistato a prezzo simbolico la Fiorentina risorta dal fallimento dei cinematografari.
La città si divide sempre. La storia, la sua stessa storia non le insegna niente. S’è esiliato Dante poeta divino, figurarsi te illustre ciabattino, recitava tempo fa uno striscione antidellavalle appeso ai cancelli dello stadio. E in questa pasquinata, paradossalmente, c’era tutta l’improntitudine e la sprovvedutezza di Firenze, nascosta sotto l’apparente sfrontatezza. Siamo la città che ha esiliato Dante. Complimenti.
Ci risiamo? Aspettiamo giovedi. Se la Dinamo torna a casa con la coda tra le gambe per la terza volta nella storia dei suoi incroci con Firenze allora Montella ritorna candidato Sindaco. Se perde, addio. Meglio che si affretti alle porte della città più velocemente di quanto fu concesso a Dante Alighieri. Firenze non porta mai gratitudine, ma è velocissima a portare rancore.
Non eravamo campioni del mondo dopo aver vinto a Torino, non siamo diventati brocchi dopo aver perso in casa contro la Juventus. Semplicemente, siamo una città che si sente ancora il centro del mondo, che ha inventato quasi tutto quello che ha caratterizzato la civiltà moderna, ma che ha dimenticato come si inventa, si crea. E che non farà mai pace con il mondo moderno. Non troverà mai un suo equilibrio. Nel calcio come in ogni altra cosa. E quando le capita, non sa più vincere.
Vincenzo Montella fa giocare la Fiorentina da tre anni allo stesso modo. Ha brillato quando i suoi giocolieri giravano la palla come funamboli, sconcertando avversari impreparati ad affrontare questo piccolo Barcellona italiano. Jovetic, Llajic, Giuseppe Rossi, Borja Valero (per poco), Diamanti (per pochissimo), Cuadrado, Salah, Joaquin. Gran giro palla per liberare all’improvviso il genio, l’uomo che salta l’uomo. L’uomo che vince le partite da solo.
Ha poi penato, e fatto penare, quando gli avversari hanno capito il gioco e adottato le contromisure del caso. Quando i giocolieri si sono adagiati in un comodo tran-tran cittadino. A Firenze si vive bene, ci mancherebbe. La città offre tanto, di giorno e soprattutto di sera. Non tutti sono, anzi, quasi nessuno è Adrian Mutu, capace di andare a giocare e vincere dopo una settimana di nottate in discoteca e albe incontrate fuori casa. Gli altri, se non fanno vita da atleta, pagano dazio e subito. Guardate Babacar, l’aveva detto Montella, non si allena abbastanza. Basta un contrasto e si fa male. Ieri sera distorsione al ginocchio, stagione finita, proprio quando la sorte l’aveva ridesignato salvatore della patria, con Mario Gomez a polveri di nuovo bagnate e Giuseppe Rossi confinato in tribuna nel suo crepuscolo dorato.
Già, gli attaccanti. L’aeroplanino Montella è stato un grande centravanti. L’allenatore Montella è uno che dei centravanti non sa cosa farsene. Luca Toni ha segnato il suo minimo storico nella seconda esperienza fiorentina. Mario Gomez sarà quello che sarà, ma se fosse stato questo in Bundesliga ci sarebbe durato tre giorni. ll vecchio Gilardino, se opportunamente servito, è ancora in grado di tirar fuori prodezze da se stesso. Peccato che in una partita riceva, lui come gli altri, la miseria di un solo cross fatto anche male. E riesca comunque ad inventarsi un rigore che altri sprecano.
Già, quel rigore. Se va dentro la ciabattata di Alino Diamanti, siamo tutti qui a parlare di Fiorentina capace di vincere anche con la squadra B, di Montella coraggioso e geniale, di turnover essenziale sulla strada di Varsavia. Ma il tiro di Alino è telefonato, si capisce prima che parta la rincorsa dove tirerà, e Rafael lo capisce prima di tutti. Ed eccoci qui a litigare, anzi “leticare”, su dove andrà Vincenzo Montella alla fine di questa stagione, e a rincarare la dose dicendo che non sarà mai troppo tardi, quando se ne andrà. Con il corollario di attese messianiche per Sarri, Mazzarri e simili tamarri.
Vincenzo Montella è questo, signore e signori. Ormai lo sappiamo e lo sa, o deve saperlo, chi gli paga lo stipendio. Averlo tenuto per tre anni e dichiarare pubblicamente di volerlo riconfermare significa – o dovrebbe significare - sapere cosa può dare, ed accettarlo. Allora delle due l’una: o gli si comprano i giocatori in grado di assecondare i suoi schemi, oppure si cambia. Ma senza darlo in pasto alla gente come fu fatto con Prandelli. Senza andare via platealmente dalla Tribuna scuotendo la testa, in segno di disappunto per la prestazione di una squadra che chiunque sapeva cosa poteva dare ancor prima del fischio di inizio. Chiunque meno il patron. Quello che fa storie per comprare Lucas Biglia, mica Messi o Iniesta. Quello che opziona Inler per la prossima stagione, uno che ha gli stessi anni (e molta meno classe) di quell’Aquilani al quale non vuole rinnovare il contratto. Quello che lascia andare via Neto come ha lasciato andare via Frey. Il portiere è mezza squadra, dicevano i vecchi. Si è visto bene perché.
Firenze è pronta a dividersi di nuovo. Dovesse vincere l’Europa League sarebbe quasi una disdetta che rovina i piani e rimescola gli umori, a questo punto. L’anno dell’ultimo scudetto fu aperto da un’estate in cui tutti erano convinti di retrocedere, avendo dato via Brugnera, Albertosi ed Hamrin. Alla fine, al momento di festeggiare quello scudetto vinto trionfalmente al Comunale di Torino mettendo sotto la Juventus, nessuno ovviamente se ne ricordava più.

Nessun commento:

Posta un commento