Sic transit gloria mundi. Un mese
fa Vincenzo Montella poteva concorrere alla poltrona di Sindaco, con buone probabilità
di essere eletto. Montella come Nardella, tra l’altro son quasi concittadini,
da Pomigliano d’Arco a Torre del Greco non sono tanti i chilometri. Una faccia,
una razza.
Scherzi a parte, Vincenzo
Montella era sulla cresta dell’onda, almeno fino al ritorno di Coppa contro la
Juventus. Poi sono arrivate tre sconfitte ed un pareggio risicato all’ultimo
secondo. In quindici giorni dalle stelle alle stalle. E adesso la città che cominciò
a dividersi ai tempi dei Guelfi e Ghibellini, e da allora non si è più
ricomposta attorno a nessun argomento, si interroga sull’epocale dilemma:
Montella è allenatore da Fiorentina?
Ci siamo già passati. Cinque anni
fa. La settimana prima si metteva paura al Bayern di Monaco costringendolo a
rubare oscenamente per passare il turno di Champion’s, quella dopo si perdeva
altrettanto oscenamente a Lecce o a Chievo. Prandelli arrivò agli ottavi dove
fu fermato da Ovrebo, e nello stesso tempo mise assieme 17 sconfitte in
campionato. Come quella Fiorentina del 1990 contro la quale aveva chiuso la
carriera di giocatore.
La città, manco a dirlo, si
divise. Prandelliani e Dellavalliani, la guerra civile si innestò su quella
fredda, latente, tra leccavalle e rosiconi avviata da tempo, da quando la
famiglia di Casette d’Ete aveva acquistato a prezzo simbolico la Fiorentina risorta
dal fallimento dei cinematografari.
La città si divide sempre. La
storia, la sua stessa storia non le insegna niente. S’è esiliato Dante poeta
divino, figurarsi te illustre ciabattino, recitava tempo fa uno striscione
antidellavalle appeso ai cancelli dello stadio. E in questa pasquinata,
paradossalmente, c’era tutta l’improntitudine e la sprovvedutezza di Firenze,
nascosta sotto l’apparente sfrontatezza. Siamo la città che ha esiliato Dante.
Complimenti.
Ci risiamo? Aspettiamo giovedi.
Se la Dinamo torna a casa con la coda tra le gambe per la terza volta nella
storia dei suoi incroci con Firenze allora Montella ritorna candidato Sindaco.
Se perde, addio. Meglio che si affretti alle porte della città più velocemente
di quanto fu concesso a Dante Alighieri. Firenze non porta mai gratitudine, ma
è velocissima a portare rancore.
Non eravamo campioni del mondo
dopo aver vinto a Torino, non siamo diventati brocchi dopo aver perso in casa
contro la Juventus. Semplicemente, siamo una città che si sente ancora il
centro del mondo, che ha inventato quasi tutto quello che ha caratterizzato la
civiltà moderna, ma che ha dimenticato come si inventa, si crea. E che non farà
mai pace con il mondo moderno. Non troverà mai un suo equilibrio. Nel calcio
come in ogni altra cosa. E quando le capita, non sa più vincere.
Vincenzo Montella fa giocare la
Fiorentina da tre anni allo stesso modo. Ha brillato quando i suoi giocolieri
giravano la palla come funamboli, sconcertando avversari impreparati ad affrontare
questo piccolo Barcellona italiano. Jovetic, Llajic, Giuseppe Rossi, Borja
Valero (per poco), Diamanti (per pochissimo), Cuadrado, Salah, Joaquin. Gran
giro palla per liberare all’improvviso il genio, l’uomo che salta l’uomo. L’uomo
che vince le partite da solo.
Ha poi penato, e fatto penare,
quando gli avversari hanno capito il gioco e adottato le contromisure del caso.
Quando i giocolieri si sono adagiati in un comodo tran-tran cittadino. A
Firenze si vive bene, ci mancherebbe. La città offre tanto, di giorno e
soprattutto di sera. Non tutti sono, anzi, quasi nessuno è Adrian Mutu, capace
di andare a giocare e vincere dopo una settimana di nottate in discoteca e albe
incontrate fuori casa. Gli altri, se non fanno vita da atleta, pagano dazio e
subito. Guardate Babacar, l’aveva detto Montella, non si allena abbastanza.
Basta un contrasto e si fa male. Ieri sera distorsione al ginocchio, stagione
finita, proprio quando la sorte l’aveva ridesignato salvatore della patria, con
Mario Gomez a polveri di nuovo bagnate e Giuseppe Rossi confinato in tribuna
nel suo crepuscolo dorato.
Già, gli attaccanti. L’aeroplanino
Montella è stato un grande centravanti. L’allenatore Montella è uno che dei
centravanti non sa cosa farsene. Luca Toni ha segnato il suo minimo storico
nella seconda esperienza fiorentina. Mario Gomez sarà quello che sarà, ma se
fosse stato questo in Bundesliga ci sarebbe durato tre giorni. ll vecchio
Gilardino, se opportunamente servito, è ancora in grado di tirar fuori prodezze
da se stesso. Peccato che in una partita riceva, lui come gli altri, la miseria
di un solo cross fatto anche male. E riesca comunque ad inventarsi un rigore
che altri sprecano.
Già, quel rigore. Se va dentro la
ciabattata di Alino Diamanti, siamo tutti qui a parlare di Fiorentina capace di
vincere anche con la squadra B, di Montella coraggioso e geniale, di turnover
essenziale sulla strada di Varsavia. Ma il tiro di Alino è telefonato, si
capisce prima che parta la rincorsa dove tirerà, e Rafael lo capisce prima di
tutti. Ed eccoci qui a litigare, anzi “leticare”, su dove andrà Vincenzo
Montella alla fine di questa stagione, e a rincarare la dose dicendo che non
sarà mai troppo tardi, quando se ne andrà. Con il corollario di attese
messianiche per Sarri, Mazzarri e simili tamarri.
Vincenzo Montella è questo,
signore e signori. Ormai lo sappiamo e lo sa, o deve saperlo, chi gli paga lo
stipendio. Averlo tenuto per tre anni e dichiarare pubblicamente di volerlo
riconfermare significa – o dovrebbe significare - sapere cosa può dare, ed
accettarlo. Allora delle due l’una: o gli si comprano i giocatori in grado di
assecondare i suoi schemi, oppure si cambia. Ma senza darlo in pasto alla gente
come fu fatto con Prandelli. Senza andare via platealmente dalla Tribuna
scuotendo la testa, in segno di disappunto per la prestazione di una squadra
che chiunque sapeva cosa poteva dare ancor prima del fischio di inizio.
Chiunque meno il patron. Quello che fa storie per comprare Lucas Biglia, mica
Messi o Iniesta. Quello che opziona Inler per la prossima stagione, uno che ha gli
stessi anni (e molta meno classe) di quell’Aquilani al quale non vuole rinnovare il contratto. Quello
che lascia andare via Neto come ha lasciato andare via Frey. Il portiere è
mezza squadra, dicevano i vecchi. Si è visto bene perché.
Firenze è pronta a dividersi di
nuovo. Dovesse vincere l’Europa League sarebbe quasi una disdetta che rovina i
piani e rimescola gli umori, a questo punto. L’anno dell’ultimo scudetto fu
aperto da un’estate in cui tutti erano convinti di retrocedere, avendo dato via
Brugnera, Albertosi ed Hamrin. Alla fine, al momento di festeggiare quello
scudetto vinto trionfalmente al Comunale di Torino mettendo sotto la Juventus,
nessuno ovviamente se ne ricordava più.
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